Olga Noel Winderling, GQ 10/2015, 12 ottobre 2015
E ALLORA TI È PIACIUTO?
(vedi appunti)
La seconda stagione di Masters of Sex – storia del ginecologo William Masters e della psicologa Virginia Johnson, che per primi studiarono “dal vero” la sessualità umana nell’America degli anni Sessanta – si è appena conclusa su Sky Atlantic. In attesa della terza (nel 2016), sui meriti del serial concordano persino gli scienziati: «Bellissimo», commenta Emmanuele A. Jannini, docente di Medicina della sessualità ed endocrinologia all’Università Tor Vergata di Roma, e presidente della Società italiana di andrologia e medicina della sessualità. «Consiglio sempre ai miei studenti di guardarlo, perché Masters e Johnson hanno fatto un lavoro di ricerca incredibile. Il problema è che gli psicosessuologi sono rimasti lì, considerano il loro studio una bibbia immodificabile. E invece vanno ammirati per ciò che sono: dei pionieri».
In effetti, dal 1966 – quando i due scienziati americani pubblicarono Human Sexual Response, che sarebbe stata la miccia della rivoluzione sessuale – è cambiato il mondo. E il modo di fare ricerca.
«Masters e Johnson sostenevano che nel 90% dei casi i problemi sessuali hanno origine psicologica. Una conclusione giusta per l’epoca», continua Jannini. «Ma ai tempi non c’era, per dire, la possibilità di misurare i livelli degli ormoni estrogeni e testosterone nel sangue. E non esistevano alcuni strumenti diagnostici fondamentali: oggi, se arriva un paziente con problemi di impotenza e non gli faccio fare subito il doppler sono una capra; se glielo faccio fare, una volta su due scopro che ha una disfunzione vascolare».
Tutto questo non significa che la psicologia abbia perso la sua centralità; ma che la fisiologia c’entri, eccome, è ormai un fatto. Tra gli ultimi studi scientifici che lo provano c’è proprio quello condotto da Emmanuele A. Jannini e dal genetista Giuseppe Novelli, rettore dell’università Tor Vergata, pubblicato di recente su Sexual Medicine Review. Titolo: Genetica del comportamento sessuale. Conclusioni: le inclinazioni erotiche sono scritte nei geni. «Abbiamo analizzato i dati degli studi più completi sull’argomento, appurando che il DNA ha un ruolo soprattutto nell’omosessualità maschile, nel comportamento fedifrago e nella serialità matrimoniale, cioè nell’attitudine a sposarsi più volte», continua il ricercatore. «Su altri aspetti, invece, occorre indagare ancora: la sfera femminile, per esempio, finora è stata indagata pochissimo».
Attenzione: dire che un comportamento umano ha base genetica non significa affatto che si manifesterà. Prendiamo il caso degli omosessuali, che nel 75% dei casi – come è stato riscontrato – hanno una prevalenza del marcatore Xq28 (sta nel braccio corto del cromosoma X, quello che viene trasmesso dalla madre). È una percentuale alta, ma comunque lontana dal 100% dei casi, e questo vuol dire che un uomo può benissimo essere omosessuale senza avere quella modifica. O viceversa. Perché, ed è bene ricordarlo, ogni comportamento umano dipende dalla personalità individuale, dal contesto culturale in cui si cresce, dalle esperienze di vita... Nessun’altra specie ha la nostra libertà di bypassare la natura. Nemmeno i bonobo, gli scimpanzé del Congo dall’esuberante vita sessuale, di cui condividiamo addirittura il 98% del patrimonio genetico: ecco come mai gli studi di primatologia sui loro comportamenti intimi (amplessi vis-à-vis, masturbazione, rapporti orali) continuano a dirci molto di come saremmo, se potessimo appunto seguire la natura senza filtri culturali.
L’importante ricerca di Jannini e Novelli (in collaborazione con l’epidemiologa portoghese Andrea Burri e il genetista finlandese Patrick Jern) proietta adesso Tor Vergata di Roma tra le facoltà leader della ricerca mondiale di settore, confermando il primato dell’Italia: «Nel campo della medicina della sessualità siamo senza alcun dubbio i migliori del mondo», afferma Emmanuele A. Jannini, che sempre a Tor Vergata ha appena realizzato Secs Cathedra, primo centro pubblico di consulenza sessuale per studenti, impiegati e professori del campus universitario con finalità di cura e di ricerca, ma anche di provocazione. L’obiettivo, infatti, è soprattutto quello di «dimostrare alla Cosa Pubblica quanto non sia seria una Sanità che non prenda in considerazione anche la salute sessuale».
Basti pensare a come, da un “semplice” problema d’impotenza, oggi si possa diagnosticare il diabete, o perfino predire ictus e infarti con dieci anni d’anticipo, consentendo così di correre ai ripari per tempo. E qui però c’è un problema serio, perché se in medicina della sessualità l’Italia prende dieci e lode nella teoria, non raggiunge la sufficienza nella pratica: all’università, i futuri dottori non ricevono alcuna informazione scientifica sull’atto sessuale. Eppure, un giorno, sarà a loro che si rivolgeranno pazienti con problemi di anorgasmia, eiaculazione precoce, o dubbi sul figlio che gioca con le bambole.
«C’è una forte carenza istituzionale», aggiunge Aldo Franco De Rose, presidente dell’Associazione Andrologi Italiani. «Anche tra i medici specializzati, in realtà, l’urologo fa l’urologo, ma non ha una formazione andrologica; il ginecologo si occupa di riproduzione, ma è privo di competenze psicologiche...».
Tra gli obiettivi dell’Associazione c’è proprio quello di istituire un’accademia multidisciplinare, affinché i medici acquisiscano competenze trasversali. Nel mentre è in convegno a Gallipoli, dal 29 al 31 ottobre, dove presenta anche una ricerca sull’aumento delle malattie sessualmente trasmissibili (dalla quale risulta tra l’altro che un italiano su tre non usa il profilattico durante i rapporti occasionali).
Sempre questo mese, debutta finalmente anche in Italia il primo corso di sessuologia in una facoltà di medicina (Tor Vergata, Endocrinology and sexual medicine, lezioni ed esame in inglese). Docente: Emmanuele A. Jannini, ça va sans dire.