Notizie tratte da: Didier Van Cauwelaert # Il dizionario delle cose impossibili # Clichy 2015 # 392 pp. # 17,00 €., 12 ottobre 2015
Notizie tratte da: Didier Van Cauwelaert, Il dizionario delle cose impossibili, Clichy 2015, 392 pp
Notizie tratte da: Didier Van Cauwelaert, Il dizionario delle cose impossibili, Clichy 2015, 392 pp., 17,00 €.
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• In Messico, dove la rete idrica pubblica è particolarmente inaffidabile, si trova una delle più grandi falde freatiche pompate dalla Coca-Cola (per produrre un litro della bevanda ne occorrono tre d’acqua). Dato che una lattina della bibita costa un terzo di una bottiglietta d’acqua da mezzo litro, il Messico ne è diventato il più grande consumatore mondiale, con una media di ben 225 litri a persona ogni anno (ma nel 2013 il 70% della popolazione soffriva di obesità, e si stima che presto sarà il 90%). La Coca-Cola è riuscita a prender piede persino nei rituali religiosi indigeni, dove ha ormai sostituito il posh, l’alcol sacro che favorisce la purificazione spirituale.
• Nel 2013 una ricerca dell’Università di Tufts (Massachussetts) ha dimostrato che, decapitando un verme, la sua testa ricresce nell’arco di quattordici giorni con la memoria intatta. Da ciò uno degli autori dello studio, Michael Levin, ha dedotto che «la memoria sembra essere conservata al di fuori del cervello». Tra l’altro, il Dna umano è per il 75% identico a quello del verme.
• «Il metano sprigionato tramite peti è un gas esplosivo: per questo è vivamente sconsigliato fumare mentre si munge una vacca».
• Appassionato di botanica, Charles Darwin amava particolarmente le piante carnivore, tanto che le nutriva all’ora del tè. Scoperse così che la sua drosera disdegnava tè e biscotti, mentre andava pazza per il bianco d’uovo e le ossa di cosciotti macinati.
• La Socratea exorrhiza, comunemente nota come “palma delle Ande”, ha sviluppato la capacità di camminare per beneficiare di una miglior posizione. «Quando il suo ambiente non è più conveniente, quando gli alberi vicini o le costruzioni umane le oscurano il sole, la palma delle Ande si sposta letteralmente verso la luce formando nuove radici apparenti che la “trascinano” verso un altro luogo di soggiorno, mentre lascia morire all’ombra le vecchie. Naturalmente ci vogliono mesi per questo movimento. Però, il filmato ottenuto grazie alle riprese “fotogramma per fotogramma”, visionato a velocità accelerata, permette all’occhio umano di vedere gironzolare questa palma, come la foresta di Birnam descritta nel Macbeth di Shakespeare».
• «Una serie di test sul dolore, volta a confrontare gli effetti dell’aspirina e quelli di una semplice zolletta di zucchero, mostra che il tasso di efficacia del trattamento simulato è del 45%. Ma questo tasso raggiunge il 56% quando il gruppo sotto placebo crede di ricevere non più una dose di aspirina, ma un’iniezione di morfina. L’efficacia del placebo sembra quindi proporzionale alla potenza attribuita al trattamento che ci si illude di ricevere».
• È stato curiosamente dimostrato che, assumendo i cosiddetti placebo, è possibile percepire non soltanto gli effetti benefici del farmaco originale, ma persino quelli indesiderati. «Nel corso di uno studio riguardo a un tranquillante, la mefenesina, dal 15 al 20% dei soggetti testati hanno accusato effetti collaterali (nausea, prurito, palpitazioni cardiache) pur avendo assunto solo un placebo. Eventuali effetti collaterali di questo rilassante muscolare di cui erano stati naturalmente informati prima dell’inizio del trattamento».
