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 2015  ottobre 13 Martedì calendario

“O’ TAISÒN” CHE VENNE DAL BRASILE (E LÌ TORNÒ)


[Valentino Manfredonia]

Il primo pugile italiano a qualificarsi per l’Olimpiade di Rio è brasiliano. Meglio, napoletano. Si chiama Valentino Manfredonia, 26 anni. Dal Brasile ha preso la pelle scura. Da Napoli tutto il resto. A cominciare dalla nota simpatia locale, alla faccia della saudade, il sorriso sempre lì, anche quando racconta la storia, non proprio rose e fiori, dei tre anni di buio in cui è finito dopo aver scoperto di essere stato adottato.
Quello che ho davanti oggi è un altro Valentino: un bravo guaglione, un po’ guappo e tanto orgoglioso di essere Made in Naipol, come dice in un inglese così così. Il napoletano invece è fluent. Parla, tanto e veloce, e non nasconde niente, perché il passato è passato. Uno trasparente. Sotto il Vesuvio lo chiamano “O’ Taisòn”, ma di Mike Tyson, quello vero, ha preso solo qualche tratto del viso. Del pugile non ha le mani, che sono da pianista, né la classica infanzia difficile, da mandare KO a pugni per riscattarsi. Da buttar giù c’erano solo 30 chili di troppo per un bambino. Il difficile è arrivato da grande, quando il cazzotto glielo ha dato la vita, mandandolo al tappeto. L’arbitro ha contato: uno... due... tre... Tre anni in cui Valentino ha mollato: guantoni, freni, tutto. Si è fatto un giretto sul lato oscuro della Luna e ci ha trovato le mille luci della Riviera Romagnola con le sue sirene, comprese quelle dei Carabinieri. L’arbitro, però, non è arrivato a quattro: come nelle belle storie di boxe, il nostro eroe si è rialzato, è tornato a combattere e ha vinto. Ora vuol farlo anche in Brasile, il Paese in cui è nato ma che non ha mai visto.

