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 2015  ottobre 09 Venerdì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - UN’ALTRA INTIFADA SEI MORTI


LASTAMPA.IT
Battaglia al confine fra Gaza e Israele. Una folla di palestinesi si è avvicinata alla rete di confine con lo Stato ebraico nei pressi del confine di Nahal Oz, tentando di sfondarla e sconfinare. I soldati israeliani hanno fatto fuoco e il bilancio, ancora parziale, è di 5 morti e diversi palestinesi feriti.
HANIYEH ALZA IL TIRO
Il tentativo di sfondare il confine facendo avanzare un gran numero di persone è senza precedenti ed è avvenuto in contemporanea con un discorso con cui il leader politico di Hamas nella Striscia, Ismail Haniyeh, ha definito “Intifada” l’attuale ondata di attacchi contro cittadini israeliani, aggiungendo: «Deve essere rafforzata ed intensificata, è l’unica strada che può portare alla liberazione della Palestina, Gaza è pronta a svolgere il proprio ruolo, a battersi per Gerusalemme e guidare questa battaglia».
LA POSIZIONE DI ABU MAZEN
Poche ore prima proprio i portavoce di Hamas avevano proclamato il “Giorno della Rabbia” nell’evidente tentativo di recitare un ruolo di primo piano nell’ondata di violenza che dura da tre settimane. Esprimendo una posizione in contrasto con quella del leader palestinese Abu Mazen che, per il secondo giorno di seguito, parla di «rivolta popolare pacifica» invitando «forze della sicurezza e giovani a non usare la forza contro gli occupanti israeliani».
GLI ATTACCHI CON I COLTELLI
Oggi sono avvenute altre tre aggressioni con coltelli: ad Afula da parte di una palestinese, Gerusalemme e Kyryat Arba, nei pressi di Hebron, causando nel complesso almeno 4 feriti israeliani. In mattinata era stato invece un israeliano ad accoltellare tre arabi nella città di Dimona, nel Sud, andando incontro alla dura condanna del premier Benjamin Netanyahu: «Chiunque viola le leggi dello Stato farà i conti con la giustizia».




REPUBBLICA.IT
GAZA - Sale la tensione in Israele, dove l’escalation delle violenze, iniziata da alcuni giorni, oggi ha coinvolto anche la Striscia di Gaza. Qui le forze israeliane hanno ucciso 5 palestinesi (tutti tra i 19 e i 20 anni, il quinto è un ragazzo di 15 anni) e ne hanno feriti 25, in risposta a lanci di pietre che un gruppo di persone ha effettuato lungo la barriera di separazione. Un uomo, sempre palestinese, è morto invece a Hebron. Si tratta delle prime vittime palestinesi da quando sono riprese le violenze all’inizio di ottobre.
Nuova Intifada. Accoltellamenti, attacchi e violenze che hanno spinto il leader del movimento islamico palestinese Hamas, Ismail Haniyeh, a parlare di ’nuova Intifada’ (dopo quelle del 1987 e del 2000) e a invocare ulteriori scontri: "Chiediamo il rafforzamento e l’aumento dell’intifada. È l’unica strada percorribile per giungere alla liberazione", ha detto, aggiungendo poi che "Gaza adempierà al suo compito nell’Intifada a Gerusalemme ed è pronta al confronto".
L’INTIFADA: LE PRIME DUE RIVOLTE
Un morto in Cisgiordania. Nelle stesse ore in cui si verificavano gli scontri a Gaza, un palestinese è stato ucciso in Cisgiordania. L’uomo aveva aggredito e accoltellato un agente della guardia di frontiera nella colonia di Kiryat Arba, nei pressi di Hebron, tentando di impossessarsi della sua pistola. L’agente è rimasto leggermente ferito.
Gerusalemme: palestinese pugnala passanti ebrei
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Ancora accoltellamenti. Intanto si allunga la lista dei feriti a causa degli accoltellamenti. L’ultima aggressione, riferiscono i media locali, è avvenuta ad Afula, dove una donna araba armata di coltello ha tentato di colpire una guardia di sicurezza, che ha reagito ferendola con un colpo di pistola.
Polizia israeliana fa fuoco su donna palestinese: ’’Aveva un coltello’’
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Attorno a mezzogiorno un quindicenne ultraortodosso è stato leggermente ferito a coltellate a Gerusalemme da un palestinese proveniente da Hebron. L’aggressore è stato immediatamente bloccato e arrestato dalle forze di sicurezza.
Questa mattina a Dimona è stato invece un ebreo a ferire quattro beduini a colpi di coltello. Si tratta di un 17enne noto alla polizia e affetto da problemi mentali. Il giovane ha detto di aver agito nella convinzione che tutti gli arabi siano terroristi e in ritorsione agli attacchi palestinesi dei giorni scorsi. Infine un quattordicenne israeliano è stato accoltellato, per fortuna in modo leggero, da parte di un palestinese nel centro di Gerusalemme. L’assalitore è stato arrestato.
La condanna di Netanyahu. Il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha fermamente condannato l’attacco a Dimona e ha assicurato che "le autorità perseguiranno chiunque compia violenza e violi la legge, a prescindere da quale parte la compia".
Assalti a troupe e giornalisti. La tensione è alle stelle: una troupe delle televisione commerciale israeliana Canale 2 è stata attaccata la scorsa notte dalla folla ad Afula, poco dopo l’accoltellamento di un soldato da parte di un palestinese. I passanti hanno aggredito il giornalista dalla emittente, Forat Nassar, che è arabo. Sabato scorso un giornalista sportivo ebreo è stato malmenato da tifosi arabi nello stadio di Sakhnin (Galilea) dove si disputava la partita fra la squadra locale e il Beitar Gerusalemme.

