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 2015  ottobre 12 Lunedì calendario

GUERRA PER L’EREDITA DEI CASAMONICA

Pezzi storici di mala romana contendono agli eredi di «Re Vittorio» il mercato del prestito a usura, unico a prosperare in regime di crisi, con il 27% di reati in più nell’ultimo anno (per la Corte d’Appello). Al dato storico si aggiungono episodi e sangue recenti: mentre Roma scopre l’intreccio tra boss nostrani e mafia d’esportazione, gli investigatori intercettano le gesta di «imprenditori» dai cognomi doc come Barravecchia, Febbi, Corradini e Zioni che strozzano vite in centro come in periferia, dall’ex borgata di Primavalle alle vie della Romanina.
È in quel giro, a cavallo fra spaccio e usura, che matura la gambizzazione di Gianluca Alleva (Primavalle) per la quale ora sono stati condannati Manolo Zioni, Graziano Silipo e Sergio Corradini, imparentato a un «cravattaro». Tra i motivi della lite? Zioni appoggia gli «zingari» e ad Alleva non piace: «’na vorta ..è venuto coi zingari a piamme le parti» registrano le intercettazioni.
Poi c’è la Romanina. Proprio qui, in via Baccarini, ai confini con l’ enclave di «Re Vittorio», giorni dopo le esequie con petali dall’alto, è passato quasi inosservato un tentato omicidio. Arturo Garofalo detto «Sandro», 25 anni, in ritardo con la restituzione di ventimila euro prestati dallo zio, Francesco Barravecchia, è attirato in un agguato dopo aver cercato la protezione di Marco Casamonica. Quest’ultimo si offre di fare da mediatore per l’amico e il 1 settembre incontra il cognato di Barravecchia (creditore) Simone Febbi.
A certi incontri si va soli, Febbi invece la pistola. Casamonica gli allenta due schiaffi, così, giusto per farsi capire: che rifletta meglio in futuro. Se Garofalo sperava che l’ amico importante avrebbe convinto lo zio a pazientare, ha sbagliato. Al contrario, dallo schiaffo parte la ritorsione. La notte stessa, dopo segnalazioni telefoniche alla centrale operativa, un agente arriva sul posto e trova un tipo coperto di sangue dentro un Suv. Prima di svenire, colpito da quattro proiettili «esplosi a distanza ravvicinata», Garofalo fa in tempo a dire qualcosa: « Mi ha sparato mio zio, mio zio Barravecchia ». Poco dopo, ricoverato d’urgenza al Policlinico di Tor Vergata con ferite al torace e alle gambe, entra in coma: si salverà per un soffio.
«Zio Francesco» (Barravecchia) è arrestato assieme ai complici, Febbi (lo schiaffeggiato) e Carmelo Carrozza. Il giudice che firma l’ordinanza , Costantino De Robbio, lo definisce «episodio di particolare efferatezza». La vittima non ha armi. I tre fanno fuoco, a uno di loro s’inceppa la pistola, ma, dopo una scarrellata, torna a sparare.
La luna è avversa e i tre, infine, mancano l’obiettivo ma la ferocia messa in campo non consente di derubricare il fatto. Lo scenario è preoccupante: «L’episodio appare di particolare gravità, poiché è stato preparato e posto in essere come un vero agguato, rivolgendo le pistole contro persona disarmata e senza desistere dopo i primi colpi che già avevano reso Garofalo impossibilitato a reagire». Non solo c’è il pericolo di recidiva, concludono i giudici del Riesame presieduto da Maria Sabina Vigna ma conviene vigilare: «non possono escludersi ulteriori regolamenti di conti».