Silvia Bencivelli, il Venerdì 9/10/2015, 9 ottobre 2015
CHI GONFIA I PREZZI DEI FARMACI
«È mio, e decido io». Per diventare «l’uomo più odiato d’America», Martin Shkreli ha risposto così a chi gli chiedeva perché avesse deciso che il Daraprim, farmaco della sua Turing Pharmaceuticals, dovesse passare da 13,5 dollari a 750. È un aumento del 5.456 per cento del prezzo, o se preferite di 55,5 volte, ed è avvenuto da un giorno all’altro. Ma «è il capitalismo» ha detto Shkreli. E pazienza se parliamo di salute. Quella di Shkreli, trentaduenne imprenditore nato a Brooklyn in una famiglia metà croata e metà albanese, sedicente genio della finanza e spregiudicato speculatore dai suoi vent’anni, è stata una boutade di un paio giorni. Poi il prezzo del Daraprim è rientrato, con un gesto di plateale rassegnazione di Shkreli alle proteste che si stavano levando da mezza America. Intanto però il mercato ha mostrato la sua fragilità, i politici hanno preso posizione sul «capitalismo» di cui sopra, e le azioni dell’intero comparto farmaceutico sono crollate per il timore dell’arrivo di un calmiere ai prezzi. L’uomo più odiato d’America, senza volerlo, ha mostrato che il mercato del farmaco deve cambiare.
Il Daraprim (cioè la pirimetamina) è una molecola antiparassitaria sviluppata 62 anni fa dal premio Nobel Gertrude Belle Elion. Inizialmente studiata per la malaria, oggi si usa soprattutto per la cura della toxoplasmosi negli immunocompromessi. Cioè: è un farmaco vecchio e per pochi (8.821 persone in Usa, secondo i dati Ims Health del 2014), ma per quei pochi è importante. Martin Shkreli ne ha comprato i diritti di vendita in agosto, dopo che il farmaco era passato dalla GlaxoSmithKline alla CorePharma e poi agli Impax Laboratories, e aveva già visto aumentare il prezzo a ogni passaggio. Così Shkreli non ha speso niente in ricerca, ma si aspettava guadagni di milioni di dollari.
Gli è andata male, perché un aumento del 5.456 per cento è davvero troppo. E perché non poteva passare inosservata nemmeno l’incredibile arroganza con cui ha risposto a (pochi) giornalisti e (moltissimi) indignati su Twitter. Ma non è la prima volta che fa una cosa simile, e soprattutto non è l’unico a farla. Il gioco è semplice: si compra un farmaco vecchio. Se ne diventa monopolisti. E si comincia a venderlo come farmaco di élite. L’anno scorso Shkreli ha fatto questo gioco con il Thiola (la tiopronina), un farmaco per una malattia genetica che colpisce l’apparato urinario, aumentandone il prezzo del duemila per cento in una notte. Intanto, altre aziende un po’ più silenziose facevano più o meno lo stesso con vecchi antibiotici come la doxiciclina, la cicloserina e la tetraciclina, la cui produzione costa pochi centesimi di dollaro. E il prezzo della clomipramina, un antidepressivo anni Sessanta, saliva del 3.600 per cento. Cioè in America l’incredibile ascesa dei prezzi di certi farmaci è ormai una tendenza generalizzata. E Shkreli non è un filibustiere solitario: è solo il più folle e narciso. Che ha fatto emergere il problema.
Così, finalmente, mentre lui spiegava a Bloomberg Business che «il Daraprim a 750 dollari, in realtà, è ancora sottoprezzo» e dava dell’imbecille a chi chiedeva di intervistarlo, il candidato alle primarie democratiche per le presidenziali 2016 Bernie Sanders e la sua rivale Hillary Clinton mettevano il tema in cima alle agende. E il Nasdaq Biotech Index andava giù del 4 per cento, per paura della fine del gioco.
Può succedere anche in Italia? «La storia del Daraprim non ci tocca. E comunque in Italia una cosa simile non potrebbe succedere, perché da noi il prezzo dei farmaci importanti, rimborsati dal Servizio sanitario nazionale, viene negoziato a livello centrale» spiega Silvio Garattini, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri. A occuparsi della cosa è l’Agenzia italiana del farmaco. Luca Pani ne è il direttore generale e garantisce che la negoziazione è gestita «in maniera feroce: da noi paga lo Stato e dobbiamo essere oculati nella spesa». Tanto che alla fine «in Italia i farmaci costano anche meno della media europea».
Bisogna fare, però, qualche distinzione. I farmaci nuovi, come quelli per l’epatite C e quelli, in arrivo, per l’ipercolesterolemia, l’Alzheimer e alcuni tumori, possono essere molto cari anche per noi. E siccome servono a tantissime persone, c’è da rischiare la bancarotta del Servizio sanitario. Ma è giustificato che costino tanto?
Dipende da cosa si intende per «giustificazione». «Più che la ricerca e la produzione, a incidere sul prezzo di un farmaco è la raccolta dei dati per registrarlo» precisa Pani. Questo spiega perché costino tanto, ma non garantisce che, per noi, si tratti sempre di soldi ben spesi. «In realtà per i nuovi farmaci non c’è una correlazione diretta tra prezzo ed efficacia» spiega Giuseppe Traversa dell’Istituto superiore di sanità. La legislazione europea, cioè, chiede di dimostrare qualità, efficacia, sicurezza, ma non il valore aggiunto di un nuovo farmaco rispetto a quelli già esistenti. «Perciò rischiamo di avere farmaci nuovi che costano cari, e per di più funzionano peggio dei vecchi» chiosa Garattini.
E per quelli vecchi? Cioè: per quelli con più di vent’anni, e il brevetto scaduto? Anche qui, se alcuni costano tanto una spiegazione c’è. «Perché trovano una nuova indicazione terapeutica e rinascono» prosegue Pani. «È successo al talidomide: ritirato dal mercato nel 1961 perché causa di malformazioni neonatali, oggi è importantissimo in oncologia. Produrlo non costa molto, ma riproporlo ha richiesto nuove ricerche». Per la maggior parte dei vecchi farmaci però il mercato resta il solito, e il prezzo si abbassa. «Statine, antiulcera: hanno cali anche dell’80 per cento. Ovviamente le aziende hanno ancora guadagni» puntualizza Traversa. «Anche perché sennò smetterebbero di produrre».
Per limitare i prezzi dei vecchi farmaci la proposta del New England Journal of Medicine è incentivare la concorrenza. Semplicemente perché «l’entrata nel mercato di più produttori di farmaci generici aumenta la competizione e riduce i prezzi». Questo vale anche per noi. Ma non dobbiamo pensare che sia facile, perché, ricorda Garattini, il farmaco è un prodotto singolare: «Il paziente lo usa, ma non lo sceglie né lo paga. Il medico lo sceglie. Lo Stato lo paga». Anche per questo, prosegue Traversa, il mercato ha bisogno di regole e controlli. Ma anche di «un’onesta discussione pubblica su che cosa siamo disposti a pagare». Perché quando si parla di farmaci si parla di salute, di qualità della vita. E di soldi. L’uomo più odiato d’America ce lo ha ricordato in tutta la sua semplice brutalità.
Silvia Bencivelli