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 2015  ottobre 12 Lunedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - LA PRIVATIZZAZIONE DELLE POSTE


ILPOST
Venerdì 24 gennaio il governo ha approvato un decreto ministeriale per regolare la vendita del 40 per cento delle azioni di Poste Italiane, la società di proprietà del ministero del Tesoro che gestisce il servizio postale italiano, ma che si occupa anche di raccogliere il risparmio dei privati (in modo non troppo diverso da una banca) e offrire servizi assicurativi. Secondo il ministro dell’Economia la vendita delle quote di Poste Italiane potrebbe fruttare tra i 4 e i 4,8 miliardi di euro che saranno utilizzati per ridurre il debito pubblico.

I dettagli dell’operazione non sono ancora del tutto chiari. Secondo il viceministro allo Sviluppo economico Antonio Catricalà, per vendere le quote saranno necessari circa 5-6 mesi e l’operazione dovrebbe essere conclusa entro la fine dell’anno. Il Corriere della Sera ha scritto che probabilmente una quota intorno al 50-60 per cento delle azioni sarà venduta a investitori istituzionali (banche, fondi pensioni, fondi di investimento), circa il 5 per cento sarà riservato ai dipendenti (che dovrebbero ricevere qualche forma di sconto o incentivo all’acquisto). La parte restante sarà collocata alla clientela “retail” (cioè gli altri investitori privati).

Poste Italiane è una società con 145 mila dipendenti e 24 miliardi di euro l’anno di fatturato. Di questi, soltanto un quinto arriva dall’attività postale vera e propria e tutto il resto deriva invece dall’attività finanziaria (tutte le attività che fa Banco Posta, ad esempio, e le attività assicurative). L’utile netto è pari a 1 miliardo, ma bisogna considerare che ogni anno la Cassa Depositi e Prestiti (CDP, una specie di grande banca semi-pubblica spiegata qui), paga alle Poste 1,6 miliardi come “commissione” per poter gestire il risparmio raccolto da Poste Italiane (circa 45 miliardi l’anno).

L’operazione di vendita non è una vera e propria “privatizzazione”. Lo stato manterrà il controllo della società, mentre ai privati viene richiesto di entrare nel capitale, ma senza poter prendere decisioni e guidare l’azienda. Quello che i privati otterranno saranno i dividendi delle azioni. In cambio del versamento di 4-5 miliardi, potranno contare sul 40 per cento di quel miliardo che ogni anno Poste Italiane incassa.

Il ricavato dalla vendita, inoltre, è una frazione veramente piccola del debito pubblico (lo 0,45 per cento). Soprattutto per un paese con un debito pubblico grande come quello italiano, una privatizzazione che portasse a una riduzione così bassa del debito pubblico dovrebbe porsi altri obiettivi, come ad esempio creare un mercato più efficiente. Secondo alcuni commentatori l’operazione iniziata dal governo non renderà affatto più efficiente il mercato. Poste Italiane gode al momento di una situazione privilegiata rispetto ai suoi concorrenti (sia quelli che effettuano servizi postali sia quelli che effettuano servizi bancari e assicurativi). Ad esempio, i prodotti postali hanno delle importanti esenzioni IVA. Come abbiamo visto, Poste gode di un rapporto privilegiato con la CDP e riceve varie compensazioni pubbliche. Tutti questi fattori, segnalati sia dall’Antitrust che dalla Commissione Europea, rendono Poste Italiane un’azienda che produce utili grazie a una posizione forte e privilegiata nel mercato (e che la rende quindi, potenzialmente, un’azienda poco efficiente).

Ma se il governo ha intenzione di venderne una parte per fare cassa, non può modificare nessuno di questi privilegi, altrimenti rischia di pregiudicare la redditività dell’azienda e scoraggiare gli investitori a partecipare all’acquisto. D’altro canto, mettere in vendita un’azienda che fa redditività grazie a sconti e altri aiuti pubblici rischia di non rendere il mercato più efficiente. Come ha riassunto Ugo Arrigo, professore di economia all’università Bicocca di Milano:

La redditività delle Poste si basa su tre pilastri fondamentali, nessuno dei quali è di mercato: compensi pubblici per la raccolta del risparmio, compensazioni pubbliche per il servizio universale e il fatto di svolgere servizi bancari utilizzando personale che gode di un contratto molto meno favorevole di quello dei bancari. Poiché solo lo Stato può garantire la permanenza nel tempo di questi tre pilastri, la privatizzazione parziale avrebbe per oggetto non un’azienda di mercato bensì un’azienda a redditività di Stato.