• Nel XIX secolo la tubercolosi fu micidiale fino al 1882, l’anno in cui il dottor Koch annunciò di aver scoperto il bacillo responsabile della patologia. Anche se l’elaborazione di un vaccino efficace richiese un altro mezzo secolo, bastò rivelare al grande pubblico l’origine della malattia per dissiparne l’«aura di profondo mistero» e risollevare le speranze di tutti in una possibile guarigione, facendo così crollare subito il tasso di mortalità dal 6 al 2%.
• Nel 1972 una paziente cieca, Irène Badini, riuscì a fornire l’identikit preciso di due medici che le avevano rubato i gioielli mentre si trovava in stato di coma irreversibile. Sbalorditi, i colpevoli confessarono il furto, e i gioielli furono ritrovati proprio nel posto indicato dalla donna.
• Nel romanzo Dalla Terra alla Luna del 1869, Jules Verne racconta di un «proiettile capsula» che, sparato da un enorme cannone situato in Florida, raggiunge la Luna in 73 ore e 13 minuti. Esattamente cento anni dopo, il viaggio dell’Apollo 11 durerà 73 ore e 10 minuti.
• In 2010. Odissea due (il seguito di 2001. Odissea nello spazio), Arthur C. Clarke immagina che un satellite di Giove, Europa, possieda un oceano subglaciale pieno di vita, fornendone una descrizione che si rivelerà perfettamente fedele alle immagini inviate quindici anni più tardi dalla sonda Galileo.
• Quando è attaccato dai bruchi, il mais emette un odore che attira le vespe, che di bruchi sono ghiotte.
• Una pianta, il gigaro mangiamosche, «attira i mosconi fingendo di essere un cadavere, di cui imita alla perfezione l’odore pestilenziale. I mosconi, tutti contenti, depongono le uova nell’organo riproduttore della pianta, di cui garantiranno la fecondazione trasportando, a loro insaputa, il polline verso altri “fiori cadaveri”».
• Un’altra pianta, l’ofride specchio, camuffa il centro del suo fiore come una vespa femmina, riproducendone rigorosamente forma e proporzioni: così «il maschio, attirato dai feromoni sessuali che ha ugualmente saputo “imitare”, si precipita sul fiore per accoppiarsi. Quando si rende conto che è impossibile, riparte carico di polline, che così trasmetterà, di orchidea in orchidea, nel corso dei suoi insuccessi amorosi – grazie ai quali queste piante saranno fecondate».
• Si può dire che le api abbiano inventato la “monarchia proletaria”: nell’alveare, infatti, sono le operaie a creare le api regine, ad allevarle, a individuare le migliori e a ridurne infine il numero eliminando quelle di troppo. Per questa ragione Stendhal considerava quello delle api il miglior regime politico: «la monarchia assoluta temperata dall’assassinio».
• L’ape regina ha anche una funzione insetticida: emette infatti un particolare profumo che impedisce l’ovulazione di mosche, formiche e termiti, insetti che altrimenti tenterebbero di colonizzare l’alveare. I suoi feromoni, inoltre, proteggono le larve dall’attacco delle zanzare.
• L’ape regina ha la facoltà di decidere il sesso della prole. «Dopo il suo “volo nuziale”, la sovrana fecondata conserva infatti gli spermatozoi all’interno di una piccola vescica ben protetta. Un sottile canale collega la suddetta vescica al condotto dal quale escono le uova: sarà facoltà della regina liberare o no qualche spermatozoo al passaggio dell’uovo, provocando la fecondazione. Se non lo fa, dall’uovo uscirà un maschio».
• Nel 1923 Karl von Frisch (premio Nobel per la fisiologia e la medicina nel 1973) decodificò il duplice linguaggio delle api: il movimento delle antenne (un “vocabolario” di centodieci posizioni) e la «danza dell’addome», una complessa coreografia «a forma di otto, fatta di semicerchi, movimenti di addome e ronzii vari» mediante la quale le esploratrici spiegano alla colonia in quale direzione e a quale distanza si trova il bottino che hanno individuato.
