Giuseppina Manin, Corriere della Sera 12/10/2015, 12 ottobre 2015
La fuga dei compositori all’estero «L’Italia abbandona i nuovi talenti»– Il Paese del belcanto e del bel suono sta diventando il Paese dei sordi
La fuga dei compositori all’estero «L’Italia abbandona i nuovi talenti»– Il Paese del belcanto e del bel suono sta diventando il Paese dei sordi. Specie alla musica contemporanea, soprattutto se di casa nostra. L’Italia, si sa, non è un Paese per giovani. Tanto meno per giovani compositori. Basta dare un’occhiata ai nomi negli ultimi quattro anni selezionati dalla Biennale Musica di Venezia — che ieri ha chiuso la sua 59ª edizione incoronando Leone d’oro alla carriera il compositore George Aperghis — per rendersi conto che una intera generazione, tra i 30 e i 40 anni, è stata privata del diritto di cittadinanza musicale, costretta a migrare, a cercare altrove gli ascolti da noi negati. Scorrendo l’elenco, più di una ventina di nomi, si scopre che tutti, proprio tutti, vivono all’estero. Parigi e Berlino le città in testa, la prima perché sede del prestigioso Ircam di Pierre Boulez, la seconda perché capitale delle avanguardie musicali. Ma anche Svizzera, Spagna, Finlandia sono mete privilegiate dei nostri talenti, che lì trovano occasioni compositive da noi impensabili. Perché in Italia i sordi più profondi, che proprio nulla intendono, spesso sono proprio coloro che a quelle nuove frontiere dovrebbero prestare orecchio: organizzatori culturali, responsabili di teatri e sale da concerto. Spazi dove il compositore, specie se giovane e italiano, è visto con sommo sospetto, tenuto alla larga come portatore insano di temibili virus sonori. E così l’interessante brano scelto per aprire Biennale Musica, «Parole di settembre» di Aureliano Cattaneo, è una «prima» che qui arriva con due anni di ritardo. Nonostante abbia tutte le stimmate dell’italianità, testi di Edoardo Sanguineti, un omaggio al Mantegna, il debutto è stato a Vienna nel 2013. Per Cattaneo, nato a Lodi nel ’74 ma ormai di casa a Madrid, nulla di nuovo visto che le precedenti esecuzioni le ha avute a Helsinki e a Berlino, a Ginevra e a Salisburgo. Nelle lista dei cervelli musicali in fuga anche Francesco Filidei, pisano, 42 anni, e Mauro Lanza, veneziano, 40 anni, entrambi traslocati a Parigi. Dove vivono da tempo anche due nomi autorevoli quali Marco Stroppa e Stefano Gervasoni. E persino un maestro come Salvatore Sciarrino, pur di una generazione più in là, non è profeta in patria. La sua «Porta della legge» presentata l’anno scorso alla Fenice, aveva avuto il debutto a Wuppertal nel 2009, mentre «Luci mie traditrici», debutto nel ‘98 in Germania, in Italia è arrivato solo nel 2010. Quanto a Ivan Fedele, che della Biennale Musicale è il direttore, quest’anno ha ricevuto quattro commissioni. Tutte straniere: dalla Philharmonie di Parigi, da Radio France per il Festival Présences 2016, dall’Ensemble InterContemporain e dalla European Contemporary Orchestra. Mentre la rivista Opernwelt ha premiato come migliore novità dell’anno «Esame di mezzanotte» della compositrice Lucia Ronchetti. L’opera, neanche a dirlo, ha debuttato a Mannheim... Cosa sta succedendo alla nostra musica? Perché questi talenti, dopo aver studiato in Italia vanno tutti via? Perché nel resto d’Europa i nuovi linguaggi sono visti con interesse e da noi con diffidenza? «Il fatto è — interviene Paolo Baratta, presidente della Biennale — che nel nostro Paese vige una situazione di schizofrenia tra il ministero per i Beni Culturali e quello per l’Educazione. Da una parte si stanziano 350 milioni per gli enti lirici, dall’altra non si prevede l’educazione musicale nelle scuole. Lo stesso paradosso in atto per l’ambiente: così importante che non si insegna più la geografia. O per la storia dell’arte, che qualche ministro sconsiderato voleva abolire… La buona scuola è quella che forma la persona, ma per formarla servono storia e geografia, arte e musica. Toglierle di mezzo in nome di una visione utilitaristica dello studio, per dar spazio al pc, è una sciocchezza. Il computer i giovani lo conoscono già. E molto meglio di noi». In attesa di colmare un vuoto scandaloso, è la Biennale College a offrire l’opportunità a un gruppo di giovani di un reale confronto artistico. «Negli anni scorsi il focus è stato sull’opera lirica, declinata in tutte le sue modalità — ricorda Baratta —. Quest’anno, visto che il tema è la Memoria, 24 giovani esecutori seguiti da solisti di fama si sono cimentati con un’impervia partitura di Giuseppe Sinopoli». Una formula originale per dar voce a nuovi talenti. Oltre che un prezioso lavoro di ricognizione sul nostro panorama sonoro. Perché la musica non è solo la Prima della Scala o Sanremo. E perché per ascoltare le novità italiane non si debba andare sempre e solo all’estero.