ILSOLE
Parte alle ore 9 di lunedì 12 ottobre l’offerta pubblica di vendita di 453 milioni di azioni di Poste Italiane. La più grande operazione di quotazione in Borsa in Europa per quest’anno - oltre che la prima importante privatizzazione italiana da 16 anni a questa parte - comincia a mettersi in moto. Assieme alla vendita dei titoli ai risparmiatori, cui al momento è destinato il 30% dell’offerta - ma la percentuale potrebbe salire in caso di domanda molto elevata - prende il via anche il road-show per gli istituzionali. Si comincia a Milano, poi nel corso della settimana l’ad Francesco Caio e il cfo Luigi Ferraris andranno a Londra e infine a Parigi e Francoforte. La settimana seguente toccherà alle piazze statunitensi. L’offerta si concluderà per tutti il 22 ottobre, forse solo per una casualità nel giorno del compleanno del presidente, Luisa Todini.

«Le Poste per 60 anni sono state il luogo delle schifezze dei politici. Ora la mettiamo sul mercato e non a disposizione dei politici», ha commentato ieri il premier, Matteo Renzi. L’operazione sta muovendo ora i primi passi, ma già il management è al lavoro per completare la stesura della terza trimestrale, la chiusura dei conti al 30 settembre, che verrà portata all’esame del board attorno al 10 novembre e che costituirà il primo appuntamento comunicativo dei conti della società dopo la quotazione in Borsa. Gli investitori potranno avere un primo riscontro sulla capacità del management di mantenere le promesse contenute nel piano industriale. I numeri del primo semestre, inclusi nel prospetto informativo pubblicato ieri, già contengono i primi segnali di miglioramento.

Frattanto, in attesa di vedere come andrà la quotazione in Borsa, la società sta già studiando un “bonus Ipo” da attribuire alle prime linee del management e anche all’amministratore delegato per premiare il contributo al processo di quotazione e alla revisione della governance della società, varata a fine luglio. La questione è già andata all’esame del cda lo scorso 22 settembre: nel prospetto informativo si specifica che l’entità di questo bonus è in via di definizione, ma che è stato fissato un tetto orientativo al 50% della retribuzione annua lorda.

Nel documento di 998 pagine dedicato a sviscerare tutti i risvolti dell’operazione, si elencano i punti di forza del business della società che dovrebbero attrarre gli investitori. Tra questi la “capacità di generare cassa operativa” derivante dalla stabilità dei ricavi, dalla solidità patrimoniale, ma soprattutto dagli elevati flussi di cassa. Nel primo semestre i flussi di cassa sono stati pari a 433 milioni, contro 623 milioni a fine 2014, 744 milioni a fine 2013 e 1 miliardo a fine 2012. Nella parte descrittiva delle strategie di crescita previste dal piano industriale si svela per la prima volta un dato importante sul profilo della clientela relativa al risparmio gestito, settore sul quale la società punta molto per lo sviluppo. Viene così indicato che Poste ha ben 1,6 milioni di clienti che possiedono più 75mila euro di patrimonio amministrato. Di questi, il 6% è costituito da giovani, il 53% da famiglie, il 4% da senior. Questa fotografia prova la metamorfosi che il gruppo ha subito negli ultimi anni e dimostra come l’idea che il cliente medio sia la pensionata che ritira la pensione appartiene al passato. Questa clientela sarà probabilmente un importante bacino di potenziali acquirenti di azioni Poste nel corso di questo collocamento. E ancora: Poste ha come clienti il 45% dei nuovi italiani, ovvero 2,2 milioni su 4,9 milioni di stranieri (soprattutto immigrati) residenti in Italia. Il 60% dei clienti di Poste, che complessivamente sono 33 milioni, è titolare di un solo prodotto. La società intende mettere a punto strategie di cross selling per vendere altri prodotti del gruppo, compatibilmente con le esigenze del cliente, in particolare conti correnti (sono correntisti 7,6 milioni di clienti) e consumer lending (prestiti al consumo) e carte di credito.

