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 2015  ottobre 10 Sabato calendario

CIAO, SONO SIRI E QUI COMANDO IO


Casa Bianca, 11 settembre scorso. Il portavoce John Earnest sta ascoltando la domanda di un giornalista sull’accordo tra Stati Uniti e Iran, quando una robotica voce femminile lo interrompe: «Spiacente», esclama suscitando un misto di ilarità e imbarazzo, «non ho compreso cosa vorresti farmi cambiare». La voce è quella di Siri – l’assistente virtuale che Apple ha lanciato nel 2011, con l’iPhone 4S – che nessuno tra i presenti aveva interpellato.
Oggi la scena fa sorridere, ma in un futuro prossimo potrebbe diventare ben più comune. A quattro anni dal lancio, Siri si trova nel mezzo di una delle più agguerrite battaglie tra i colossi del digitale: quella per liberarci dalle lungaggini dei comandi manuali, e convincerci a passare a quelli vocali. L’ultimo ritrovato è proprio attivarli senza premere alcun bottone, con una sequenza di suoni. Per Apple la parola magica è «Ehi Siri», per Google e il suo Now, «Ok Google». Cortana, il segretario intelligente di Microsoft, si accende con un semplice «Ehi». Tradotto, significa che basta avere il telefonino nei paraggi, parlargli, interrogarlo in linguaggio naturale, e i segretari virtuali al loro interno faranno in pochi istanti tutto ciò – almeno, questa è la promessa – che prima avrebbe richiesto svariati passaggi tra app, mappe, browser e una sequela di fastidiosi copia e incolla.
Dove si trova il ristorante in cui mi devo incontrare con gli amici? Ecco apparire in pochi secondi le indicazioni stradali. Un film per tutta la famiglia? Ecco un elenco. E come va la partita della squadra del cuore? La risposta include risultato, minuto di gioco e classifica.
Certo, non sempre tutto funziona come dovrebbe. Il segretario digitale può rispondere a domande non richieste, come alla Casa Bianca. Soprattutto, che gli chiediamo qualcosa
no, potrebbe ascoltarci sempre. E per quanto i produttori lo neghino, i rischi di brutte sorprese in termini di privacy sono sempre dietro l’angolo. C’è poi il problema, molto più marcato agli albori ma ancora presente, delle risposte scorrette, incomplete o semplicemente nulle. Nella prima pubblicità di Siri, Apple mostrava un uomo intento a conversare con lei sotto la pioggia, nel traffico, durante una corsa. Ma sono condizioni che rendono difficili ancora oggi i tempi di risposta e l’accuratezza immaginati nel video, tanto che Cupertino fu costretta ad aggiungere, alla fine degli sponsor successivi, la precisazione che le sequenze domanda-risposta nel filmato erano accorciate, e in ogni caso la loro velocità dipendeva dalla copertura di rete fornita.
Da allora Internet è tuttavia entrata in tutte le cose, dagli oggetti che indossiamo alle abitazioni. E l’intelligenza artificiale, specie nel campo del riconoscimento vocale e di immagini, ha fatto passi da gigante grazie ai recenti sviluppi delle reti neurali, algoritmi capaci di imparare dai propri errori, anche da soli. In nemmeno un lustro, la tecnologia è cambiata: Apple ha vantato all’evento di presentazione dell’iPhone 6S e della nuova Apple Tv – che include, neanche a dirlo, Siri – prestazione migliorate del 40%, sia in termini di velocità che di precisione. In due anni, Now è passato dal fraintendere una parola su quattro a nemmeno una su dieci, l’8%. Ma e cambiato anche il nostro modo di recepire la tecnologia. Film come Lei di Spike Jonze mostrano il desiderio di farne una presenza nelle nostre vite costante, sì, ma invisibile. E cosa è, del resto, il tentativo di sostituire al linguaggio delle macchine quello umano, perfino per comunicare con i nostri device, se non un desiderio di umanizzazione nel rapporto con loro? Lo dicono i nomi stessi di quegli assistenti virtuali: Cortana è un personaggio femminile della fortunata serie Halo; Siri un nome di donna norvegese. In Lei la protagonista è Samantha, ma un nome troppo familiare, suggerisce la stessa pellicola, rischia di rovinare l’idea – seducente, secondo i colossi web – che ciascuno di noi possa sviluppare un rapporto unico con il proprio assistente digitale. E «come ti sentiresti se il tuo migliore amico avesse altri milioni di migliori amici?», chiede l’esperta di branding Karin Hibma su Fast Company. È una questione di comodità, insomma, ma anche di concedere un qualche rapporto emotivo, personale con una assistente virtuale sempre al proprio servizio.
E perché, poi, in molti, troppi casi quell’assistente virtuale è una “donna”? Diversi osservatori, negli anni, se lo sono chiesto. Secondo alcuni la ragione è puro e semplice sessismo, magari quello incastonato nei pregiudizi di una community – quella degli sviluppatori – ancora ad altissimo tasso maschile. «Dopotutto», ha scritto Amanda Marcotte su Forbes, «Siri fondamentalmente non è altro che la versione elettronica di una segretaria, che prende appuntamenti e fa ricerche al posto vostro». Insomma, sarebbe una riproposizione della «fantasia maschile retrograda di una segretaria che ubbidisce sempre». Altri hanno obiettato l’esistenza di voci maschili – Siri in Gran Bretagna, per esempio – e il fatto che tradizionalmente alle voci femminili sia riconosciuta più autorevolezza, ispirando maggiore fiducia. Femminile, maschile o asessuato che sia, quel mondo virtuale comunque procede. Anche Facebook sta per farvi il suo ingresso con M, un servizio interno alla sua chat Messenger il cui algoritmo è potenziato dal lavoro di migliaia di “addestratori” umani. Risultato? «M può realmente eseguire dei compiti al posto vostro», dice l’ex CEO di PayPal e ora vicepresidente dei prodotti di messaggistica a Facebook, David Marcus: se chiedete di un ristorante, per esempio, oltre a suggerire il luogo M può direttamente prenotarvi un tavolo. Il recente Duer del motore di ricerca cinese Baidu procede sulla stessa linea, ma automatizzata: per ordinare il cibo a casa o connettersi al sistema sanitario nazionale bastano gli algoritmi creati dal luminare di Stanford Andrew Ng, sottratto a Google e capace di dare, secondo gli esperti, al gigante orientale un vantaggio sulla concorrenza nel riconoscimento di immagini.
Resta da comprendere se agli utenti tutto ciò interessi davvero. Apple sostiene che Siri riceva attualmente un miliardo di richieste a settimana. E se nel 2013 era usato solo dal 15% degli interpellati, oggi il 38% degli americani fa ricorso a un assistente software, scrive l’Economist citando dati Gartner, mentre due terzi dei consumatori nei mercati dei paesi sviluppati ne faranno uso entro la fine del 2016.
La tendenza è chiara: ricerche sempre meno testuali e sempre più interattive, con il software che prova addirittura ad anticipare i nostri desideri nella risposta. Senza escludere il sommarsi di più segretari virtuali nello stesso device. Con un iPhone, per esempio, avremo presto Siri, Now e M insieme. Il che pone ulteriori questioni: non è che finiremo per scambiare il linguaggio naturale per la sua versione ridotta intelligibile agli assistenti “intelligenti”? E se parlare con robot più o meno senzienti finisse per piacerci più che parlare tra noi? L’amore con un sistema operativo, come in Lei, è ancora fantascienza. Ma cinque anni fa lo era anche Siri. Meglio tenerlo a mente.