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 2015  ottobre 14 Mercoledì calendario

LE RAGIONI DELL’ECONOMIA

Scritta di getto, inizialmente incongruente in molti punti, la riforma costituzionale è via via migliorata durante i lavori parlamentari. Un percorso che si è avvalso, in una prima fase, anche del positivo apporto delle opposizioni. È un peccato perciò che quelle stesse opposizioni si siano poi sfilate, determinando un’approvazione a maggioranza di una riforma costituzionale che rivoluziona il funzionamento delle istituzioni. Un cambiamento necessario. Perché la prosperità dei Paesi, oggi in diretta competizione tra loro, si gioca anche sull’efficienza dei rispettivi sistemi istituzionali.
Per difendere la democrazia bisogna oggi renderla più efficiente, adeguandola se non alle migliori pratiche, almeno alla “normalità” delle democrazie occidentali. Basta ricordare che in nessuno dei 28 Paesi dell’Unione Europea vige quel bicameralismo paritario che la riforma intende archiviare. L’unica eccezione in qualche modo assimilabile all’Italia è la Romania, ma anche lì c’è un cambiamento in atto.
Superare la simmetria tra le due camere, frutto dei veti non altrimenti superabili nei lavori dei padri costituenti, è un passo avanti nella efficacia del processo legislativo che non si può sottovalutare. Si poteva fare meglio, certo. E i critici della riforma hanno le loro ragioni nel sottolineare la complessità della facoltà attribuita al Senato dei richiami motivati (la possibilità di intervenire nel merito dei disegni di legge). Così come sarebbe stato meglio affermare con ancora maggiore chiarezza il potere del governo di portare in votazione i suoi provvedimenti entro un tempo prestabilito. Un punto, quest’ultimo, essenziale per superare l’anomalia dell’abuso della decretazione d’urgenza, strumento surrettiziamente utilizzato dai governi proprio per aggirare tempi parlamentari troppo lunghi (per approvare una legge oggi in Italia sono mediamente necessari 193 giorni).
Ma il sistema delle navette tra le due Camere è definitivamente archiviato. Il Senato continuerà ad esercitare il suo pieno potere legislativo sulle leggi costituzionali e su quelle che riguardano gli enti locali e la partecipazione all’Unione europea, sul resto solo i poteri di richiamo. Prerogative, queste, che mirano a garantire un intervento preventivo delle autonomie regionali sulle leggi, per evitare i conflitti successivi che tanto hanno intasato il lavoro dei giudici costituzionali, rendendo il diritto incerto per i cittadini e per le imprese.
Sarà il nuovo Senato fatto di rappresentanti dei Consigli regionali in grado di svolgere questo delicato compito? Qui i dubbi sono più che legittimi. È forse la scommessa più difficile di questa riforma. Oggi le Regioni esprimono forse il peggior ceto politico italiano. La nuova architettura costituzionale produrrà un avanzamento complessivo solo se contribuirà al miglioramento della qualità di questa politica.
Se così sarà, il nuovo Senato rappresenterà il luogo politico dove dirimere preventivamente le possibili controversie. Fondamentale, in questo senso, è la riscrittura del Titolo V contenuta nella riforma. Il superamento delle materie di competenza concorrente, prevista dalla pasticciata riforma del 2001, contribuirà ad alleggerire il lavoro della Corte costituzionale, ma soprattutto garantirà più certezza del diritto e meno interlocutori burocratici alle imprese.
Con l’articolo 117 tornano ad essere competenza esclusiva dello Stato materie strategiche per l’economia e per lo sviluppo del Paese, dalla «produzione, trasporto e distribuzione nazionali dell’energia» alle «infrastrutture strategiche», dalle grandi reti di trasporto alle politiche del lavoro, dall’istruzione e formazione all’ordinamento delle professioni, e poi l’ambiente, il commercio estero, i beni culturali. Una risistemazione – non intaccata dall’emendamento all’articolo 116, approvato la scorsa settimana, che amplia le potestà legislative delle regioni con i conti in ordine – da cui potrà trarre vantaggio tutta l’economia, permettendo alle imprese di saltare il vero e proprio slalom cui erano costrette tra decine di regole territoriali diverse.
Ad ulteriore garanzia di questi principi, l’articolo 117 introduce anche la cosiddetta clausola di supremazia dello Stato, in base alla quale «la legge dello Stato può intervenire in materie o funzioni non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richiede la tutela dell’unità giuridica e dell’unità economica della Repubblica o lo rende necessario la realizzazione di programmi o di riforme economiche-sociali di interesse nazionale». È una novità colpevolmente dimenticata dal dibattito di questi mesi, ma che è di importanza fondamentale, come ben sa chiunque abbia avuto in questi anni a che fare con la frammentazione legislativa e con i poteri di interdizione locali su riforme strategiche per l’economia.
Funzionerà? Lo sapremo per davvero solo attraverso la prova dei fatti. Ma immobili come i semafori, mentre tutto intorno si muove, non si poteva restare. A meno di rassegnarci alla crescita lenta di un Paese zavorrato da un sistema istituzionale del secolo scorso.
Fabrizio Forquet, Il Sole 24 Ore 14/10/2015