L’operazione prevede che il ministero dell’Economia non possa poi cedere ulteriori azioni per 180 giorni. Un lock-up simile, affinché non sia possibile deliberare operazioni che abbiano riflesso sui titoli, è posto a carico di Poste Italiane.

LOTTI MINIMI
Quella di Poste è la prima importante privatizzazione da 16 anni a questa parte. Per questo motivo molti analisti ipotizzano che la domanda possa superare l’offerta. Ma nulla è da dare per scontato, considerando anche che siamo in una fase di volatilità per i mercati azionari. Al pubblico indistinto e ai 142mila dipendenti del gruppo è destinato un minimo di 135.900.000 di azioni (di cui 14.860.700 ai dipendenti), pari a l 30 % dell’offerta globale.

Secondo quanto stabilito dal prospetto di collocamento, in caso di domanda inferiore la quota residua andrà ad incrementare il 70% attualmente riservato agli investitori istituzionali (cioè banche, assicurazioni, fondi pensione, ecc.) italiani e stranieri. Nel caso invece l’ammontare richiesto superi quello offerto sono previsti dei meccanismi di riparto tali da limitare la possibilità di una totale esclusione da parte dei richiedenti.

La tranche rivolta al pubblico indistinto prevede che una quota non superiore al 30% delle azioni effettivamente assegnate al pubblico indistinto sarà destinata a chi avrà richiesto il lotto minimo intermedio (2.000 azioni o suoi multipli). Allo stesso tempo una quota non superiore al 20% andrà verso chi avrà fatto richiesta del lotto minimo maggiorato (5.000 azioni o suoi multipli). Questo per estendere le possibilità a coloro che faranno richiesta del lotto minimo (500 azioni o multipli).

Considerando che la forchetta del prezzo oscilla tra 6 e 7,5 euro (il prezzo definitivo sarà comunicato due giorni dopo la scadenza delle adesioni fissata per il 22 ottobre) l’esborso minimo per il piccolo risparmiatore che intende investire in azioni di Poste va dai 3mila ai 3.750 euro. Qualora le adesioni pervenute ai collocatori da parte del pubblico indistinto risultino superiori alla quota ad essi destinato, Poste si riserva la facoltà di ridurre il quantitativo del lotto minimo da 500 a 250 azioni, comunicandolo nell’avviso relativo al prezzo di offerta.

PANORAMA
Sul mercato andrà fino al 38,2% del capitale, con un tetto al possesso azionario fissato al 5%, e con quote "rilevanti" riservate sia ai dipendenti sia al mercato retail dei piccoli risparmiatori per favorire una ampia area di azionariato popolare.

Secondo alcune stime elaborate nei mesi scorsi, il valore complessivo del gruppo Poste Italiane è compreso tra 6 e 11 miliardi di euro, a seconda del prezzo che verrà deciso per i titoli in fase di quotazione. Visto che la parte di capitale collocata in borsa sarà nell’ordine del 38%, l’ipo avrà dunque un valore complessivo compreso tra 2,4 e 3,7 miliardi di euro: un tesoretto che entrerà direttamente nelle casse dello stato.

Il gruppo Poste Italiane ha chiuso il primo semestre del 2015 con un fatturato di oltre 13.8 miliardi di euro, in crescita rispetto ai 12.8 miliardi realizzati nello stesso periodo del 2014. L’utile netto è stato invece di 465 milioni, contro i 222 milioni del primo semestre dell’anno precedente.
Leggi anche: Pro e contro dello sbarco in borsa

Ha fatto discutere nei mesi scorsi il piano di ristrutturazione messo in cantiere dal nuovo amministratore delegato delle Poste, Francesco Caio. Per non perdere la redditività, il gruppo prevede un aumento delle tariffe e la consegna della corrispondenza a giorni alterni (cioè non più quotidianamente) nei piccoli paesi. Sono previsti inoltre la soppressione di molti piccoli sportelli e un taglio al personale per 3.500 unità, grazie soprattutto a pensionamenti e prepensionamenti.