• Nel maggio 2013 Vladimir Putin ha fatto sapere a Barack Obama che l’unico motivo per cui, attualmente, potrebbe scoppiare la Terza guerra mondiale è la scomparsa delle api: il presidente russo imputa infatti alla Casa Bianca e al suo sostegno ai produttori americani di pesticidi e Ogm la responsabilità della sindrome di disgregamento delle colonie di api. In effetti, il pericolo è reale: l’80% dei frutti e delle verdure esiste solo grazie all’impollinazione delle api, e rischia di scomparire insieme a loro. E, secondo quanto Einstein disse a Karl von Frisch, «se le api sparissero dalla faccia della Terra, all’uomo resterebbero solo quattro anni di vita».
• Rosemary Brown (1916-2001), un’impiegata delle poste inglese, sosteneva di ricevere visite notturne da parte di grandi compositori defunti, che le dettavano loro composizioni inedite. Il primo ad apparirle, all’età di appena sette anni, fu Franz Liszt, che dovette però insistere per decenni perché lei si decidesse a seguire un corso di pianoforte: quando lo fece, a quasi cinquant’anni, Liszt e colleghi si affrettarono a trasmetterle chilometri di partiture. Alla diffusione della notizia, «tutti credono inizialmente a un bello scherzo. Vengono chiamati anche dei musicologi per smascherare la mitomane. Ma gli esperti sono unanimi: la donna suona malissimo, ma pare proprio che suoni Liszt, Chopin, Beethoven, Brahms… Dopo le opportune verifiche, risulta che queste partiture sono inedite. Pur senza essere capolavori, si iscrivono comunque nella continuità dell’opera di questi compositori defunti, che sembrerebbero proprio sfruttare Rosemary Brown come “copista”».
• La Brown descrisse anche il temperamento dei vari compositori durante le loro apparizioni: «Liszt è gentile e molto generoso, ma a volte si innervosisce quando non sono abbastanza veloce, poi si mette a parlare in tedesco o in francese e io non ci capisco più nulla. Allora lo sgrido»; Bach è piuttosto arcigno e impaziente; Beethoven, ormai «guarito dalla sordità», è molto puntiglioso sul tempo; Schubert «molto bravo e un po’ timido»; Chopin tanto appassionato quanto servizievole, tanto che un giorno interruppe la dettatura per avvertirla che la figlia aveva lasciato aperto il rubinetto della vasca.
• Il 90% dei batteri ha il potere di metabolizzare le sostanze inquinanti, assorbendole e rigettandole sotto forma innocua. «Il brevibacterium elimina la diossina, l’acinetobacter deteriora gli idrocarburi, il thiobacillus ossida i metalli pesanti e l’enterobacter assimila i pesticidi. Il paracoccus, invece, va matto per i nitrati e ne estrae l’ossigeno e l’azoto gassoso, elementi indispensabili per l’equilibrio dell’atmosfera. Non ci dimentichiamo infine del deinococcus radiodurans, resistente alla radioattività, ideale per pulire i dintorni di Chernobyl o Fukushima, per il trattamento delle scorie nucleari e per trasformare il mercurio ionico, altamente tossico, in mercurio ordinario».
• Nelle persone affette da disturbo dissociativo dell’identità (per lo più donne che abbiano subìto un trauma nella prima infanzia), le loro personalità multiple sono psicologicamente distinte l’una dall’altra in maniera netta: presentano differenti strutture di onde cerebrali, sono dotate di nome, età e atteggiamenti specifici, spesso possiedono una propria calligrafia, un genere sessuale dichiarato, un loro contesto etnico e culturale, delle doti artistiche, una lingua straniera parlata correntemente e un proprio quoziente d’intelligenza .
• Nel passaggio da una personalità all’altra, il soggetto può presentare persino modificazioni biologiche: «per esempio, ci sono dei diabetici che all’improvviso smentiscono analisi e diagnosi, degli epilettici che smettono di esserlo per poi ricominciare a seconda delle loro identità successive – i loro alter, come si dice. La voce si trasforma, fino a modificare l’impronta vocale, che è pur sempre specifica di ogni individuo. La capacità visiva può anch’essa cambiare, obbligando alcuni soggetti, alternativamente ipermetropi o presbiti, a portare sempre con sé più paia d’occhiali».
