Alessandro Plateroti, Il Sole 24 Ore 10/10/2015, 10 ottobre 2015
UN SIMBOLO SUL MERCATO
La privatizzazione di Poste Italiane è giunta al via. Dell’operazione sono ormai ben noti al pubblico i dettagli, le caratteristiche e gli obiettivi. Ma vista la sua portata “storica”, il prezzo delle azioni e l’incasso per lo Stato potrebbero persino essere considerati come fattori marginali. La privatizzazione – o meglio questa privatizzazione – vale infatti più del denaro generato almeno sotto due profili.
Il primo aspetto che rende la privatizzazione delle Poste unica e diversa da altre del passato – a cominciare da quelle di Eni ed Enel a fine anni 90 – è infatti di carattere “politico”, sia per l’Italia che per l’estero. Da anni si discute infatti dell’opportunità di aprire ai privati il capitale delle Poste, un’azienda pubblica che pur operando su un mercato postale pienamente liberalizzato ha sempre l’obbligo di garantire il servizio universale: pur perdendo quasi un miliardo di euro nel recapito di lettere, bollette e cartoline in ogni singola frazione del Paese, il gruppo Poste macina di profitti grazie alla raccolta del risparmio postale e soprattutto alla vendita di prodotti finanziari e assicurativi a basso rischio a milioni di famiglie da Siracusa a Bolzano. Nate ufficialmente nel maggio del 1862 come amministrazione centrale dello Stato per il servizio postale, Poste Italiane sono in realtà un grande gestore del risparmio delle famiglie dal 1875, quando furono istituite le Casse di risparmio postale, antesignane dell’attuale servizio Bancoposta. E anche se il primo libretto postale risale al 1876, è in realtà negli ultimi venti anni che si è concretizzato il vero riposizionamento strategico delle Poste nell’asset management. Con Corrado Passera prima, Massimo Sarmi poi e infine oggi con Francesco Caio, Poste italiane sono diventata una realtà finanziaria e di servizio bancario e assicurativo con masse gestite/amministrate pari a 469 miliardi di euro alla fine del giugno scorso, una cifra che le colloca ai vertici del settore. Ultimo ma non ultimo, il risparmio postale: attraverso la vendita negli uffici postali di bond garantiti dallo Stato, il Tesoro e la Cassa depositi e prestiti hanno nelle Poste italiane il loro canale strategico di finanziamento.
Dopo 153 anni e alla luce del ruolo che rivestono oggi per il risparmio italiano e i conti pubblici, insomma, le Poste vanno in Borsa con una storia e un futuro che le colloca tra le grandi blue chip del listino di Piazza Affari. Anzi, di più: a giudizio stesso degli investitori internazionali, il successo dell’operazione Poste avrà un valore enorme anche sotto il profilo psicologico, poiché si concretizza in una fase di grande incertezza e volatilità dei mercati finanziari e in un periodo in cui l’Italia sta finalmente evidenziando i primi concreti segnali di ripresa economica dopo anni di recessione.
Anche se in ritardo sull’Europa, insomma, le Poste Italiane sono pronte per un debutto che avrà un grande impatto anche sull’immagine del Paese. Nessuno crede davvero, all’estero o in Italia, che i 4 miliardi di euro che saranno incassati dal collocamento avranno un ruolo-chiave nel ridurre il peso di un debito nazionale che ha raggiunto i 2.200 miliardi, ma in realtà poco importa. Anche perché al successo dell’Ipo è legato il futuro di altri due tasselli importanti nella manovra di risanamento dei conti del Governo: la privatizzazione delle Ferrovie dello Stato e quella dell’Enav nel trasporto aereo.
Come le riforme strutturali, anche le grandi privatizzazioni rappresentano la migliore risposta ai dubbi dei mercati e dei nostri partner europei sulla reale capacità del Paese di modernizzarsi e di recuperare da solo competitività ed efficienza. Come i BTp, anche le azioni delle Poste rappresentano insomma una sorta di “proxy” per l’Italia e sull’Italia.
Alessandro Plateroti, Il Sole 24 Ore 10/10/2015