Federico Scoppio, GQ 10/2015, 9 ottobre 2015
RIPARATE QUEL CESSO
[John Lydon]
Per conoscere davvero John Lydon bisogna lasciar da parte la verità storica e immergersi nella giungla delle leggende. Le sole certezze sono che: il prossimo gennaio compirà 60 anni, e da 40 è nel mondo della musica; in questo periodo, e per la seconda volta, ha raccolto le tracce della sua esistenza in circa 500 pagine, Anger is an Energy: My Life Uncensored (letteralmente, La rabbia è un’energia: la mia vita senza censura); arriva in Italia il 10 e 11 ottobre (a Venezia e Milano), per due concerti con i Public Image Ltd, meglio noti come PiL, e presenta il decimo album della band, What the World Needs Now..., che è appena stato pubblicato. Ah, senza di lui non ci sarebbero mai stati Anarchy in the U.K. e God Save the Queen dei Sex Pistols.
Poi, appunto, la storia sconfina nella leggenda: irrequieto, tra Benwell e Holloway Road, diventa adolescente in fretta negli anni Sessanta a causa di una terribile meningite spinale che a sette anni gli fa perdere la memoria. E un po’ anche perché frequenta quella che il suo manager per anni, John Stevens “Rambo”, ricorda come una delle comitive di teppisti più crudeli dei primi anni Settanta a Londra, i Johns. Di cui faceva parte anche l’amico d’infanzia John Simon Ritchie, che presto sarebbe diventato Sid Vicious. La radice proletaria e la passione sfegatata per l’Arsenal facevano da collante alla banda.
Nel 1975 Malcolm McLaren, eccentrico personaggio allora fidanzatissimo con la stilista Vivienne Westwood con cui gestiva il negozio al 430 di Kings Road che inizialmente si chiamava Let it Rock e poi cambiò nome in SEX, quando lo vide arrivare con una T-shirt stracciata con su scritto a penna “I Hate Pink Floyd”, lo volle come leader di quella che sarebbe stata la band più rivoluzionaria del punk: i Sex Pistols.
E fu proprio lì che incontrò per la prima volta Jah Wobble: scartato dai Sex Pistols perché pare fosse troppo teppista, qualche anno più tardi avrebbe formato con lui i PiL (salvo poi uscirne in seguito). Tutti sanno, però, che al posto di Wobble arrivò proprio il più maledetto di tutti, l’altro amico di Johnny, Sid Vicious, ribattezzato così da Lydon a causa di un “viscido” criceto che si divertiva a portare sempre con sé.
Johnny “Rotten” Lydon mostra un carattere molto particolare, per usare un eufemismo. Vicino a lui scomparirebbe chiunque: voce potente, costantemente fuori dal coro, sopra e sotto le righe.
In Double Trouble, primo singolo del nuovo disco, canti della riparazione di un water. Che è il nostro mondo. Ti fa tutto così schifo?
«Sembra uno scherzo, ma non c’è alcun umorismo nell’idea che la riparazione di un water possa avere a che fare con il voler migliorare il mondo, l’ho capito una volta insieme a mia moglie. È una presa di coscienza importante: pensa alla politica che sta guidando il mondo. Quel mondo per i politici è un water, basterebbe ripararlo, invece di insudiciarlo ancora di più. Quando componevo quella canzone, pensavo a tutti i problemi del mondo, alle guerre e al fatto che, dopotutto, ci meritiamo un water migliore».
Hanno detto che questo disco sembra mostrare la tua intenzione di riprenderti la corona di un genere che hai inventato tu. È così?
«Qualcuno dice che copio altre band e resto interdetto perché, scusami, non sono io a essere quasi completamente responsabile della creazione del punk? Qualcun altro dice che sono il re del punk e poi non mi lascia il diritto di usare e spaziare nel mio stesso repertorio. È la gelosia a creare queste assurdità».
Ti consideri ancora oggi un punk?
