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 2015  ottobre 14 Mercoledì calendario

INTERVISTA A LINDA GRAY (SUE ELLEN)

Nel 1960 una sconosciuta Linda Gray, allora diciannovenne, mandò una fotografia all’edizione americana di Glamour: il giornale stava cercando ragazze per la sezione beauty e Linda, che aveva appena cominciato a fare la modella, sperava di essere scelta. Mesi dopo, quando ormai aveva perso le speranze, ricevette finalmente risposta, una lettera dalla beauty editor in persona, Karlys Daly, la quale invece di dire una cosa generica del tipo «grazie, sarà per la prossima volta» si prese la briga di fornire una motivazione più dettagliata. Daly scrisse che con un trucco diverso e provando vari tagli di capelli fino a trovarne uno che facesse per lei, quella ragazza senza speranza e senza charme (non c’era scritto, ma il senso era quello) avrebbe forse potuto «trasformarsi in qualche cosa».
L’originale di quella lettera, debitamente incorniciata, è stata sulla scrivania di Linda Gray per oltre 50 anni, gli anni che sono serviti alla diciannovenne di allora a trasformarsi in ben più di qualche cosa. Per esempio diventare un’icona della Tv. Non c’è nessuno che, adolescente negli anni ’80, ancora adesso non ricordi Dallas e soprattutto Sue Ellen, la moglie alcolizzata del cattivissimo J.R. E anche chi era troppo giovane per ricordarselo, sa comunque chi è Sue Ellen: basta un articolo di moda sul power dressing che ecco ricomparire le foto dell’epoca, i suoi capelli vaporosissimi e importanti, le sue spalline imbottite, i completi di Armani.
Niente a che vedere con la Linda Gray di oggi, una bellissima signora di 75 anni che ne dimostra 20 di meno e che quando incontro in un albergo di Los Angeles indossa pantaloni morbidi color verde scuro con maglietta dello stesso colore.
Da poco uscito negli Usa e in Inghilterra, il suo primo libro si intitola The Road to Happiness Is Always Under Construction, «la strada verso la felicità è sempre in costruzione», ed è una autobiografia dettagliata e sincera di una vita non facile, segnata dalla poliomielite contratta da bambina, una madre alcolizzata, una sorella morta di cancro, un matrimonio lungo (con il fotografo e art director Ed Thrasher, ndr) ma piuttosto infelice e chiuso col divorzio, e da un successo arrivato tardi, a 38 anni, quando le attrici di Hollywood sono di solito pensionate. Per la cronaca: i capelli sono rimasti meravigliosi, tanto che la cameriera che ci serve la colazione e che a occhio all’epoca di Dallas non era neanche nata, per prima cosa le fa i complimenti per l’acconciatura.

