Tino Oldani, ItaliaOggi 10/10/2015, 10 ottobre 2015
IL PIANO B PER L’USCITA DALL’EURO ORA È PRONTO, MA RISCHIA LO STESSO GIUDIZIO DI FANTOZZI SULLA CORAZZATA POTEMKIN
Il Piano B per l’uscita dall’euro ora c’è, nero su bianco. È firmato da 13 economisti, che lo hanno presentato alcuni giorni fa in un convegno a Roma. Le firme più note sono di Paolo Savona, Antonio Maria Rinaldi e Giuseppe Palma, ma quella di maggior peso è senza dubbio del professor Savona, che per primo, nel 2011, ha teorizzato la necessità di dotarsi di un Piano B per fare fronte all’ipotesi di un’uscita dell’Italia dalla moneta unica, che a suo avviso non funziona ed ha recato gravi danni all’economia italiana. Come i lettori di Italia Oggi sanno bene, Paolo Savona è una firma autorevole di questo giornale e delle altre testate del gruppo Class. L’ho sempre considerato un maestro di scienza e di onestà intellettuale, dotato di una capacità di analisi e di previsione dei fenomeni monetari come pochi altri al mondo. Doti che, negli anni Settanta, fecero di lui lo sparring partner preferito del governatore della Banca d’Italia, Guido Carli, che nel Servizio studi di via Nazionale ebbe il merito di allevare una nuova generazione di economisti di livello mondiale. Missione che Savona ha portato avanti nelle Università in cui ha insegnato.
Fatta questa premessa, debbo dire subito che il Piano B non mi ha affatto convinto. Anzi, dopo avere letto e riletto le 80 slides che lo descrivono sul sito scenarieconomici.it, dubito che Savona ci abbia personalmente messo mano. Un dubbio che si è rafforzato dopo la lettura del testo integrale del suo intervento al convegno romano, questo sì imperdibile, in cui afferma: «Non chiedo di uscire dall’euro, ma di essere preparati a farlo ove venisse compromesso il futuro del Paese». Più avanti: «Personalmente sono ancora convinto che la costruzione logica di un mercato comune europeo con moneta unica è valida nell’attuale contesto geopolitico, ma l’architettura istituzionale creata presenta troppi difetti perché possa reggere alla lunga». Da qui una serie di suggerimenti preziosi per fare dell’Europa uno Stato sovranazionale, con un’architettura istituzionale e monetaria interamente rivoluzionate.
Di contenuto assai diverso sono invece le slides del Piano B, che in buona sostanza propongono di tornare alla lira, con un cambio iniziale di uno a uno con l’euro, seguito però da un’immediata svalutazione del 15-25%, per ripristinare attraverso il cambio la perdita di competitività che l’Italia ha registrato rispetto alla Germania dal 2000 in poi. Non solo. Contestualmente, a dimostrazione di una recuperata sovranità monetaria, il Piano B raccomanda: «L’Italia dovrebbe verificare se attuare o meno, unitamente all’uscita dall’euro, anche un default. Tale decisione dipende dalla sostenibilità del debito, legata a diverse variabili. Se la sostenibilità fosse a rischio, attuare una moratoria sul servizio del debito pubblico fino a quando la riduzione del debito verrà negoziata con i creditori». Il tutto con l’obiettivo di ridurre il rapporto debito-pil al 60-80%, a patto che i creditori, tranne il Fmi, accettino di ridurre in proporzione la loro quota del debito italiano.
È evidente che un piano simile non sarebbe bene accolto dai mercati, che avrebbero buon gioco a sottoporre l’Italia allo stesso trattamento riservato alla Grecia. Per questo, il Piano B elenca con minuzia i rischi e le cautele da prendere. In primo luogo, la segretezza dei preparativi e dell’annuncio, descritte con tratti di faciloneria fantozziana. La regia del Piano B, segretezza in primis, dovrebbe infatti essere affidata a un Comitato ad hoc, composto dal presidente del consiglio e dai rappresentanti di tutte le istituzioni interessate (Banca d’Italia, più i ministeri dell’Economia, dell’Industria, del Lavoro, degli Esteri, la Consob, il Cnel (sì, il moribondo Cnel!), il Copasir ed eventualmente la Confindustria, la Confartigianato, i sindacati e l’Inps. È mai possibile che da un Comitato così numeroso non trapeli neppure uno spiffero in direzione dei media su un’operazione come l’uscita dall’euro, sul D-Day fissato per l’annuncio e su tutto il resto? Il dubbio sembra sfiorare anche gli estensori del Piano B, i quali tuttavia scrivono: «La riuscita del Piano è in funzione del livello di segretezza e riservatezza che si riesce a mantenere».
Seguono le istruzioni per l’annuncio del D-Day dell’uscita dall’euro, che deve essere un venerdì, a cui segue la chiusura delle banche (il lunedì successivo) per impedire la corsa agli sportelli e la fuga dei capitali. Bontà sua, il Piano B ammette che l’uscita dall’euro avrà un impatto negativo sul sistema bancario, che pertanto andrà messo in sicurezza, mentre ne avrà uno positivo sul settore privato, soprattutto sulle esportazioni, salvo un aumento dell’inflazione, tuttavia modesto, non più del 3%. Una previsioni ottimistica, come quella di un ritorno alla normalità entro tre-sei mesi, tempo necessario per sostituire monete e banconote in euro con quelle in lire.
Un piano simile, che prevede una svalutazione secca del 25% dei risparmi e del potere d’acquisto, oltre a ad altri rischi sistemici forieri di catastrofe, se fosse sottoposto a referendum popolare, penso che farebbe una brutta fine, perché la maggioranza, gente semplice e concreta, farebbe proprio il celebre giudizio che Fantozzi diede della corazzata Potemkin.
Tino Oldani, ItaliaOggi 10/10/2015