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 2015  ottobre 14 Mercoledì calendario

Intervista a Lucas Castro (Chievo) lucas è rock. Adriano Celentano non avrebbe dubbi. Ma neppure Rolando Maran ne ha

Intervista a Lucas Castro (Chievo) lucas è rock. Adriano Celentano non avrebbe dubbi. Ma neppure Rolando Maran ne ha. E, dopo averlo visto all’opera nelle due versioni, musicista e calciatore, neppure noi e neppure il terzino Massimo Gobbi che, come Castro, ha la musica nel sangue, la chitarra come hobby e il calcio come lavoro. Anche il Chievo con Castro e Gobbi, è diventato rock, come quel Catania di Maran (2012-2013) che con quasi solo argentini entusiasmava l’Italia. «E io, Gomez, Spolli e Izco, che, per la verità faceva baccano, improvvisammo un complessino. Gomez cantava, Spolli rullava una specie di tamburo, ma al Chievo ho trovato Gobbi che suona bene», dice Castro che si presenta con la chitarra e l’ukulele. Mentre il terzino, che col Verona gli ha servito sulla testa il cross per il gol, ricambia: «Andate su YouTube e guardate i video di Lucas, suona e canta bene». Castro, ha mai pensato di mollare il pallone per la musica? «Non me la sono mai sentita. Il calcio dà da vivere, la musica a me no. E ho moglie (Fernanda) e due figli (Dante, 4 anni e Juana 10 giorni). Ho iniziato da ragazzino, con gli amici a Buenos Aires, qualcuno suona ancora nei locali». Chi erano gli idoli? «Tra i sudamericani i Los Redondos e i No te va gustar, un gruppo uruguaiano. Tra gli italiani Tiziano Ferro ed Eros Ramazzotti. Avrei voluto andare al concerto di Eros». In Argentina è nato anche il soprannome, El Pata. Perché? «Vuol dire piedone. Da ragazzino avevo il 45...». Un piedone che le consente di giocare benissimo. Lei è una sorpresa di questo avvio di campionato. Prima si sentiva sottovalutato? «No, ero nuovo a Catania. Mi portò in Sicilia Sergio Gasparin. Poi ho avuto qualche problema: rottura del collaterale e intervento per ernia inguinale. Con Marcolin mi sono ripreso». Ma il suo mentore è Maran, che l’ha poi voluta al Chievo. «Sì, c’è stato subito feeling. L’ho capito perché cercava di inserirmi dove poteva (Maran conferma: «Ha qualità e l’ho capito, partiva come attaccante esterno, ma è una mezzala che fa tutto perché ha fisico e tanta gamba»). Io sono un centrocampista, molto offensivo, mi piace partire da dietro e lanciarmi, ma ho fatto pure il trequartista e la punta». Ora, invece, difende tanto. «Devo. Bisogna correre avanti e indietro, è uno dei nostri segreti». Gli altri quali sono? «Che la partita è la trasposizione dell’allenamento. Tutti devono fare tutto, c’è intensità, voglia, entusiasmo, non si fanno numeri, si gioca a due tocchi, semplice, si fa tutto insieme e in allenamento si dà il massimo». Per questo il Chievo ha smesso di soffrire o ora fa paura? «Sì». A Catania che succedeva? «Il centrocampo era affollato e facevo la punta nel 4-3-3. Ma quella prima esperienza con tanti argentini è stata fondamentale, mi ha aiutato parecchio per integrarmi». Chi era il più forte di tutti? «Barrientos. È voluto tornare a casa, nella sua squadra, il San Lorenzo». Amici? «Sì Gomez, è qui vicino a Bergamo e cucina bene l’asado. Poi Spolli che è a Carpi. Ci sentiamo spesso». Lei un idolo lo aveva? «Sì Riquelme, il più grande». Torniamo a Catania. È finita malissimo con squalifiche e retrocessione. Ma lei non si è mai accorto di alcun pasticcio? «A gennaio cambiarono tanti giocatori e restai io. Mai accorto di nulla, con noi Pulvirenti non parlava proprio». Al Chievo è un’altra musica... «Proprio così, a casa suono sempre, vivo felice a Verona, andiamo forte». E magari alla festa di Natale Castro e Gobbi suonano per la squadra. «Potremmo fare gli U2, i nostri preferiti».