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 2015  ottobre 14 Mercoledì calendario

FLORENZI, IL CORAGGIO DEL PETTIROSSO


Pindaro? Un ignorante. Nel senso che ignorava i numeri della bellezza: il pallone è stato colpito a 55,49 metri dalla meta e ha impiegato 3,16 secondi, viaggiando a una velocità di 63 km orari, per arrivare a destinazione. Pindaro avrebbe scritto un’ode su Florenzi versando retorica in abbondanza. La bellezza non si può ignorare. E per il gol di Florenzi, golazo colosal per “El mundo deportivo”, la reazione più giusta sarebbe un oooh di stupore, come quando un bambino vede per la prima volta il mare, o una nevicata. Lui s’è coperto la faccia con le mani, gesto tipico di chi non crede a quello che ha fatto, o ci crede e ne è allagato, oppure non sa che faccia fare. Qualcuno dovrà decidersi a scrivere un’ode per Florenzi, avevo scritto nel commento a caldo di Roma-Barcellona. Tempo un giorno e qualcuno ci aveva già pensato: Marco Ciriello, scrittore e appassionato di calcio. Io, davanti alla tv, ho fatto oooh come un bambino e ho pensato al titolo di un libro di Maurizio Maggiani, “Il coraggio del pettirosso”. Il pettirosso è un uccellino coraggioso, quasi spavaldo, sempre in movimento. Come Florenzi.
Che il mondo lo scopra solo adesso mi dà quasi fastidio, anche se mi fa piacere per lui. Un gol che ha unito nell’ammirazione vecchi campioni come Elano, freschi avversari come Piqué, colleghi come Pinilla, atleti lontani dal calcio come Roberta Vinci e perfino Matteo Salvini, che – ruspe a parte – sogna solo in rossonero. Ma c’era proprio bisogno di un pallonetto da metà campo per capire di che pasta è fatto questo ragazzo? Ma vi siete accorti di quanto corre? Ha una faccetta da film neorealista, “Roma città aperta” o “Ladri di biciclette”, fate voi. Nel caso delle biciclette, gliel’avrebbero rubata. Lui ruba solo palloni agli avversari. Da quando è salito fino in tribuna per abbracciare nonna Aurora, è diventato il simbolo del bravo ragazzo, simbolo certo non sgradito ma che rischia di sovrapporsi, oscurandola, all’immagine del bravo (per me, anzi bravissimo) giocatore di calcio. Non sarà perfetto, ma quanto mi piace. Parliamo prima delle doti umane: umiltà e onestà. Un altro, sentendosi paragonato a Maradona e a Recoba, avrebbe aperto la ruota come un pavone, ma tra pettirossi e pavoni c’è una differenza enorme. Ha tentato quel pallonetto, folle anche da pensare, perché era chiusa la linea del passaggio a Dzeko e perché, male che andasse quel tiro dalla linea laterale, almeno lasciava il tempo di tirare il fiato con la rimessa del portiere.
Credo sia stata una fortuna, per Florenzi, mangiare pane e pallone in una famiglia che pane e pallone mangiava già prima che lui nascesse. Nonno Nino, marito di Aurora, giocava in terza serie. Luigi, suo padre, ha giocato in Prima categoria fino a 43 anni e tra i bei ricordi giovanili colloca una partita con l’indimenticato Agostino Di Bartolomei. Emiliano, il fratello maggiore, è arrivato fino al Castel di Sangro. Piedi buoni, ma non aveva la testa del fratello, ha commentato Luigi. Che la carriera del Pettirosso l’ha seguita passo dopo passo, fin dai tempi dell’Acilia passando per Crotone. Uno dei crucci del Pettirosso riguardava la statura. Troppo bassino per sfondare. «Se arrivi a 1.73 va bene, altrimenti farai l’ascensorista come tuo fratello» gli diceva il padre. A 1.73 è arrivato e lì s’è fermato, ma solo lì, perché il resto è corsa, tanta corsa, anche troppa: tendenza a finire la benzina in anticipo, ma se uno nasce generoso non può giocare da taccagno. Anche questo mi piace di Florenzi, la generosità. E poi la capacità di adattarsi, strettissima parente dell’umiltà.
Ha giocato quasi ovunque, meno che in porta. Sta specializzandosi nel ruolo di terzino destro, dopo essere andato a ripetizione da Balzaretti. Ha giocato esterno di centrocampo, punta laterale. Altri, al posto suo, avrebbero da tempo fatto intervenire il procuratore. Altri così attenti ai dieci metri più avanti o più indietro, ai cinque metri più a destra o più sinistra, altri così pieni di sé e così vuoti di senso di squadra. Florenzi dove lo metti sta, come Di Livio, il Soldatino. A me, anche lasciando stare la corsa da nonna Aurora, Florenzi fa venire in mente personaggi deamicisiani: il piccolo scrivano fiorentino, la piccola vedetta lombarda. Sempre piccoli, direte. Sì, perché certi piccoli hanno una forza grandissima e non solo calcistica. In un’intervista al Corriere dello Sport, ho letto una frase di Florenzi padre: «Da bambino non voleva giocattoli, solo il pallone e gli scarpini. E quando ci chiedeva quelli da 200 euro e non potevamo permetterceli, allora si accontentava di quelli da 50». Drago, che lo allenò a Crotone, ricorda: «Tutti in campo domani alle tre, dicevo ai giocatori. Lui alle due era già pronto».
Il gol al Barça può essere una favola. Ma tutto il resto Florenzi se l’è costruito. La Roma non aveva enorme fiducia in lui, nemmeno aveva messo il diritto di riscatto sul contratto con il Crotone. Lo hanno riportato a casa Bruno Conti e Stramaccioni, lo ha riacquistato Sabatini. Deve ringraziarli, la Roma, e anche lo scopritore, Attilio Olivieri, e ancora papà Luigi, che ha festeggiato il golazo dando del somaro al figlio. Al figlio, quando era raccattapalle, dopo la partita persa con l’Arsenal, aveva detto, anzi aveva predetto: «Stasera la palla a Totti gliel’hai data con le mani, ma tra pochi anni gliela darai coi piedi». Nato e cresciuto a Vitinia, frazione di Roma tra la Colombo e l’Ostiense, Florenzi continua la tradizione dei romani romanisti. Capitan Futuro, in prospettiva, è lui. Ed è molto, molto strano che non sia titolare in Nazionale. Mi ricorda Amoros, può diventare Brehme se migliora ancora e se non cambia ruolo, ma forse a fare il terzino ci sta prendendo gusto. Lo chiamerò Robin, in inglese pettirosso. Oppure lo abbrevierò in Flor, che in spagnolo significa fiore. Oppure penserò con calma a qualcosa in italiano. Perché Florenzi continuerà a crescere, anche se si è fermato a 1.73.