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 2015  ottobre 10 Sabato calendario

PERISCOPIO

Berlusconi apre al mondo la villa di Arcore. La riconosci subito perché gli scheletri negli armadi indossano la guêpière. Gianni Macheda.

Voci di dimissioni in Campidoglio. Chi sostituirà i Casamonica? Spinoza. Il Fatto.

Alzi la mano chi è disposto a farsi operare dal chirurgo Marino. Jena. La Stampa.

Berlusconi non lo vedo più, dici? Io non posso frequentare pregiudicati ma provo a telefonargli ogni tanto, chiamo ad Arcore e mi risponde sempre un cameriere che mi dice «Un attimo» e poi «Il presidente non c’è». Sai, ora ha i due marescialli Rossi e Pascale intorno. Certo che avrà un cellulare. Ma credo che la Pascale non gli faccia usare neanche quello. Lele Mora (Selvaggia Lucarelli). Il Fatto.

I conduttori di talk show televisivi fingono di non sapere che il loro mestiere non è più informare, ma organizzare combattimenti di galli dove la politica è ridotta a colluttazione fra partiti o all’interno di partiti. Curzio Maltese, ilvenerdì.

In fondo che noia dover fingere la cattiveria perché la bontà è alla moda. Indro Montanelli, I conti con me stesso - Diari 1957-1978. Rizzoli.

Era straordinario anche nei pochi errori di ortologia che commetteva. Diceva, il citrofono, la puntura lombarda, i trigliggè per i trigliceridi e la cernia per cernita. Ed era espressivo come nessun altro. Paolo Isotta, La virtù dell’elefante. Marsilio.

Sei secoli fa, le cose non andavano diversamente in Italia sul piano del trasformismo. Ludovico Antonio Muratori, nelle sue Antiquitates Italicae descriveva così l’Italia dei guelfi e dei ghibellini: «Qualora altre politiche ragioni, e la vista di maggior guadagno, o la paura di qualche danni perorava in loro cuore, i guelfi stessi si staccavano dai papi e i papi da’ guelfi. Nelle città libere le famiglie guelfe, se vi trovavano milior conto, passavano dalla parte ghibellina e scambievolmente la ghibellina alla guelfa». Fabrizio Rodolino, L’Italia non esiste. Mondadori. 2011.

In Italia ognuno è pronto a innalzare (non solo in senso metaforico) un filo spinato intorno al proprio orticello, mentre ciò che è pubblico è spesso oggetto di devastazione: per fare qualche esempio osservato nella mia città, si manomette o si trafuga il rubinetto delle fontane pubbliche, si sottraggono panchine (!), si gettano montagne di spazzatura ai bordi delle piste ciclabili perché «cosa di tutti = cosa di nessuno» e poi si intona la litania dei «politici che rubano», dell’amministrazione che non controlla e non sanziona. Michele Serra, il venerdì.

I politici in Italia possono dire, oltre che fare, più o meno di tutto. Non è un problema neppure se in parlamento definiscono «orango» una parlamentare afroitaliana, figurarsi se qualcuno si scandalizza per il resto. Curzio Maltese, ilvenerdì.

Andando a dormire, riattraverso Campo dei Fiori, a Roma. Greggi di giovani tedeschi ubriachi intorno al monumento. Come si riducono male le razze nordiche quando si lasciano andare. Si scambiano piccole droghe, e se le mettono in mano l’un l’altro, meccanicamente. Un gesto di cui il luogo deve essere rimasti impregnato. Era quello dei Confortatori dell’ Arciconfraternita di San Giovanni decollato, vestiti di nero. Mettevano sulla mani del condannato delle tavolette, figurine di santi o beati, e se lui non le voleva, gliele tenevano sotto gli occhi fino al palco dell’esecuzione capitale. Geminello Alvi, Ai padri perdòno. Mondadori. 2003.

Non c’è da deprimersi se non ho amici. Gli amici mi facevano comodo perché andare da solo in un ristorante mi dà fastidio. Però vivo a Roma. E a Roma sono così. Sudditi. Papalini. Gente che non si è mai ribellata a niente. Gli basta dire: «Son tutti ladri» e la questione si risolve lì. Sali su un taxi e inizia il concerto. Prima le buche e poi il grande classico: «Renzi è uno stronzo». Dico: «Ma lo conosce? A me sembra un bravo ragazzo». Non c’è niente da fare. L’unico vero re di Roma, il re che si rifiuta di abdicare è Totti. Ha 39 anni. È più giovane di Renzi. Se si candida a sindaco lo eleggono a occhi chiusi. Paolo Villaggio (Malcom Pagani). Il Fatto.

Appena cominciai a parlare (tardi, come tarda ebbi la pubertà, e sempre «ritardata» fu la mia vita da adulto, infatti ho cominciato a fare il mestiere che sognavo, il giornalista, a 75 anni) mi impose che lo chiamassi Nonno Stalin. Era alto, robusto, aveva mani sproporzionate, antifascista schedato («I non schedati sono tutti fascisti», diceva), una certa rassomiglianza con l’originale. Lui ne era orgoglioso, si pavoneggiava con tutti, anche con i fascisti, ripeteva fino alla noia che Stalin in russo significa «acciaio», e lui lavorava proprio all’altoforno 5, quello degli acciai speciali. Riccardo Ruggeri. Il Foglio.

Divorzia Luciana Turina. Disperato il marito che deve darle gli alimenti. Amurri e Verde, News. Mondadori, 1984.

Sono stata gelosa di Fellini, qualche volta, ma non in maniera esagerata, anche per merito suo. Fellini mi raccontava sempre le sue avventure. Come le dicevo, era un uomo molto curioso del prossimo e delle donne. Magari era attratto da una ragazza che passava per strada, la seguiva e poi vabbè, non c’è bisogno di dire altro. Federico descriveva tutto. L’allegria, la scoperta, l’eccitazione, la delusione. Parlare delle proprie debolezze significa mettere l’altro sul tuo stesso piano. Quando invece racconti bugie a chi ami, lo allontani da te e lo poni su un piano inferiore. Questo Fellini con me non l’ha mai fatto. Sandra Milo, attrice (Malcom Pagani). Il Fatto.

Dalla mia casa si vedeva, sotto alle Tofane, sul colle di Pocol, una torre alta, squadrata come un fortino. Io ero curiosa di quella costruzione strana, e un giorno mi ci portarono. La torre era il Sacrario ai Caduti in quelle valli, nella Grande Guerra. Sorgeva, fra cannoni e obici, dentro a un giardino silenzioso e curato, dove non incontrammo nessuno. Da vicino mi parve altissima, incombente. Dentro, il silenzio si faceva di morte, assoluto. In una luce livida, delle scale di marmo circolari salivano, e mi sembravano non finire mai. Statue di generali e eroi, gli occhi di pietra assenti. E sulle lapidi nomi, nomi: nomi all’infinito, Giovanni, Andrea, Pietro, migliaia di soldati morti a vent’anni. Di molti, nemmeno il nome: sepolti ignoti, come figli di nessuno. Marina Corradi. Avvenire.

Com’è difficile credere in Dio, e com’è difficile non credergli. Roberto Gervaso.

Paolo Siepi, ItaliaOggi 10/10/2015