Rocco Moliterni, La Stampa 10/10/2015, 10 ottobre 2015
MA C’È SEMPRE PIÙ GENTE CHE LO FA IN CASA
Nel mondo contadino il pane era il cibo per eccellenza, basti pensare alle quantità che se ne consumavano solo 50 anni fa rispetto ad oggi. Fare il pane in casa in quel mondo era una necessità, le madri si alzavano all’alba per portarlo al forno del paese e quelle grandi pagnotte rotonde duravano un’intera settimana. In città le forme del pane erano più minute e cambiavano da luogo a luogo. Così a Torino c’era la biova e a Milano la michetta, a Ferrara la coppia e a Roma la rosetta. Più di recente l’avvento nella grande distribuzione d’Oltralpe ha fatto scoppiare il boom della baguette, che purtroppo non ha mai in Italia il sapore e la levità di quella che mangi a Parigi. Ma a scomparire è stato soprattutto il profumo del pane, che un tempo ti guidava sia di giorno che di notte verso il fornaio più vicino.
Perché non si sente quasi più quel profumo per strada? Da un lato perché c’è sempre più gente che il pane se lo fa in casa (il robot che sforna pagnotte è un regalo quasi d’obbligo a Natale) dall’altro perché, ora scopriamo, anche il pane non si fa (o meglio non si fa più tutto) in Italia. Si usano impasti semilavorati che arrivano da chissà dove. Un po’ come il prosciutto crudo, che si «marchia» in Italia con i maiali allevati in Romania. E mentre si sogna il pane di Altamura o quello di Castelvetrano, si finisce per mangiare «cose» impastate all’estero. La salvezza? Andare in cerca dei fornai che ti fanno vedere volentieri il ciclo di lavorazione. Oppure accettare il fatto che non di solo pane vive l’uomo.
Rocco Moliterni, La Stampa 10/10/2015