Roberto Napoletano, Domenicale – Il Sole 24 Ore 11/10/2015, 11 ottobre 2015
L’OSPEDALE DI BRISTOL E IL CIELO DI CASA
«Sai, ogni tanto ci penso, sono un uomo fortunato, di certo privilegiato, mi sveglio alla mattina e faccio il lavoro che mi piace, mi viene voglia di correre in ospedale perché a Bristol la qualità lavorativa è altissima, la disponibilità e la voglia di trasferirti competenze sono totali. Ho fatto tutto quello che desideravo, ho fatto medicina che era quello che volevo fare e ci sono riuscito, ho fatto chirurgia plastica ed era la specialità che sognavo, ho trovato subito un lavoro in una scuola di eccellenza, certo negli ultimi sei mesi non mi sono preso un giorno di vacanza, ma ora anche mia moglie e mia figlia mi raggiungono, che posso desiderare di più». Ha due occhi blu pieni di luce e li infila nel finestrino con l’ansia di scrutare nuvole e cielo, un portamento gentile e una faccia simpatica, Luigi Troisi, mezzo salernitano mezzo triestino, è seduto nella mia stessa fila sul volo Milano/Napoli di giovedì scorso, dice queste parole a voce alta e non so se le dice rivolte a me o alla sua collega veneziana, Giulia, come lui studi di specializzazione in chirurgia plastica a Trieste e ora in stage allo stesso ospedale di Bristol, due ore e mezza da Londra.
Li guardo entrambi e mi colpiscono, a un certo punto si rivolgono direttamente a me e le voci si accavallano, ripetono la stessa cosa: a Bristol muoiono tutti dalla voglia di spiegarti tutto, apprezzano che fai domande, le gerarchie esistono, ma nessuno ti tratta come l’ultimo degli ultimi, anche gli infermieri ti insegnano qualcosa, e poi non litigano mai, non sbraitano. Giulia da sola, scandendo bene le parole: viene voglia di tornare a Bristol. E lui, rispondendo a una mia domanda, puntualizza: «Genitori e suoceri stanno a Salerno, mia madre è triestina, la mia famiglia si ricongiunge a Bristol e se la nonna vuole vedere la nipotina deve fare due ore di volo, che sarà mai?». Gli chiedo: hai nostalgia dell’Italia? Mi risponde così: «Posso dirle che mi succede una cosa stranissima, appena esco dall’aeroporto a Trieste, a Milano, a Napoli o a Roma sia che piova sia che ci sia il sole provo sempre la stessa sensazione perché secondo me il cielo è diverso, capisco che sono in Italia e sono contento». Poi, aggiunge, ogni volta che resto in Italia qualche giorno di più, mi capita sempre di incontrare qualcuno che mi dice puntualmente “Bravo, beato te, senza che nemmeno immagini la fatica di stare fuori, di allontanarsi da casa, pensa che si vada suppergiù in vacanza, in realtà ti aspetta la fatica vera ma ti apre la mente, non avevo una visione critica delle cose e andando in Inghilterra me la sono conquistata, ho completamente cambiato punto di vista, ho imparato una visione critica attraverso una tecnica di lavoro diversa e cerco di prendermi il meglio dalla chirurgia plastica inglese e di tenermi il tanto di ottimo di quella italiana”.
Ormai Luigi si è sbloccato e prosegue così: «Sono nell’associazione dei giovani chirurghi, qui ci sono molti giovani veramente validi però c’è sempre il problema delle baronie, una delle differenze maggiori tra i direttori e gli aiuti in Italia e il capo del dipartimento inglese, che ha più oneri che onori, ma ha voglia di insegnare a chi è un gradino sotto sperando che in futuro sia bravo almeno quanto lui, cosicché se avrò bisogno in futuro di lui so di essere in buone mani. In italia non c’è ancora questa mentalità, c’è una sorta di competizione, di confronto, devi apprendere tu da solo e lo devi fare al meglio, solo così si custodisce un segreto. La sanità italiana è al terzo posto tra le eccellenze nel mondo e mi arrabbio per i troppi pregiudizi che si porta appresso fuori dall’Italia, ma io quando parlo con Umraz Khan, ormai più inglese che pakistano, direttore di Bristol, o con Zoran Arnez, che è passato da direttore della chirurgia plastica di Lubiana a Trieste, imparo sempre qualcosa con il dialogo e sul campo, e mi sembra di farli felici». Giulia vuol dire un’altra cosa, amara, e me la racconta così: «A Bristol in ospedale è tutto bellissimo, ma per trovare una casa in affitto nemmeno mi rispondevano solo perché ero italiana, poi mi sono sistemata in un appartamento con altri stranieri, una ragazza cinese e una polacca». Il comandante annuncia che stiamo per atterrare a Napoli, li guardo e penso tra me e me che sono stato fortunato, perché questo viaggio breve mi ha insegnato tante cose, anzi me le ha fatte toccare con mano. D’ora in poi sarò ancora più deciso nel sostenere che non c’è nessuna fuga di cervelli dall’Italia perché i ragazzi vanno dove credono di potere vivere e lavorare meglio, il punto è che il Paese più bello al mondo, cioè l’Italia, deve tornare ad essere il luogo dove ciò accade, questo mi dicono Luigi e Giulia con il loro amore per l’ospedale di Bristol e il cielo di casa.
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Roberto Napoletano, Domenicale – Il Sole 24 Ore 11/10/2015