• Nel 1966 durante un processo fu depositata un’istanza per accordare a una persona con personalità multiple il diritto ad avvocati diversi per ciascuna personalità. L’imputato in questione era Thomas Huskey, un amnesico che ospitava un alter di nome Kyle, il quale aveva confessato spontaneamente l’omicidio di quattro donne: la richiesta di difesa dissociativa mirava a sostenere la sua parziale non colpevolezza e a preservare l’onore delle altre personalità, “assenti” al momento del crimine. Il giudice però rigettò l’istanza, e dichiarò Thomas Huskey e le sue venti personalità complici e colpevoli.
• Nel 1972 «lo status di vittima di uno stupro è stato accordato dalla giustizia a Jennifer, una delle quarantasei personalità sviluppate da un’orfana che rispondeva (a volte) al nome di Sarah. Il suo aggressore l’aveva caricata in macchina chiedendo di parlare con “quella tra di voi a cui piace di più divertirsi”. Jennifer, quella più spigliata, prese allora il controllo di quel corpo in comproprietà, che si lasciò così possedere». Secondo l’accusa si trattava di un vero e proprio stupro, e con l’aggravante della circonvenzione d’incapace, perché l’aggressore conosceva il disturbo mentale di Sarah; per la difesa invece no, perché Jennifer era consenziente. «Alla fine di un processo omerico che vedrà susseguirsi alla sbarra, davanti alle telecamere, quindici testimoni dell’accusa incarnati da Sarah (tra cui un ragazzo molto virile, furioso “per essere incastrato in un corpo di donna incapace di pisciare in piedi”), il giudice dichiarò l’imputato colpevole di stupro. Ma poi ordinò la sua liberazione».
• Il 65enne brasiliano Luiz Gasparetto, psicologo in una clinica vicino a Rio de Janeiro, è senza dubbio il più prodigioso artista specializzato in “pittura automatica”. Spesso, infatti, gli fanno visita grandi pittori del passato, chiedendogli di servirsi del suo corpo per dar sfogo alla loro arte: allora, in una sorta di trance, Gasparetto si mette a dipingere, sotto il loro controllo e con una rapidità impressionante, opere di Matisse, Leonardo, Toulouse-Lautrec, Goya, Monet, Rubens, Gauguin, Van Gogh e molti altri. Su Internet si possono trovare filmati girati in tempo reale in cui lo si vede dipingere in trenta minuti, e simultaneamente, un Delacroix con la mano destra, un Michelangelo con la sinistra e un Picasso coi piedi. Ha iniziato a tredici anni, in seguito a un’apparizione di Edouard Manet. A 25 anni aveva già dipinto in questo modo duemilacinquecento tele.
• Il metodo di lavoro di Gasparetto è immutabile: «con gli occhi chiusi, si impadronisce dei colori senza sceglierli, disegna a gran velocità, a volte perfino al contrario, senza mai osservare il risultato dei suoi gesti. Firma l’opera una volta compiuta, la mette da parte e subito dopo comincia quella seguente su un foglio nuovo, passando senza soluzione di continuità e senza difficoltà dal figurativo al cubismo, dagli impressionisti ai primitivi fiamminghi».
• Nel corso degli anni, i più grandi esperti mondiali hanno tutti “autenticato” le produzioni inconsce di Gasparetto come copie perfette, variazioni fedeli oppure opere sconosciute conformi allo stile degli artisti firmatari.
• Il miglior imitatore in natura è l’uccello lira dell’Australia, capace di riprodurre persino il rumore della sega elettrica, del fucile, del clacson e di altri strumenti moderni.