REPUBBLICA.IT
"Un’intifada per liberare Gerusalemme" con queste parole il leader del movimento islamista di Hamas a Gaza, Ismail Haniyeh, ha dato il sostegno del suo gruppo alla rivolta in corso in Cisgiordania, Gerusalemme e altre zone di Israele. Il termine arabo letteralmente significa "sussulto", "insurrezione". Due intifada hanno segnato il conflitto israelo-palestinese: l’intifada delle pietre, tra il 1987 e il 1993 e l’intifada di Al Aqsa, tra il 2000 e il 2005.

Intifada delle pietre è iniziata l’8 dicembre 1987: quattro palestinesi del campo profughi di Jabaliya, nella striscia di Gaza, muoiono investiti da un camion israeliano. Il giorno dopo, gli otto campi di rifugiati dell’enclave palestinese entrano in ebollizione. È l’inizio dell’intifada definita "delle pietre" che si propaga nei territori occupati e che durerà sei anni fino agli accordi di Oslo e alla stretta di mano tra Rabin e Arafat.

Nel 1987 la rivolta nasce spontaneamente nei Territori occupati. Il sollevamento coglie di sorpresa lo stesso direttivo dell’Olp che all’epoca aveva sede a Tunisi. Le strade delle città e dei villaggi, le stradine dei campi, le terrazze, i minareti delle moschee si trasformano in altrettanti campi di battaglia a cui prendono parte giovani dai 10 ai 25 anni.

In sei anni, 1.258 palestinesi vengono uccisi da militari o coloni israeliani, secondo un bilancio della France Press, sulla base di fonti palestinesi. Circa 150 i morti israeliani. Il 13 settembre 1993 vengono firmati a Washington gli accordi di Oslo sull’autonomia palestinese. Il 24 l’Olp ordina ai suoi attivisti di porre fine a tutte le operazioni militari contro l’esercito israeliano.

L’intifada di Al Aqsa si è combattuta tra il 2000 e il 2005, dopo il fallimento degli accordi di Camp David e il tentativo di Bill Clinton di arrivare a un accordo finale tra israeliani e palestinesi. Il 28 settembre 2000 l’ex generale israeliano Ariel Sharon, a capo del Likuk - in quel momento all’opposizione - si reca sulla Spianata delle Moschee a Gerusalemme, scatenando la protesta palestinese. Il giorno dopo, la polizia israeliana spara sui manifestanti, uccidendo sette palestinesi. Il 30 settembre, la morte ripresa dalle telecamere di Mohammad Al Durra, 12 anni, ucciso fra le braccia del padre, diventerà il simbolo "dell’Intifada di Al Aqsa", dal nome della principale moschea situata sulla spianata.

L’insurrezione è molto più sanguinosa della prima, con circa 4.700 morti in cinque anni, di cui più dell’80% palestinesi. La rivolta è segnata da sanguinosi attentati suicidi in Israele e da attacchi armati contro militari o coloni nei Territori. Più di 2.000 case palestinesi vengono abbattute dall’esercito. Il capo dell’Olp, Yasser Arafat, è confinato dal dicembre 2001 nella sede della Muqata a Ramallah: la lascerà solo nell’ottobre 2004 per la Francia dove morirà poco dopo.

