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 2015  ottobre 15 Giovedì calendario

ABBIAMO UN FUTURO MOLTO RINNOVABILE


[Edoardo Garrone]

Non ci sono più le certezze di una volta, dal segreto bancario svizzero all’affidabilità dell’industria tedesca. E può anche succedere che un petroliere venda la sua raffineria e investa nel suo opposto, cioè le energie rinnovabili, abbandonando oli combustibili, zolfi e miasmi, per passeggiare disturbato solo dal fischio del vento (delle sue pale eoliche) e dal fragore dell’acqua (delle sue centrali idroelettriche). È quello che ha fatto Edoardo Garrone, presidente della Erg, trasformando il gruppo fondato da suo nonno nel primo operatore italiano dell’eolico a cui si aggiungono, da inizio agosto, un consistente impegno nell’idroelettrico.
Presidente, cominciamo da qui. Il 6 agosto, mentre gli italiani guadagnavano il loro ombrellone in terza fila, lei investiva un miliardo di euro acquistando dalla tedesca Eon sette dighe e 16 centrali idroelettriche.
«Abbiamo lavorato un anno sull’acquisizione. Il futuro è nelle rinnovabili, l’inquinamento non si ferma, grandi Paesi industrializzati sono in ritardo nella riduzione delle emissioni. L’Italia invece è stata colpita dall’ansia del 20-20-20 (gli obiettivi Ue al 2020 su riduzione gas serra, utilizzo rinnovabili, risparmio energetico, ndr) e ha centrato l’obiettivo, anche se forse esagerando con gli incentivi».
Altri investimenti in arrivo?
«In Italia non per l’eolico, qui ormai ci sono poche possibilità di sviluppo. Quello che si potrebbe fare è sostituire le vecchie pale con altre più efficienti, con una formula – nuovi investimenti in cambio di meno incentivi – che magari andrebbe bene anche nel fotovoltaico (su 12 miliardi l’anno di incentivi, il fotovoltaico ne incassa 6,8, l’eolico 1,5, l’idroelettrico 1,2, ndr). I nostri piani di crescita sono in Europa, in particolare in Francia, Germania e Polonia.
E nell’idroelettrico?
«Lì invece potremmo valutare altre operazioni in Italia. Ci sono una serie di concessioni in scadenza».
Quanti soldi avete ancora in cassa per gli investimenti?
«Circa 500 milioni di euro».
Tutto è iniziato con la cessione della raffineria di Siracusa ai russi di Lukoil. Avete incassato circa 2 miliardi...
«In effetti l’obiettivo iniziale non era uscire del tutto dalla raffinazione. Abbiamo cercato un partner a lungo, con Q8, Tamoil, e abbiamo anche studiato un polo tutto italiano con la Saras dei Moratti e l’Api di Brachetti Peretti».
Perché non ha funzionato?
«Qualcuno aveva problemi di governance, mettiamola così».
Un piede nell’energia tradizionale però ce l’avete sempre.
«Sì, con la centrale a gas in Sicilia e il 51 per cento della rete di distributori TotalErg. Sono 2.700, ma per noi oggi è una partecipazione finanziaria».
Dalla raffineria alle rinnovabili, sempre e solo energia. Mai una diversificazione, mai un piede fuori dal seminato.
«Abbiamo studiato delle alternative, ma abbiamo così tanto spazio per crescere nelle rinnovabili... perché andare a cercare attività che non conosciamo? Il mondo è pieno di liquidità, il problema sono le idee. E in passato i tentativi di fare cose diverse ci hanno fatto solo perdere soldi. Anche se nei mesi scorsi ci hanno prospettato una serie di alternative, io credo che non si sbaglia mai se si investe nel settore che si conosce».
Ma chi è che decide le strategie?
«In azienda la famiglia è rappresentata da me, dai miei fratelli Alessandro e Vittorio e da mio cugino Giovanni. Una volta l’anno, a meno che non ci siano eventi eccezionali, ci riuniamo per informare tutti i familiari-azionisti. E poi naturalmente ci sono i manager».
Quattro parenti in tutto. È il risultato di regole precise?
«No. Non abbiamo mai avuto regole scritte. Ma qualcosa sta cambiando, perché è in arrivo la quarta generazione, che è piuttosto numerosa. Così stiamo studiando un aggiornamento nello statuto della holding (la San Quirico, ndr), e forse ci daremo regole scritte. Per non sbagliare, abbiamo studiato i casi di oltre 100 famiglie».
Che obiettivi avete?
«Innanzitutto garantire una visione unitaria della famiglia. E poi dare più autonomia sulla quota di patrimonio dei singoli (tradotto: libertà di vendere le azioni, ndr), senza però che questo porti a un’eccessiva frammentazione del capitale. Resta l’elemento di fondo: un’azienda sana è un beneficio per tutti».
Lei ha un debole per Confindustria. Agli inizi del 2000 è diventato presidente dei Giovani, poi è stato nel direttivo degli ultimi tre presidenti, Montezemolo, Marcegaglia e Squinzi. Ora è partita la corsa per succedere a Squinzi...
Senza Confindustria, non si fanno politiche industriali... Quanto alla presidenza, è un tema su cui non ho alcuna intenzione di esprimermi. Mi auguro che la scelta venga fatta con il rispetto delle procedure, cosa che in passato non sempre è successa. Quindi i miei commenti li farò solo al momento giusto ai saggi (i tre imprenditori che svolgono le consultazioni pre-elettorali, ndr), se mi chiameranno... Ma penso che mi chiameranno».
Il prossimo presidente si troverà la strada spianata: c’è la ripresa e il governo vi sta dando anche quello che non avete mai osato chiedere.
«Sulla ripresa sono ottimista, usciamo dal tunnel, ma è ancora a macchia di leopardo, per esempio nel manifatturiero ci sono molte situazioni difficili».
E Renzi? Vuole abbassarvi le tasse, mette all’angolo il sindacato...
Non ho difficoltà a dire che apprezzo il Jobs act, anche se fino a che non sarà vera ripresa non ne vedremo interamente gli effetti. Ma il Paese ha bisogno di molto altro, e sono tutte cose ancora da fare. Ci aspettiamo una vera riforma fiscale, perché il sistema ormai è davvero ingestibile. E poi la pubblica amministrazione, la giustizia, una spending review seria. Quanto all’intervento sui contratti, sarebbe meglio che il governo non si intromettesse in questioni che devono essere oggetto di negoziato tra le parti.