• Vive nell’Africa australe il dicrurus, un uccellino nero tanto virtuoso nel canto quanto scansafatiche, che si nutre degli insetti catturati dai suricati. Quando quelli si riuniscono per mangiare, lo scroccone si nasconde e imita il verso del loro predatore, la poiana, facendoli fuggire immediatamente nelle loro tane: a quel punto l’uccellino può uscire allo scoperto e mettersi a banchettare al posto loro. Quando, però, dopo alcune volte, i suricati si accorgono dell’imbroglio e non scappano più udendo quel verso, il dicrurus cambia prontamente strategia, attuando il piano di riserva: imita allora il tipico grido di allerta emesso dal suricato quando avvista una poiana, ottenendo nuovamente successo, e aggiudicandosi così l’ennesimo pasto a sbafo.
• Le cinciallegre sono molto sollecite nel rispondere alle richieste dei loro uccellini, ma puniscono brutalmente a colpi di becco i piccoli di un’altra nidiata che per sbaglio reclamino da loro del cibo. Se però capiscono che si sono persi o sono orfani, li adottano immediatamente.
• Tre sono le reliquie della Passione di Cristo attualmente conosciute e custodite: la Sindone di Torino, un pezzo di lino (di 4,36 x 1,10 m) che ne avrebbe avvolto il corpo all’interno del sepolcro; il Sudario di Oviedo, una tela anch’essa di lino (di 83 x 53 cm) che sarebbe stata applicata sul Suo volto al momento della discesa dalla croce; la Tunica d’Argenteuil, un vestito di lana senza cuciture (giuntoci incompleto: la parte principale misura un po’ meno di un metro, le maniche solo dieci centimetri) che Gesù avrebbe indossato dopo la flagellazione e lungo la salita al Calvario. In base alle analisi scientifiche cui sono stati sottoposti, tutti e tre i reperti risultano intrisi di sangue di gruppo AB e presentano il medesimo Dna.
• «Le caratteristiche del viso “assorbito” dal Sudario sono le stesse di quelle impresse sulla Sindone: naso di otto centimetri con cartilagine rotta, barba divisa in due punti ecc. Se si sovrappongono i due panni, settanta macchie di sangue coincidono». Una comparazione informatica ha inoltre mostrato che tali macchie sono perfettamente compatibili con quelle ritrovate sulla Tunica d’Argenteuil.
• Anche i pollini rinvenuti sulla Sindone e sul Sudario risultano avere la medesima provenienza ed essere entrambi anteriori all’VIII secolo. Secondo il professor Avinoam Danin dell’Università ebraica di Gerusalemme, che ha effettuato la comparazione, «Questo insieme di fiori si può trovare solo in una regione al mondo, quella di Gerusalemme. È impossibile che tessuti con macchie di sangue di forma identica provenienti dallo stesso gruppo sanguigno e con gli stesi grani di polline non risalgano alla stessa epoca e non abbiano ricoperto lo stesso corpo».
• Durante la Prima guerra mondiale Padre Pio da Pietrelcina (nato Francesco Forgione, 1887-1968), già frate cappuccino, fu mobilitato come infermiere, e assolse il suo compito «con uno zelo che va ben oltre la semplice dedizione militare». Per esempio, nel dopoguerra il generale Luigi Cadorna era solito raccontare a tutti di quando, dopo aver abbandonato la carica di comandante in capo in seguito alla disfatta di Caporetto (24 ottobre 1917), aveva deciso di togliersi la vita, e si era quindi rinchiuso nel suo ufficio per farsi saltare il cervello: fu allora che gli apparve un frate, che lo dissuase dal suo proposito, gli fece riporre la pistola e poi d’un tratto scomparve così come era apparso. Quando il generale chiese alle guardie perché avessero lasciato entrare quel frate senza annunciarlo, quelle giurarono di non aver visto nessuno. Solo qualche anno dopo, vedendo una foto di Padre Pio, Cadorna riconobbe in lui il suo salvatore: si precipitò allora al convento di San Giovanni Rotondo per incontrarlo. Qui, prima ancora che si potesse presentare, il cappuccino gli strizzò l’occhio, dicendogli: «Ehi, generale, l’abbiamo scampata bella!».