A portare il gruppo Poste Italiane in borsa, nel ruolo di consulenti dell’operazione (advisor), saranno Rothschild e lo studio legale internazionale Clifford Chance. C’è poi un gruppo di global coordinator, cioè di banche che si occuperanno del collocamento delle azioni sul mercato. Si tratta di Bank of America-Merrill Lynch, Citi, IntesaSanPaolo, Mediobanca e Unicredit.

REDDITIVITà E PRODOTTI
Che sia a settembre, a ottobre oppure appena prima dell’inverno, poco importa. Qualunque sarà la data prescelta, il destino del gruppo Poste Italiane è sicuramente rappresentato dallo sbarco in borsa, con una privatizzazione che giunge dopo il cambio della guardia ai vertici: il governo Renzi ha infatti nominato da poco come nuovo amministratore delegato Francesco Caio, succeduto a Massimo Sarmi.

LA PRIVATIZZAZIONE DELLE POSTE

PRO E CONTRO DELLO SBARCO IN BORSA

Prima di debuttare a Piazza Affari, le Poste stanno premendo sull’acceleratore del business che le caratterizzano ormai da circa un decennio: la vendita di prodotti finanziari, che ha scalfito completamente il recapito della corrispondenza nel ruolo di principale attività societaria. Facendo una radiografia del gruppo Poste Italiane, si scopre infatti una potenza di fuoco del settore del risparmio gestito, capace di vendere decine di prodotti d’investimento diversi, dai buoni fruttiferi alle polizze sulla vita, dai conti correnti ai fondi comuni sino ai piani pensionistici integrativi. Ecco una panoramica di cosa offrono gli sportelli della prossima matricola di borsa.

POSTE ITALIANE E I BUONI FRUTTIFERI

I prodotti meno costosi, e probabilmente più adatti a chi mastica poco di finanza e non vuole rischiare i soldi, restano i vecchi Buoni Fruttiferi Postali (Bfp), collocati dagli uffici delle Poste ma emessi dalla Cassa Depositi e Prestiti e garantiti dallo Stato. Si tratta di strumenti d’investimento che offrono un duplice vantaggio: non sono soggetti a commissioni (né di gestione né di sottoscrizione) e hanno conservato un prelievo fiscale del 12,5% sugli interessi maturati, lo stesso dei titoli di stato, contro la tassazione del 26% che da luglio graverà invece sugli altri prodotti finanziari. Attualmente, ci sono in collocamento 9 tipologie di Bfp, che assicurano rendimenti non proprio stellari. Si parte da un risicato 0,1% lordo all’anno ma si può arrivare fino al 4% se si tiene il capitale investito per molto tempo, cioè per circa un ventennio. Le somme di denaro sono sempre e comunque liquidabili, senza rischi di perdite di denaro.

IL BANCOPOSTA RENDE L’1,75%

Fino al prossimo 30 giugno, i nuovi clienti che aprono un conto corrente online (il BancoPosta Click) ottengono una remunerazione sulle giacenze dell’1,75% lordo annuo (1,3-1,4% netto). Per le principali operazioni (come i bonifici, l’estratto conto o la domiciliazione delle bollette) il conto BancoPosta Click è privo di commissioni. Sono invece a pagamento i bollettini postali versati con il canale online (1 euro), le ricariche della carta prepagata PostePay (1 euro ciascuna) e la quota annuale della carta di credito (24 euro circa).

POLIZZE E FONDI

Il business più fruttuoso per il gruppo Poste Italiane è però rappresentato oggi dal collocamento di fondi di investimento e di polizze sulla vita, che possono contare anche su un nuovo canale distributivo: quello dei promotori finanziari. Dallo scorso anno, infatti, la società ha iniziato il reclutamento di professionisti iscritti all’albo dei promotori, che possono proporre i prodotti finanziari della società anche al di fuori dei tradizionali sportelli (si tratta di una svolta quasi epocale per il gruppo). La controllata Poste Vita, specializzata nella vendita di polizze con finalità d’investimento, è già oggi una vera e propria gallina dalle uova d’oro, con un fatturato di oltre 16 miliardi di euro (più del 60% di tutto il gruppo). Molto articolata è anche l’offerta di fondi comuni, attraverso la divisione Bancoposta Fondi che, in questo momento, sta collocando una decina di prodotti diversi (monetari obbligazionari, azionari, flessibili e bilanciati).