Come mai una autobiografia proprio ora?
«Erano anni che me lo chiedevano, ma non avevo tempo. E poi volevo essere pronta a essere assolutamente sincera. Alla fine è stato divertente e pensi che ho scritto a mano, prendendo appunti su fogli di block notes gialli, come si faceva un tempo. Amo la tecnologia, ma sono nata in un’epoca pre computer e scrivere su una tastiera per me resta qualcosa di artefatto. Così mi è sembrato un processo più naturale: dalla mente alla mano passando per il cuore».
Lei è diventata famosa interpretando una donna con problemi di alcol. Nel libro rivela che sua madre ha sofferto per anni di alcolismo. Si è ispirata a lei?
«No, mai, ho voluto appositamente tenere le due cose separate. Però interpretare Sue Ellen ha in qualche modo costretto me e mia madre a parlare della sua situazione. Prima di iniziare a girare andai a trovarla e le diedi in mano il copione. Volevo che lo leggesse prima, che fosse preparata. Ed era anche il mio modo per dirle: “Non possiamo più fare finta di niente, dobbiamo parlare del tuo problema”».
È servito?
«Sì. Quel giorno si aprì una porta e mia madre acconsentì a farsi aiutare. Non è stata l’unica: non ha idea di quante persone mi hanno detto di essersi fatte curare anche grazie a Dallas e a Sue Ellen. Prima di allora di alcolismo soprattutto femminile non si parlava: esisteva, tutti lo vedevano, ma nessuno lo affrontava».
Ha guardato la serie Mad Men? Tutte le volte che vedevo Don Draper bere io pensavo a Sue Ellen…
«Anche io. In fondo sono figli della stessa cultura, che è poi la mia, l’ambiente in cui sono cresciuta. Negli anni ’60 tutte le case avevano il mobile bar e le bottiglie ben in vista in salotto. Bere era normale e degli effetti a lungo termine dell’alcol si sapeva poco o se si sapeva si ignorava».
L’altra cosa che mi sono sempre chiesta è cosa ci fosse nei bicchieri di Sue Ellen.
«Tè freddo allungato con acqua fino a ottenere il colore perfetto. Ho bevuto litri di acqua in quel periodo. Sarà per quello che sono invecchiata bene: ho passato anni super idratata!».
L’altra scoperta del libro è che lei e Larry Hagman, ovvero J.R., eravate molto amici.
«E lo siamo stati fino alla sua morte (nel 2012, ndr). Adoravo Larry e sua moglie Maj, per me sono stati come una seconda famiglia. Quando mi sono separata da mio marito, nel 1983, Larry e Maj mi hanno preso sotto la loro ala, mi portavano in giro, mi presentavano gente, si assicuravano che non fossi troppo triste».
È stato lui a dire una delle frasi più belle del libro: «Ridere così tanto che ti esce lo champagne dal naso»?
«Esattamente. Non è un’immagine bellissima? E sono contenta che sia uno dei messaggi del libro perché descrive bene come fosse Larry, una persona capace di ridere e far ridere gli altri e che amava la vita più di ogni altra cosa. Mi manca tantissimo».
E Patrick Duffy, il fratello buono di J.R., lo sente?
«Sì, l’ultima volta per telefono, due settimane fa. La gente si stupisce, ma noi di Dallas siamo stati davvero una famiglia».
Sue Ellen era una vittima?
«Vittima no, era una che reagiva: J.. faceva qualcosa e lei rispondeva, di solito tirando bicchieri o avendo storie con uomini più giovani. Il problema è che il personaggio è rimasto sempre troppo uguale: io lo dicevo ai produttori, guardate che le donne stanno cambiando, dobbiamo farla evolvere, ma loro non mi hanno mai ascoltata».
In compenso cambiava lei: nel 1983, dopo più di 20 anni di matrimonio e due figli, decideva di divorziare da un marito che abusava psicologicamente di lei…
«La forza me l’ha data anche Sue Ellen. Mio marito mi ha amata, non posso dire di no, solo che non amava il mio lavoro e ancora meno il fatto che avessi successo. Fosse stato per lui non avrei neanche dovuto cominciare a recitare: ha cercato in tutti i modi di impedirmelo».
Come mai non si è più risposata?
«Sto bene così. Adoro essere libera e se decido di andare quattro mesi a Londra a lavorare in teatro, non devo chiedere il permesso a nessuno. Però ho avuto altre relazioni, solo che non ho mai più sentito l’esigenza di fondere completamente la mia vita con quella di un altro».
Ha avuto storie con uomini più giovani?
«Non chiedo mai l’età e non mi piace quando la chiedono a me. Le relazioni sentimentali non hanno niente a che vedere con l’età, sono fatte di scambi di energia, di sguardi, di intesa».
In effetti un gentiluomo non dovrebbe mai chiedere l’età a una signora…
«Alcuni però si pensano furbi e incominciano a farmi domande sui miei figli, in modo da risalire alla mia età. L’ultimo che ci ha provato è stato subito zittito e rimandato a casa».
Per me il suo prossimo libro deve essere su questo: l’amore e il sesso dopo i 60.
«Ma sa che è un’idea? Dovrei scrivere un manuale. La gente pensa che a una certa età non si pensi o non si faccia più sesso, ma non è assolutamente così. Io e le mie amiche frequentiamo uomini, e tra noi ci raccontiamo un sacco di storie, avrei già molto materiale pronto».
Iniziamo subito: prima regola del manuale sul sesso over 60?
«Ognuno dorme a casa propria».