• Di Padre Pio erano noti anche l’umorismo tagliente e i modi un po’ brutali. «Quando una coppia di genitori gli porta il figlio affetto da un incurabile problema cardiaco, lui rifila un pugno sul petto al bambino dicendogli: “Cazzate, non sei più malato di me”. I genitori rimangono costernati. Corrono a far esaminare il figlio in ospedale, temendo che l’illuminato col saio gli abbia rotto una costola. Non fanno in tempo a lamentarsi col vescovo che il cardiologo, sbigottito, gli annuncia che il figlio “non ha più niente”».
• Per confessarsi con Padre Pio bisognava prendere appuntamento e mettersi in lista d’attesa. Una volta una vecchia prostituta, per sicurezza, prenotò due confessioni, un giorno dopo l’altro. Quando il frate se la ritrovò in confessionale per il secondo giorno consecutivo, la apostrofò così: «Sei già venuta ieri, che cosa vuoi ancora?» «Da ieri, avrei potuto peccare di nuovo…» «Non essere vanitosa. Con la faccia che ti ritrovi, non sarebbe così facile peccare! Fila via!».
• Quando, nel 2008, per il quarantesimo anniversario della sua morte, Padre Pio fu riesumato, il suo corpo era intatto: nessuna traccia di decomposizione, putrefazione o attacco da parte di parassiti; addirittura, se veniva punto sanguinava. «Secondo l’opinione generale, Padre Pio, dopo quarant’anni di bara, ha un colorito fresco ed emana un odore piacevole, con una predominanza floreale mista a una nota speziata. Sebbene sembri in pace, non si ha davvero l’impressione che “riposi”: come se avesse il volto concentrato. Sembra in apnea».
• Un giorno, interrogato dal giornalista Giovanni Gigliozzi circa il motivo della presenza del male nel mondo, Padre Pio rispose così: «Immaginiamo una madre intenta a ricamare. Il suo bambino, seduto su uno sgabello basso, la guarda lavorare, ma da sotto, alla rovescia. Vede i nodi del ricamo, il groviglio di fili… E dice: “Mamma, il tuo ricamo è tutto ingarbugliato”. Allora sua madre abbassa il tessuto e gli mostra il lato giusto del ricamo. Ogni colore è al suo posto, e la varietà di fili si fonde nell’armonia del disegno. Noi vediamo il rovescio del ricamo. Siamo seduti sul piccolo sgabello…».
• L’indicatore golanera (indicator indicator, detto anche «indicatore del miele») è un piccolo volatile nero tipico dell’Africa subsahariana e del Sud-est asiatico, particolarmente ghiotto di cera (che riesce a digerire grazie a un batterio presente nel suo stomaco) e delle larve delle api. Non potendo però andare a saccheggiare gli alveari da solo (la minima puntura gli è fatale), è abituato a servirsi dell’uomo. Una volta individuato un alveare selvatico nella foresta o nella steppa, si fionda su un possibile socio e comincia a prodursi in «giri della morte, grida lancinanti, contorsioni che ricordano la danza del ventre. Quando poi riesce a catturare la sua attenzione gli fa letteralmente segno di seguirlo, svolazzando verso una direzione precisa, tornando a prenderlo, mostrandogli il cammino e becchettandolo quando esita», fino a condurlo all’alveare. Allora, mentre l’uomo allontana le api col fumo per impadronirsi del miele, l’indicatore si avventa vorace sulle larve all’interno degli alveoli.
• Gli uomini però non hanno sempre voglia di miele, né di darsi troppa fatica ad arrampicarsi se l’alveare individuato dall’indicatore è posizionato su un ramo alto. «Allora, talvolta, l’uccello perde la pazienza. Quando il suo cacciatore di miele gli nega più di un bottino di fila, e se non ne trova qualcun altro più accessibile nei paraggi, lo porta da un coccodrillo o da una leonessa affamata. E poi, due giorni dopo, torna a papparsi le larve in quel che resta del cadavere».
• I pigmei Baka, grandi cacciatori di miele del Camerun, venerano l’uccello indicatore: secondo loro, il suo è il comportamento normale di un dio vivente, che di tanto in tanto reclama un sacrificio umano.