BOND FIRMATI UNICREDIT

Infine, nell’offerta finanziaria del gruppo non mancano neppure le obbligazioni, presenti però in misura minore rispetto agli anni passati. Fino al prossimo 23 luglio, per esempio, le Poste collocheranno un bond emesso da Unicredit, con scadenza a 6 anni e rendimento fisso del 3,3% lordo nei primi 12 mesi e del 2,1% lordo dal secondo anno in poi. Nel complesso, l’interesse medio garantito dal titolo è del 2,3% lordo delle tasse, corrispondente all’1,7-1,8% netto circa. Si tratta di un livello molto vicino a quello di un Btp di uguale durata, cioè con scadenza nel 2020 che, ai prezzi attuali, rende l’ 1,5-1,6% netto circa all’anno.

BANCOPOSTA, STANGATA ALLO SPORTELLO
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In Borsa 26-27 ottobre

8000 assunzioni
13 mila e passa uffici

L’Italia riscuote un sempre maggior interesse da parte degli investitori esteri. Lo ha dichiarato Francesco Caio, rispondendo a una domanda sul tema a margine della presentazione dell’IPO di Poste Italiane. L’amministratore delegato del colosso ha segnalato che nei suoi recenti incontro con potenzia ...


Poste Italiane non pensa di dismettere i suoi immobili, iscritti a bilancio per un valore di 1,7 miliardi di euro. Lo ha dichiarato il responsabile finanziario del gruppo, Luigi Ferraris, puntualizzando che il gruppo prevede di ottimizzare e valorizzare comunque i propri immobili, ma solo in logica ...

Nel corso della conferenza stampa di presentazione della quotazione di Poste Italiane l’amministratore delegato di Poste Italiane, Francesco Caio, ha dichiarato che la società punta a un azionariato diffuso e un’ampia platea. L’azionariato dovrà essere anche “consapevole” visto che si tratta della p ...

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Durante la conferenza di presentazione dell’IPO di Poste Italiane il responsabile finanziario del gruppo, Luigi Ferraris, ha evidenziato come nel 2014 il flusso di cassa operativo a disposizione della remunerazione dei soci, dopo più di 400 milioni di euro di investimenti, è stato pari a più di 600 ...

CARATTERISTICHE DEL COLLOCAMENTO
Dopo l’ok di Borsa Italiana è arrivato anche il via libera di Consob all’IPO di Poste Italiane. L’operazione porterà in Borsa il 40% del capitale sociale della società guidata da Francesco Caio. Il ministero del Tesoro l’ha definita un’operazione “fondamentale del programma di privatizzazioni del Go ...

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IPO POSTE ITALIANE - L’INCASSO DEL TESOROL’offerta ha ad oggetto un massimo di 453 milioni di azioni ordinarie, tutte poste in vendita dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. La valorizzazione del capitale della società individuato dal gruppo e dai suoi advisor è compreso tra un minimo di 7,84 ...

Nate addirittura prima dell’unificazione d’Italia, ha 132 filiali, 13.310 uffici postali sparsi in tutta Italia, oltre 143 mila dipendenti, un fatturato che si aggira intorno ai 30 miliardi di euro, con un utile netto di oltre 1 miliardo nel 2013.



La maggioranza rimane allo Stato e c’è la novità importantissima dell’azionariato ai dipendenti. Tutto diverso dagli anni ’90”. Nella felicità di Annamaria Furlan, segretaria confederale della Cisl, c’è la sintesi perfetta del disastro che il ministro dell’Economia Saccomanni ha impostato ieri con il via libera alla vendita del 40 per cento delle azioni di Poste Italiane e del 49 per cento dell’Enav, l’ente del traffico aereo.

