Fabio Isman, Il Messaggero 11/10/2015, 11 ottobre 2015
IMPRESSIONISTI ALLO SPECCHIO
Una galleria di ritratti e autoritratti, in cui magari i grandi maestri (a quel tempo non ancora famosi) si eternano a vicenda; altri, di personaggi che erano celebri o stavano per diventarlo; lo studio di qualche artista; squarci della vita quotidiana, a cavallo tra l’Otto e Novecento: questi i temi della nuova mostra degli Impressionisti al Vittoriano, circa 60 dipinti provenienti dalla collezione parigina del museo d’Orsay, il “tempio” di questo periodo dell’arte, che si apre giovedì e durerà fino al 7 febbraio. Curata da Guy Cogeval, il direttore del museo, con alcuni collaboratori (cat. Skira), racconta la vera peculiarità del pittori “en plein air”: quella di annullare la barriera tra l’atelier dell’artista e la vita comune; di «farlo uscire dal proprio guscio», come dice già nel 1876 lo scrittore Edmond Duranty che alcuni pensavano perfino un figlio naturale di Prosper Mérrimée.
LO STUDIO DI NADARIn quel momento, il movimento impressionista era sorto da appena due anni, in virtù di una mostra organizzata a Parigi, Boulevard des Capucines: Edgar Degas, Paul Cézanne, Claude Monet, Pierre-Auguste Renoir, Alfred Sisley, qualche altro, con l’italiano Giuseppe De Nittis, nello studio di Nadar, cioé il fotografo Gaspard-Félix Tourmachon. E’ il battesimo ufficiale di un gruppo di artisti, destinato a «modificare ogni valore sentimentale e poetico» (Pierre Francastel).
Le opere che saranno a Roma spaziano dal 1855 fino al 1913. Frédéric Bazille che eterna Renoir; Carolus-Duran, il quale immortala Edouard Manet; Renoir che effigia Monet; Degas, Cézanne e Léon Bonnat si dedicano ai propri Autoritratti; i volti di celebri personaggi fissati sulla tela quando non erano, magari, ancora affermati: Victor Hugo (un bronzo di Auguste Rodin), Claude Debussy, Stéphane Mallarmé.
I PERSONAGGIIn più, Bazille ci regala il suo atelier; Maurice Denis, Degas con la sua modella; Renoir, il volto di William Sisley, padre del pittore Alfred, ricco uomo d’affari; Cézanne la moglie. Né mancano le sculture: uno Studio di nudo per la ballerina vestita di Degas; i bronzi del principe Paolo Troubetzkoy; un marmo con quattro bronzi di Rodin, di cui uno eterna il celebre pittore Pierre Puvis de Chavannes. Ed Émile Zola chiarisce: sono «pittori che amano il loro tempo, cercano di penetrare figure prese dalla vita, con tutto l’amore che provano per i soggetti moderni».
Nel novero, alcuni piccoli capolavori: Il balcone di Manet (del 1890), i ritratti di Mallarmé e di una Angelina; Degas che dipinge tre giovani industriali del tempo; un bozzetto per i Giocatori di carte di Cézanne. Come L’altalena di Renoir, sono autentici specchi di un’epoca: di una inedita sfida, carica di psicologia e introspezione. E’ la “nuova pittura” che, tradotta in mostre, significa anche cassetta sicura. Non è un caso se altre due loro esposizioni sono in corso a Genova, e a Torino.
INCONTRI INFORMALIIl ritratto, dunque, è la prima palestra di questi inediti campioni; Degas prende a modello suo nonno; e se il suo capolavoro è La famiglia Bellelli, qui Jacques-Emile Blanche ci regala un’istantanea di quella Halévy. Degas, però, fissa anche incontri informali, come quello con due incisori impegnati in una lastra da stampa, o del gruppo di tre giovani imprenditori. Quadri che anticipano anche le fotografie, non a caso Nadar amava parecchio proprio questi artisti.
Persone immortalate da sole, o con i loro oggetti, come il Ritratto di donna con vaso di porcellana, sempre di Degas. Numerosi i Renoir esposti, accanto a dipinti del suo grande amico Bazille: L’altalena, di certo, è tra i suoi migliori. Tra loro, non sfigura certamente una scultura di Medardo Rosso, di poco successivo all’Impressionismo, un busto del figlio dell’industriale Mond, Alfred; o un dipinto di John Singer Sargent, che fu loro vicino (mentre l’unica donna impressionista non francese è stata Mary Cassat).
LA PERSPICACIA«Non c’è lavoro artistico che richieda altrettanta perspicacia del busto o del ritratto», proclamava Rodin. E quadri di vita quotidiana, frammenti di città e di esistenza nelle vie. Ne era il primo campione Manet, «importante per noi quanto Cimabue o Giotto per gli italiani del Rinascimento», diceva Renoir. Il passo d’addio del movimento saranno forse le Ninfee di Monet, che dedica vent’anni allo stesso soggetto, e la sua pittura si stempera in segni inarrivabili.
Il nome del movimento deriva dal titolo di una sua opera del 1872, Impression soleil levant; ma il D’Orsay, di suoi quadri non ne ha mandati nemmeno uno. Per fortuna, Renoir ce lo mostra come era tre anni dopo questo suo capolavoro; pare quasi uno che ha bisogno della doccia e del barbiere; questi artisti erano spesso fatti (anche) così.