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 2015  ottobre 10 Sabato calendario

TUTTI CONTRO IL TPP

Neanche è stato firmato, dopo ben dieci anni di trattative, che già in America nessuno dei candidati alla presidenza sembra aver voglia di sostenere la Trans Pacific Partnership (Tpp), l’accordo sulla liberalizzazione del commercio con altri 11 Paesi dell’area Pacifico. È il più vasto accordo regionale mai raggiunto: riguarda economie che valgono 28 mila miliardi di dollari di pil annuo (il 40% di quello mondiale) e un terzo del commercio internazionale.
Inoltre è un precedente importante rispetto alla negoziazione in corso di un accordo analogo tra Usa-Ue, ossia il Ttip (Transatlantic Trade and Investment Partnership). Neppure Hillary Clinton è soddisfatta dei risultati: a suo avviso non è all’altezza delle sfide. L’affermazione secondo cui, ad esempio, i vantaggi per le compagnie farmaceutiche sarebbero maggiori rispetto a quelli per ammalati e i consumatori sembra celare preoccupazioni più profonde. Donald Trump, candidato alla nomination per i Repubblicani, se l’è cavata con una battuta: l’America ha bisogno di fair trade e non di free trade. Sono tre gli aspetti fondamentali della Tpp: la geopolitica e il «circondamento» della Cina, che non è stata parte delle trattative; gli assetti giuridici determinati dall’accordo e in particolare gli strumenti che le imprese potranno usare per tutelare i propri interessi; le prospettive di sviluppo per le imprese americane all’estero e per l’occupazione negli Usa.
La questione geopolitica può essere bene intesa solo dopo aver approfondito il contesto giuridico delineato dalla Tpp. Si tratta di un’evoluzione dello schema contenuto nel trattato del 1994 istitutivo della Nafta (North America Free Trade Area) tra Usa, Canada e Messico: pur lasciando a ciascuno Stato contraente libertà normativa, si consente alle imprese di tutelare direttamente il proprio interesse economico. Infatti l’impresa che si senta ingiustamente penalizzata da un provvedimento o da una legge di uno Stato può appellarsi alla costituzione di un collegio arbitrale per violazione del Trattato. Questo sistema estende la clausola arbitrale prevista nei trattati internazionali per la protezione degli investimenti. Con una grande differenza però: l’azienda che si senta lesa da un atto da uno Stato deve chiedere tutela al proprio Paese, il quale innescherà la controversia internazionale attraverso un arbitrato tra Stati. Nell’Ue la realizzazione di un mercato interno segue uno schema diverso: le libertà di circolazione di persone, capitali e merci, sancite dal Trattato, sono assistite da direttive volte a dare uniformità alle normative nazionali. Nella Ue si rimane soggetti alla legislazione nazionale, ma questa deve conformarsi alle direttive europee e al Trattato. Chi si ritenga danneggiato da parte di uno Stato ha infine il diritto di citarlo in giudizio di fronte alla Corte di Giustizia e non ad arbitri privati. La Tpp quindi crea un quadro nuovo, espropriando il Wto delle competenze sulla composizione delle controversie commerciali. Al di là di ogni altra valutazione geopolitica, è difficile pensare che la Cina possa aderire a questa impostazione.
Negli Usa poi non si discute della prevalenza della libertà commerciale sulla sovranità degli Stati: ci si interessa dell’occupazione e dell’impatto che l’accordo avrebbe sul re-shoring da parte delle imprese. Si teme che, riducendo il rischio che l’attività imprenditoriale nei Paesi aderenti possa essere ingiustamente condizionata da vincoli normativi o amministrativi, si crei un incentivo a delocalizzare dagli Usa. Brucia ancora il ricordo dei milioni di posti di lavoro persi per via delle imprese si sono installate in Messico per esportare negli Usa. La devastazione dei saldi commerciali americani determinata dall’ingresso della Cina nel Wto è ancora sotto gli occhi di tutti. La produzione va dove il salario è più basso e le pur apprezzabili disposizioni a tutela dei lavoratori contenute nella Tpp non sembrano un argine sufficiente. Tra i bei principi di libertà per le imprese e i brutti presentimenti per l’occupazione, prevalgono questi ultimi. La presidenza democratica di Bill Clinton fu artefice della Nafta nel 1994 e dell’ingresso della Cina nel Wto nel 2000. Anche per la presidenza democratica di Obama la firma della Tpp potrebbe non essere vera gloria.
Guido Salerno Aletta, MilanoFinanza 10/10/2015