Di nuovo non c’è niente. La privatizzazione delle Poste l’ha annunciata nel 1991 un predecessore di Saccomanni, Guido Carli, con il solito tono “basta chiacchiere, passiamo ai fatti”. La vendita di pacchetti di minoranza, per fare cassa senza smettere di comandare e far rubare, è un brevetto degli esordi della seconda Repubblica. L’Enel è ancora controllato dallo Stato ma è “privatizzato” dal 1999, e già allora con la brillante variante dei dipendenti che si comprano le azioni, indotti addirittura a spendersi l’anticipo del Tfr: le azioni furono piazzate a prezzo stellare (“dobbiamo entrare in Europa”) da un altro predecessore di Saccomanni, l’oggi giudice costituzionale e pensionato di platino Giuliano Amato. Le azioni crollarono subito dopo questa sua frase: “Il prezzo di collocamento non dovrebbe portare a delusioni”. Molti dipendenti Enel hanno poi perso anche il lavoro perché, stando in Borsa, bisogna essere competitivi tagliando gli organici.

Quella delle azioni ai dipendenti è una favola triste. La Cisl si battè come una leonessa, a suo tempo, perchè venissero date le azioni ai dipendenti dell’Alitalia, un’altra società di cui si piazzò in Borsa un pacchetto di minoranza per non ostacolare politici e “portaborse delegati” nei loro furti. Fu l’allora capo della Cgil, Sergio Cofferati, a mettersi di traverso: molti hanno poi perso il lavoro nel disastro Alitalia, ma non i risparmi.

Il fatto è che la Cisl è vocata a comandare nelle aziende statali. Vuoi mettere la oscura fatica di tutelare tutti con la distribuzione di promozioni agli amici? Il premier Enrico Letta annuncia per le Poste la Mitbestimmung alla tedesca, ma c’è sempre stata, con qualche differenza. Su al nord una legge impone che in tutte le società per azioni la metà del consiglio di sorveglianza siano dipendenti eletti dai loro colleghi (e non designati dal sindacato) e senza costringerli a comprare azioni. Alle Poste Giovanni Ialongo, 70 anni, è presidente da cinque anni, nominato dalla Cisl di cui è stato il capo. In forza della Mitbestimmung alla vaccinara era stato prima presidente dell’Ipost, l’istituto previdenziale dei postini. È anche grazie a lui che oggi i contribuenti devono pagare un miliardo all’anno per ripianare il buco dell’Ipost. Una cifra pari ai profitti che Poste italiane fanno da quando l’amministratore delegato Massimo Sarmi ha trasformato le rete di 14 mila sportelli in un grande supermarket della finanza, e i 140 mila dipendenti in consulenti finanziari pagati come postini.

Sarmi arriva al vertice nel 2002, in quota Gianfranco Fini, e ha la ricetta del successo. Cala il traffico postale? Riduco i postini. Il servizio postale, con meno postini e meno sportelli, fa schifo? Bene, manderanno meno lettere. Ci sono meno lettere? Taglio ancora. Perché dare un servizio decente, visto che non c’è concorrenza? Sarmi si vanta di essere “il gruppo postale più redditizio a livello europeo”, cosa che suona misteriosa a chiunque veda un ufficio postale. Ma ha un senso. Ieri Saccomanni ha detto che deve “prolungare la convenzione con la Cassa Depositi e Prestiti”. É il momento magico. Anche quando privatizzarono le autostrade allungarono le concessioni. Le Poste raccolgono ogni anno circa 45 miliardi di risparmio postale per la Cdp. Per il disturbo Sarmi prende 1,6 miliardi all’anno. Una rendita che adesso va garantita per rendere appetibili le azioni. Fino ad ora gli utili restavano allo Stato. Adesso, invece, per incassare 4-5 miliardi (pochi, maledetti e subito che ridurranno il debito pubblico dello 0,45 per cento), bisogna promettere ai mitici privati di continuare per sempre a peggiorare il servizio postale e a spolpare l’azienda. Per dare il dividendo ai fondi pensione americani.

Dal Fatto Quotidiano del 25 gennaio 2014
di Giorgio Meletti | 25 gennaio 2014
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