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 2015  ottobre 11 Domenica calendario

RIFORME, L’ATTUAZIONE SALE AL 63% MA LA DELEGA PA SEGNA IL PASSO

ROMA
A piccoli passi l’attuazione delle grandi riforme degli ultimi tre governi va avanti e guadagna due punti percentuali, passando in due mesi dal 60,9 al 62,9 per cento. La pausa estiva non ha sicuramente giocato a favore, rallentando il lavoro dei tecnici dei ministeri. Ora che i lavori – governativi e parlamentari – hanno ripreso a girare a pieno regime, la situazione che si presenta vede il pacchetto di interventi economici anti-crisi e per il rilancio del Paese varato dall’Esecutivo Monti sempre più vicino al traguardo: l’applicazione ha raggiunto l’82,3% (era dell’81,5% a inizio agosto). Le riforme adottate con Letta a Palazzo Chigi sono state tradotte in pratica per il 68% (due mesi fa il livello era al 66%), mentre le misure messe in campo da Renzi hanno guadagnato circa quattro punti percentuali, passando dal 34,7 al 38,4 per cento. C’è, però, da tener conto della partita aperta con le deleghe: da una parte Jobs act e Fisco hanno concluso la prima fase; dall’altra quella sulla Pa deve ancora muovere i primi passi.
Il bilancio
Il processo di smaltimento dei decreti necessari a rendere efficaci le riforme va avanti su due binari. Il primo è quello dei provvedimenti adottati: negli ultimi due mesi sono arrivati al traguardo altri 20 atti, portando la quota totale delle misure varate dagli ultimi tre governi a 672 regolamenti. L’altra leva – per quanto meno incisiva – è quella della decadenza di alcuni provvedimenti attuativi, che strada facendo hanno perso la ragione d’essere perché superati da nuove norme. Nonostante al pacchetto dell’attuale esecutivo si sia aggiunta la riforma della legge fallimentare, lo stock complessivo si è ridotto, scendendo da 1.071 a 1.069 atti. Il taglio riguarda soprattutto le riforme più datate, tant’è che quelle di Monti hanno “perso” quattro regolamenti e quelle di Letta uno.
Il taglia-decreti
Il fardello resta comunque pesante, ma ora potrebbe essere alleggerito di almeno un centinaio di provvedimenti grazie alla norma inserita nella riforma della pubblica amministrazione. La misura consente al Governo di liberarsi dei decreti attuativi che hanno perso senso. Entro l’autunno i ministeri dovranno completare il monitoraggio degli atti non più necessari, che saranno lasciati morire. Questo intervento viene rafforzato dagli effetti di un’altra norma sul silenzio-assenso, sempre contenuta nella delega Pa, che dovrebbe eliminare il collo di bottiglia rappresentato dal concerto tra ministeri, facendo in modo che il parere delle varie amministrazioni arrivi in tempi certi. In caso di ritardo, la decisione spetterà a Palazzo Chigi.
Il cantiere
C’è poi la volontà sempre dichiarata dal governo di varare riforme il più possibile autoapplicative. Al momento, secondo Palazzo Chigi, dei 120 provvedimenti adottati dall’attuale esecutivo e pubblicati in «Gazzetta Ufficiale», il 48% non richiede norme di secondo livello. La strada per ridimensionare il ricorso ai decreti attuativi è, dunque, ancora lunga. Tanto più che anche l’uso delle deleghe, a cui il governo Renzi ha affidato parte del progetto riformatore, richiede un lungo e complesso lavoro di attuazione: prima i decreti delegati e poi, ingenerando un effetto matrioska, i decreti ministeriali necessari a rendere efficaci i primi. E se per il Jobs act e la delega fiscale la prima fase è completata, per la legge Madia, approvata due mesi fa, il cantiere deve ancora partire nonostante il Governo avesse promesso i primi decreti delegati per settembre (si veda pagina 3). Sullo stock dei provvedimenti in attesa incombe, poi, l’ipoteca delle riforme ancora all’esame del Parlamento, dove arriverà a breve la legge di stabilità, con il suo prevedibile carico di regolamenti .
Antonello Cherchi, Andrea Marini e Marta Paris, Il Sole 24 Ore 11/10/2015