Paola Emilia Cicerone, la Repubblica 13/10/2015, 13 ottobre 2015
LIBERIAMOCI DALL’INSONNIA (SENZA FARMACI)
Liberarsi dall’insonnia senza farmaci si può. Eliminando le cattive abitudini e resettando il nostro rapporto con il sonno. La conferma arriva da un articolo pubblicato sulla rivista Annals of Internal Medicine, che valuta l’efficacia della terapia cognitiva comportamentale dell’insonnia. Arrivando alla conclusione che si tratta di una soluzione efficace, sicura e meglio tollerata rispetto ai farmaci, perché riesce a scardinare l’ansia generata dalle ore passate a letto senza dormire, che è una delle principali cause dell’insonnia. I ricercatori australiani hanno preso in esame i risultati di ben venti studi. Da cui emerge che la terapia permette un generale miglioramento della qualità del sonno. E non solo. Chi la segue perché non riesce ad addormentarsi e si rigira nel letto per ore riesce ad addormentarsi - in media - venti minuti prima del solito. Coloro che, invece, soffrono di frequenti risvegli notturni, facendo questa terapia riescono a riprendere sonno molto più rapidamente, in media mezz’ora di meno di quanto non accada nella normalità di chi dorme poco e male. Insomma: la CBT è un metodo sicuramente efficace per trattare l’insonnia, anche se richiede impegno da parte degli interessati.
«L’obiettivo di questo tipo di terapia spiega la psichiatra Laura Palagini dell’Ambulatorio per il trattamento dei disturbi del sonno dell’ospedale di Pisa, dove da tre anni propone questo trattamento agli insonni, con una percentuale di successo intorno al 70 per cento- è cambiare l’atteggiamento del paziente nei confronti del sonno, e di migliorarne i comportamenti. Sappiamo che è efficace particolarmente quando abbiamo a che fare con persone che stentano ad addormentarsi, o si svegliano più volte durante la notte».
Quello proposto dal centro pisano, secondo una modalità collaudata negli Stati Uniti e in altri paesi, è un percorso in otto sedute settimanali: «Prima di cominciare, per fotografare la situazione, chiediamo al paziente di tenere per una settimana un diario del sonno, e di indossare un piccolo strumento da tenere al polso come un orologio, che serve a registrare l’andamento del sonno », spiega Palagini. Nelle sedute successive, dopo aver spiegato i meccanismi del sonno, si passa a un altro tipo di tecnica. «Quando vediamo che il paziente riesce ad addormentarsi e si sveglia meno del solito durante la notte - spiega la psichiatra - gli chiediamo di rimanere a letto solo quando dorme. All’inizio molti si stupiscono e protestano: “vengo qua perché ho problemi d’insonnia - ci dicono - e mi chiedete di dormire meno?” Poi, si rendono conto che questa tecnica serve a recuperare l’idea che si deve stare a letto per dormire, non per leggere o guardare la televisione».
Questo metodo serve anche a smontare convinzioni sbagliate: ci sono persone convinte di soffrire d’insonnia, che vorrebbero dormire di più, mentre a volte per loro quelle ore sono sufficienti. «Non tutti hanno bisogno di otto ore di sonno, e anche l’ora giusta per andare a dormire o per alzarsi dipende dai ritmi biologici di ciascuno di noi», osserva Palagini. Fanno parte della terapia anche consigli che sembrano ovvi ma che spesso gli insonni trasgrediscono: non andare a letto subito dopo mangiato o a stomaco vuoto, dedicarsi ad attività tranquille prima di dormire, cercare di mantenere orari regolari.
Palagini precisa che circa il 10-11 per cento degli italiani soffre di insonnia cronica. «Ma in genere - spiega - tutti dormiamo meno rispetto a qualche anno fa, a causa dei ritmi di lavoro ma anche dell’abitudine di metterci la sera davanti alla televisione e al computer. Spesso, poi, cerchiamo di recuperare il sonno perduto dormendo durante il giorno, col rischio di aggravare il problema». Al termine del percorso terapeutico, il paziente dovrebbe essere in grado di gestire il proprio sonno, e capire se sia necessario aggiustare il tiro, o magari cambiare abitudini. «Ma non è che a questo punto lo abbandoniamo. Se emergono problemi si possono fare sedute di richiamo», spiega la psichiatra.