Ariel Sharon, divenuto intanto primo

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ministro di Israele, lancia nel giugno 2002 la costruzione di una barriera di sicurezza in Cisgiordania e poi nel 2004 annuncia il ritiro unilaterale da Gaza, effettivo nel settembre 2005. L’8 febbraio 2005, Sharon e Abu Mazen, successore di Arafat, annunciano la fine delle violenze.

MOLINARI SULLA STAMPA DEL 6/10

maurizio molinari
inviato a RAMALLAH

Per conoscere l’Intifada 3.0 dal di dentro bisogna salire sul furgoncino di Mustafa Rmouz. L’appuntamento è a Qalandiya, il campo profughi alle porte di Ramallah, dove vive con moglie, 4 figli – di cui 3 femmine – e l’inseparabile «carta di identità blu». Si tratta del documento di identità israeliano per i palestinesi di Gerusalemme che gli consente di muoversi liberamente attraverso i posti di blocco, di lavorare trasportando ogni sorta di merce fra Stato ebraico e West Bank, e di essere un tassello di collegamento fra le diverse città palestinesi teatro di aspri scontri contro soldati e polizia.



«Questo furgoncino serve il popolo palestinese in tanti modi – racconta – a cominciare dal fatto che spesso lo uso per portare gli anziani dentro i territori palestinesi del 1948, a Jaffa, Lod e Akko per fargli vedere la loro terra, guardare il mare, le loro case da cui vennero cacciati nel 1948 dove oggi si sono gli israeliani». Quarant’anni, con alle spalle due arresti – nel 1992 e 2004 – Mustafa ricorda la Prima Intifada e ha partecipato alla Seconda Intifada, ma assicura che «questa rivolta è qualcosa di molto diverso». Lo racconta guidando lungo le strade che, attraverso più posti di blocco, lo portano da Ramallah a Beiyt Jalla, vicino a Betlemme dove è stato ucciso il 12enne Abed al-Rahman Shadi Obeidallah.







«Gesti individuali»

«Si tratta di un’Intifada diversa perché non è guidata da leader, partiti o movimenti – dice – perché Abu Mazen non ha un esercito, Hamas è lontana dalla gente comune e i nomi dei leader che vanno sui giornali sono delegittimati, nessuno gli crede più». Si tratta dunque «di una rivolta che nasce da gesti individuali». Attacchi con il coltello, le molotov, i sassi o i petardi incendiari avvengono «da parte di giovani che non vogliono l’occupazione» e attaccano «in maniera disorganizzata, quindi imprevedibile e più difficile da neutralizzare per gli israeliani». I protagonisti appartengono a una nuova generazione di palestinesi.



Rmouz esita a chiamarli «militanti» o «attivisti» perché gli rimprovera di essere «politicamente impreparati» e anche «deboli sulla simbologia nazionalista» perché «anziché kefyah a scacchi bianconeri e colori palestinesi» vestono con «jeans rotti alle ginocchia e magliette dai colori accesi» senza contare «il gel nei capelli» e lo stile di vita «assai occidentale». Sono i «ragazzi cresciuti nel benessere di Ramallah» come anche «nei campi profughi di Hebron e Jenin» che seguono percorsi diversi e si ritrovano sulle strade dell’Intifada 3.0 perché accomunati da «due battaglie».



Le «ragioni di lotta»

La prima e più importante, assicura Rmouz che a Qalandiya presiede il «Comitato eventi e reclutamento» del campo profughi abitato da 25 mila anime, è «la volontà di impedire agli israeliani di impossessarsi di Al Aqsa». La moschea sull’«Haram el-Sharif» della Città Vecchia, terzo luogo sacro dell’Islam «che gli ebrei hanno iniziato ad aggredire nel 1967» con la Guerra dei Sei Giorni, e «ora vogliono occupare del tutto sfruttando la debolezza del mondo arabo lacerato dalle guerre». Al Aqsa è un richiamo islamico, religioso, per militanti che usano Facebook per ritrovarsi e colpire gli israeliani «facendo attenzione a usare pagine collettive perché quelle singole sono una trappola, la polizia ti scopre facilmente».



Poi c’è la «seconda ragione di lotta» e ha a che vedere con «gli arabi di Gerusalemme» che l’autista-staffetta descrive «isolati, assediati, bisognosi di essere soccorsi e salvati» perché «l’occupazione israeliana li stritola» e a dimostrarlo è il fatto che «quando gli scontri diventano duri, solo in pochi di loro si battono davvero contro i soldati».