«Possiedo questo titolo e non credo possa togliermelo nessuno: il punk è il mio stile, il mio modo di vivere, di vestirmi, di cantare. È il mio modo di stare al mondo da quando ero piccolo e non credo a quelli che lo diventano a tavolino. Ci devi stare dentro, al punk, lo devi vivere. Io ho accumulato tutta la mia aggressività, la mia rabbia, il mio odio per rendere la mia vita punk. Se ti svegli un giorno e dici di voler essere punk, non fai altro che ubbidire a delle regole, niente di diverso da un campo militare dove tutti si vestono e si muovono allo stesso modo e allo stesso ritmo. Il punk è l’opposto di questo: è libertà, ribellione, un’attitudine naturale. Non è violenza. Il mio eroe politico è Gandhi, che non ha mai avuto a che fare con la politica, con la religione, con le istituzioni, talmente era al di sopra di ogni cosa terrena. Ognuna di esse è impura perché corrompe e può essere corrotta da un momento all’altro. Il mio miglior consiglio è non abbassare mai la voce e continuare a far casino finché i rumori non smettono».
Stai dicendo che i PiL, nati a fine anni Settanta per combattere l’omologazione sociale, tengono la politica fuori dalla loro musica?
«Cerchiamo di esplorare il vasto e complicato ambito delle emozioni umane. Prima il benessere interiore e poi quello esteriore».
Cosa ne pensi della principessa Kate Middleton?
«Sembrano davvero una coppia dolcissima. Credo che William possa fare proprio del gran sesso con lei. Purtroppo, nel tempo, le cose non sono cambiate all’interno della famiglia reale e non invidio assolutamente Kate perché è costretta a recitare un ruolo, a indossare ogni istante una maschera. È un sistema nel quale lei e il marito sono ingabbiati, una prigione che li intrappola e che alla lunga li può asfissiare. Provo pietà per lei, per la persona. Io ho sempre detestato l’istituzione che essi rappresentano, ma non ho mai, mai, mai detestato gli esseri umani che la incarnano. Loro sono vittime, io sono John e tutte le vittime hanno il mio amore».
Passi gran parte del tuo tempo a Los Angeles, però torni spesso a Londra, dove c’è un’altra persona con un carattere ribelle come il tuo, José Mourinho. Che allena il Chelsea.
«Ne ho sentito parlare perché abbiamo lo stesso sarto, forse allora non siamo poi così diversi. Ma io sono un tifoso dell’Arsenal e non sostituirei mai il nostro Arsène Wenger con lui. Mio padre mi ha fatto conoscere il calcio e mi ha insegnato ad amare l’Arsenal nel bene e nel male, come dice anche la Bibbia: non desiderare la donna d’altri. È uno sport straordinario e, come vedi, ha anche una morale».
Nel libro racconti la tua dipendenza dalle droghe, dalla cocaina all’eroina. Come hai fatto a uscirne?
«È stato un passaggio naturale, rovinavano il mio rapporto con il palcoscenico e con il pubblico che veniva ai concerti, così ho deciso di lasciar stare».
Ma non sei mai riuscito ad aiutare il tuo amico Sid Vicious?
«Era impossibile. Era un fottuto pazzo che viveva con una mamma tossicodipendente e che aveva una compagna che si faceva più di lui. Era fragile almeno quanto buffo».
Odi ancora oggi i Pink Floyd come quando eri giovane?
«Non li ho mai, mai odiati. Era solo una diceria che si raccontava in giro. Li ho sempre ammirati, come ammiro tutto il bello della musica, persino gli Earth Wind & Fire, che detesto musicalmente, ma di cui capisco e rispetto il valore».
Ti piace, invece, l’Italia?
«Amo Milano, la capitale della moda. Ho un solo problema: le taglie sono troppo piccole da voi e i vestiti posso soltanto guardarli. Faccio un appello all’Italia: fate taglie più larghe per favore».