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 2015  ottobre 12 Lunedì calendario

L’ADDIO DI BAZOLI L’ULTIMO BANCHIERE DEL NOVECENTO

Può sembrare singolare che l’annuncio dell’imminente (?) ritiro di un banchiere quasi ottantaquattrenne che da più di trent’anni guida quella che è diventata la prima banca italiana susciti quasi stupore. Ma Giovanni Bazoli, presidente del Consiglio di Sorveglianza di Intesa San Paolo, che ha il merito di aver creato da un disastro un quasi-successo, non è un semplice top manager, incarna l’ultima raffica dei banchieri “di sistema” che per mezzo secolo hanno di fatto governato l’inerte capitalismo italiano tra conflitti d’interesse, salotti, affari spesso opachi e politica. Non solo, è l’icona della finanza cattolica, che si è contrapposta, con alti e bassi, a quella del papa laico Enrico Cuccia fino alla sua morte. “Salvare l’Ambrosiano è come allacciarsi il cappotto partendo dal bottone sbagliato”: così Cuccia accolse acidamente l’avvocato bresciano chiamato da Nino Andreatta a risanare la scia di scandali e l’eterna questione della sistemazione della Rcs, che dopo trent’anni continua ad agitare le cronache finanziarie. I tardi successori di Cuccia in Mediobanca Alberto Nagel e Renato Pagliaro giurano che non c’è una banca di sistema perché il sistema non c’è più e quando c’era era “contronatura”. Lo stesso amministratore delegato di Intesa San Paolo Carlo Messina sostiene che non è più tempo di salotti e operazioni di sistema. Ma Bazoli continua a pensarla diversamente, come ha ben spiegato tempo fa in un’intervista al Financial Times. “Oggi – disse – va per la maggiore l’opinione comune che la causa dei fallimenti del sistema economico e finanziario italiano sia il cosiddetto capitalismo di relazione. Invece io penso che dobbiamo considerare che la storia di qualsiasi società, così come quella di ogni gruppo sociale, famiglia e nazione sia sempre una storia di relazioni”. Insomma, le relazioni personali sono “la cosa più importante della nostra vita” e “l’unico vero problema nelle relazioni che intervengono negli affari è una questione di qualità delle relazioni, se esse sono positive o negative, corrette e trasparenti oppure corrotte e intricate”. Ecco appunto, sistema o non sistema, gli ultimi eventi (si pensi alle banche venete tra i locali salottini provinciali) stanno lì a dimostrare che correttezza e trasparenza sono ancora una merce rara nel mondo della finanza. Dietro c’è la visione cattolica dell’alta finanza, che più volte il banchiere bresciano, figlio di Stefano, membro dell’assemblea costituente e nipote di Luigi, deputato del regno, ha spiegato così: “Sono stato guidato dall’obiettivo di far rinascere l’istituto che mi era stato affidato, difendendone l’indipendenza di fronte alle ripetute aggressioni, ma anche dall’intento di concorrere allo sviluppo sociale e culturale del paese”. Una rivendicazione esplicita del versante etico-sociale, dell’ispirazione cristiana e dell’economia solidale. Tra i compiti di sistema, Bazoli aveva il “mandato morale” ricevuto da Gianni Agnelli in un incontro del 2002 a villa Frescot di vigilare sulle sorti del Corriere della Sera, pietra preziosa e eterno bubbone della finanza e della politica italiane. Come è finita, tra i debiti, lo si è visto. Nell’annunciare il suo ritiro Bazoli ha rivendicato la sua estraneità e sottintesa critica all’operazione Mondadori-Rizzoli Libri. Ma chissà se resta davvero l’ultimo giapponese nella vecchia foresta del capitalismo di relazione. a.statera@repubblica.it
Alberto Statera, Affari&Finanza – la Repubblica 12/10/2015