Valentino come comincia la tua storia?
«Sono nato a Recife. Adottato da genitori napoletani quando avevo pochi giorni. Quindi sono napoletano al 110%: se mi taglio, esce sangue azzurro».
Da piccolo facevi a botte?
«No. Ero un bambino bravissimo, con gli occhiali, ubbidiente, buono come il pane».
Hai iniziato con la boxe perché venivi da una situazione difficile?
«Ma no, anzi. Ho avuto un’infanzia bellissima. I miei genitori mi hanno sempre voluto bene, mi seguono. Mi davano tutto quello che chiedevo».
Tipo il motorino?
«No, economicamente non stiamo molto bene. Il motorino me lo sono guadagnato con le mie forze: da bambino ho fatto tanti lavori, ho scaricato casse di bibite dai camion, ho fatto l’elettricista, il muratore, vendevo i fuochi d’artificio sulle bancarelle a Capodanno e le mimose alla Festa della donna, cose così».
Quando hai iniziato a fare boxe?
«A dieci anni, perché ero bello cicciottello e dovevo perdere peso. Mi chiamavano Bombolo, ma io non mi arrabbiavo. Ero alto uno e 60 e pesavo 115 chili. Quattro anni dopo, quando ho debuttato sul ring, ne pesavo 85».
Perché scegliesti proprio il pugilato?
«Fu un caso: un mio amico faceva boxe e mi invitò ad andare in palestra con lui. Mi piaceva, ma capii subito di essere molto indietro rispetto agli altri: non riuscivo nemmeno a correre, al punto che mi misero nel corso delle femmine. Ehhh... non farmici pensare...».
Come hai scoperto di essere stato adottato?
«I miei non me lo hanno mai detto. Sospettavo qualcosa già alle elementari: mia sorella era in classe con me e gli altri bambini mi chiedevano “Come fa lei a essere più bianca di te?”. Rispondevo che mi ero abbronzato di più».
Quindi sei stato tu a convincere i tuoi a dirti la verità?
«Sì. Avevo 18 anni. Quando me lo dissero persi la testa: presi la macchina deciso a scappare chissà dove. Sai dove arrivai? A Caserta Nord... (ride) Bevvi una camomilla, mi calmai e tornai a Napoli».
Non volevano dirtelo?
«Avevano paura della mia reazione. Temevano che lasciassi il pugilato. Infatti è ciò che successe: smisi per tre anni, avevo bisogno di sfogarmi col mondo esterno, iniziai a bere, feci tanti casini... In quei tre anni ho fatto il cattivo ragazzo».
Hai mai fatto a botte?
«Come no».
Per quali motivi?
«Sempre lo stesso: per gli amici. Mi tiravano in mezzo e non potevo abbandonarli. Una volta sono finito in una rissa a Igea Marina. Stavano facendo apprezzamenti a due ragazze quando sono arrivati i fidanzati e si è scatenato il putiferio. Il giorno dopo vennero a cercarmi i Carabinieri: con le telecamere mi avevano individuato facilmente. Me la cavai solo perché conoscevano i miei zii, che da anni sono in Riviera, dove vendono il “cocco bello”. Fu un anno tremendo, quel 2011: feci anche un incidente in auto e ne uscii vivo per miracolo».
È stato il momento più brutto della tua vita?
«Sì. Vedevo gli altri ragazzi andare avanti con la boxe e io invece restavo fermo».
Il più bello?
«Questo. Sto per andare all’Olimpiade e ho una ragazza che mi vuole bene. Anche se ora che sto avendo un po’ di successo è diventata gelosa».
E se diventi famoso?
«Problemi suoi, si deve abituare. Per quanto mi riguarda, le vorrò ancora più bene. E resterò sempre lo stesso Valentino».
Se dopo Rio ti proponessero un reality show, lo faresti?
«Hai voglia! Magari... Mi piacerebbe fare l’Isola dei famosi».
Ora come ti mantieni?
«Avendo vinto le qualificazioni, la Federazione mi dà uno stipendio. In futuro spero di essere scelto dalle Fiamme Oro».
Dopo quei tre anni bui, come sei tornato alla boxe?
«Lo feci con Ring Side, una società di Rimini che conoscevo. Mi dissi che o vincevo il campionato italiano nel 2013 o avrei chiuso».
Lo hai vinto. Non hai chiuso. E ora Rio...
«Vado lì per prendere l’oro. Non esiste altro».
Quando hai capito di essere forte?
«Sono sempre stato convinto di essere bravo. Nel pugilato ci vuole testa».
Muhammad Ali, che è il tuo idolo, ce l’aveva. E tu? Che testa hai?
«Sono un po’ inesperto in campo internazionale. Ma ho capito che, se non sei forte mentalmente, non vai da nessuna parte».
Anche tu stuzzichi l’avversario come faceva lui?
«No. L’unica cosa che faccio, quando siamo al peso, è fissarlo negli occhi senza mai abbassare lo sguardo. Mai».
Chi ammiri oltre Ali?
«Mio padre, Mario. Perché, con i problemi che ha, economici e di salute, non molla mai».
Lo sai che Muhammad Ali cambiò nome...
«Lo so, ho il suo libro anche se non l’ho letto: appena apro un libro mi scoccio, resisto al massimo quattro righe».
Dicevo: se anche tu cambiassi nome, che nome di battaglia sceglieresti?
«Valentino Manfredonia. L’unico soprannome che ho è “O’ Nirone”, che vuol dire “Il Nero”, oppure “O’ Taisòn”».
A proposito di nero, ti hanno mai rivolto frasi razziste?
«No, mai. Io mi sento napoletano: vado a farmi le lampade per essere ancora più scuro. Al massimo scherziamo: in palestra, il mio maestro Cammarelle mi chiama “black bloc” (ride)».
Una volta Ali disse: “Joe Frazier è troppo brutto e stupido per essere campione. Il campione deve essere intelligente e grazioso come me”. Pensi di essere grazioso e intelligente?
«Intelligente io?!... Naaa. Grazioso sì».
Ci tieni all’estetica?
«Molto: mi depilo sempre le sopracciglia, faccio le lampade. Mi piacciono i tatuaggi: l’ultimo l’ho fatto con la mia ragazza, è una scritta in portoghese (sul braccio, ndr) “Io appartengo a te, tu appartieni a me”».
Hai l’orecchino come quello di Maradona: è un diamante?
«L’ho preso alle bancarelle: due euro e passa la paura».
Com’è stato crescere a Napoli?
«Bello, ma alcuni la fanno passare per quella che non è. Fanno questi film come Gomorra che evidenziano i problemi di Napoli. Gomorra è bellissimo, però esalta i cattivi, ti fa quasi venire voglia di essere come loro. Con i miei amici sappiamo a memoria un sacco di frasi della serie».
Il libro ovviamente non l’hai letto...
«Ma quando mai!».
Sei superstizioso?
«No, per niente. In questo non sono napoletano».
Come ti senti dopo un match? Carico di adrenalina?
«Carichissimo. Non riesco a dormire fino alle due. Ascolto musica».
Che musica?
«Reggaeton e cantanti neomelodici: sono uno vecchio stampo, mi piacciono Gianni Celeste, Fabrizio Ferri».
Hai mani da pianista, più che da pugile.
«È vero! La gente me lo dice sempre, ma l’unica cosa che so suonare sono le percussioni».
Sei brasiliano: mai provato a giocare a calcio?
«Macché... Sono una schiappa. Non sono buono a fare nessuna delle cose in cui sono bravi i brasiliani: non suono, non so cantare, non ballo bene e a Carnevale nemmeno mi travesto. Sono tutto Made in Naipol».