Roberto Condio, La Stampa 11/10/2015, 11 ottobre 2015
“NON DIMENTICO CUBA MA L’ITALIA È UN SOGNO”
[Intervista a Osmany Juantorena] –
Osmany Juantorena è nato a Santiago di Cuba e dal settembre 2010 ha il passaporto italiano, per matrimonio. Gioca a pallavolo e sposta gli equilibri. Ha vinto tutto a livello di club, ma non ha mai potuto farlo in Nazionale. Adesso che ha detto sì all’azzurro, a 30 anni ha una nuova carriera davanti.
Se la ricorda l’ultima volta con Cuba?
«Indimenticabile, purtroppo. A un’ora dal debutto nel Mondiale giapponese 2006 contro il Brasile mi dicono che non posso giocare. Ero risultato positivo ai Giochi Centroamericani. Presi due anni di stop anche se le controanalisi non confermarono nulla».
Dal 2009 è ripartito con Trento, con 12 titoli in 4 anni. Quanto soffriva a non avere una Nazionale?
«All’inizio, tanto. Perché l’Italia mi ha chiamato più volte, ma ho sempre rifiutato sperando che nel mio Paese cambiasse qualcosa. Mi sbagliavo e così mi sono goduto i trionfi col club».
Poi, però, ha cambiato idea...
«Il ct Berruto insisteva da anni. Io prendevo tempo perché non ero pronto. Ad aprile gli ho detto “questa volta vengo”. Rio era la mia ultima chance per giocare un’Olimpiade. Mi spiace, poi, di non aver più trovato Mauro, ma sono contentissimo della mia scelta».
Anche perché Rio è arrivata subito. Se l’aspettava?
«No. La Coppa del Mondo è stata un’emozione unica: ho pianto, alla fine. In un mese abbiamo fatto un miracolo».
Cambiare Nazionale, però, non è come cambiare club.
«Vero, ma grazie al gruppo e allo staff è stato meno difficile. Fin dal primo giorno di ritiro a Cavalese mi hanno fatto sentire uno di casa».
A Cuba come l’hanno presa?
«Tutti felici, i miei amici. Sapevano che i Giochi erano il mio sogno e che là non lo potevo realizzare».
Suo zio Alberto, il grande «Caballo» dell’atletica, che dice?
«Non lo sento da tempo. Però mi ha sempre appoggiato al 100%».
Lei, peraltro, avrebbe desiderato tornare con Cuba.
«Sì, ma volevano che lasciassi il club in Italia. Come se l’Argentina obbligasse Messi a mollare il Barcellona... Impensabile, ma quel che è normale ovunque, da noi è diverso. Ora, però, qualcosa sta cambiando. Cuba è una piccola isola, ma nello sport è sempre stata una potenza. Ha perso tanto, ultimamente, ed è un dispiacere enorme per chi come me sente forti le sue radici».
Per questo non canta l’inno di Mameli?
«L’ho studiato. Però taccio per rispetto verso la mia terra».
L’azzurro la fa sentire più italiano?
«Non ce n’era bisogno: qui vivo da 9 anni ed è iniziata la mia vera carriera. Adoro la pasta e il mio modo di pensare s’è molto italianizzato».
Poi c’è sua figlia, nata a Trento.
«Si chiama Victoria. La più bella della mia carriera, arrivata durante la finale 2013, quella del mio ultimo scudetto».
Con l’Italia pensa di vincere altro? Già questo Europeo, magari?
«C’è ancora da migliorare, siamo un gruppo appena nato. Ma siamo sulla buona strada. Abbiamo fame, voglia».
Voto al nuovo ct Blengini?
«Non lo conoscevo. È bravo, moderno e molto chiaro: le cose te le dice in faccia. Non posso che parlarne bene, anche perché dopo l’Europeo lo avrò pure nella Lube...».
In Superlega se la vedrà contro la «sua» Trento e Giannelli che in azzurro è il suo regista. Come si trova?
«Benissimo. È un talento vero e, pur avendo solo 19 anni, ha già la testa giusta. Ne ho visti pochi come lui. L’Italia è a posto per un bel po’».
Fermiamoci a Rio 2016. Ci ha già pensato?
«Immagino un torneo ad altissimo livello, con un ambiente eccezionale perché in Brasile si respira pallavolo. L’Italia ci sarà grazie a noi e io spero di salire su quell’aereo per cercare una medaglia. Adesso, però, proviamoci all’Europeo».
Roberto Condio, La Stampa 11/10/2015