Giuliano Ferrara, Rolling Stone 11/2015, 12 ottobre 2015
IL GIORNO IN CUI L’EUROPA HA CAMBIATO COLORE
Debiti, muri, naufragi, scafisti, bambini spiaggiati come piccoli delfini e poi marce forzate, attraversamenti di rotaie e campi di mais, scontri, accoglienza, parti lungo la strada, vecchi, storpi, malati, donne incinte, ragazzi e ragazze, selfie, volontari, vertici, liti, quote: l’estate dell’europa erasmiana, umanista, origine della civiltà greco-latina, estate caldissima e mostruosa, con una coda ridente di speranza per alcuni, di rancore e di paura per altri, molti. Ci hanno salvato i barbari, i germani, che a suo tempo ci avevano perduti. Sono loro che hanno suonato l’Inno alla gioia, loro che hanno cantato, che hanno risposto per la prima volta ai piccoli mercanti di paure. Il fondo cristiano di quelle società nordiche, luterane o calviniste, è emerso e ha sopravanzato il cattolicesimo di italiani e spagnoli, l’ortodossia greca. A sorpresa, la gioia della misericordia e la tecnica semplice della compassione e della condivisione. Le immagini aiutano, fanno paura, ma fanno anche coraggio, realizzano alla fine le Beatitudini, e gli ultimi qualche volta arrivano primi al traguardo dei nostri cuori teleguidati, ma sani.
Ma ora che si fa? L’Economist dice: lasciateli entrare e metteteli al lavoro (Let them in, let them earn). È un programma ambizioso, ci vuole coraggio a pensare che funzioni, ma non ci sono alternative. Salvo una: un Occidente euroamericano armato di tecnologia e di senso della realtà e dell’identità, capace di chiudere la stagione di guerra che da quattro anni devasta la Siria, che ha portato alla nascita di uno Stato islamico califfale, che ha destrutturato tribalmente la Libia, che ha insanguinato il Mediterraneo. La guerra non è l’igiene del mondo, ma in certi casi è l’unico modo di imporre la pace. D’altra parte un ragazzino approdato in Europa dalla Siria l’ha detto: You stop the war, we stay in Siria.
Europa è stata viaggio, amori transfrontalieri, giovinezza, musica, scambio di lingue e letterature, tutto in comune, le radio, le tv, i giornali, il modo di vivere, le famiglie allargate, il femminismo, la cultura gay, la boda gay, la scienza onnipotente, il Papa di nuovo buono, gli indipendentismi, i localismi e l’universalità dei diritti umani. E tutto incollato dall’uso dell’inglese come lingua franca. Europa come giardino di casa, università viaggiante, servizi condominiali efficienti, sicurezza e mobilità, eppoi tutto in questione per via dell’Esodo, con quel nome risonante e malandato e in pericolo di Schengen, il principale dei Trattati a parte l’Euro, la moneta unica. Paesaggi da secondo dopoguerra, tracciati di campagna per spostamenti di masse umane diseredate, etnie disperse, arrivano dal Medio Oriente, ma anche dall’Afghanistan e chissà da dove lontani, diretti verso quale dove nel nostro cortile di casa.
L’Europa nel frattempo ha continuato a fare il suo vecchio mestiere di supernazione banchiera, di asse franco-tedesco rassicurante, di patria delle libertà civili in cui è sepolto l’odio nazionale. I greci hanno continuato a votare, gli italiani a farsi governare dagli improvvisati quarantenni, i tedeschi nelle mani di Mutti Angela, i francesi un po’ in confusione soprattutto dopo l’ammazzatina di Charlie Hebdo, gli spagnoli alle prese con i sogni erotici dei podemos, gli inglesi a curare una spettacolare ripresa e la inestinguibile tradizione monarchica, che sopporta anche un Jeremy Corbyn, e poi inquieti i catalani, gli scozzesi, i lombardo-veneti. E gli U2 sono sempre in tour, e Bono Vox distribuisce patenti di umanitarismo e amore per i poveri, i derelitti, i dannati. È cambiato qualcosa?
Quel che è sembrato cambiare, almeno un poco, è il colore d’Europa. Cupo, opaco, triste, indifferente o indignato, finché non ha preso la solarità del tendere la mano senza contropartite evidenti, finché non ha prevalso la simpatia sull’antipatia, altro che empatia (mai capito che cosa sia, a parte uno slogan di Barack Obama). Il rap dell’estate è l’aiuto balbuziente ma severo, sincero, limpido che un Paese ricco, come l’Europa, ha deciso di portare a chi lasciava le terre dei fuochi, quelli veri, e cercava riparo. Non male, tutto sommato, per un continente pieno di risentimenti, di edonismi d’accatto, di equivoci e di peccadillos senza importanza.