Fabio Pavesi, Il Sole 24 Ore 9/10/2015, 9 ottobre 2015
PER DEUTSCHE BANK RESTA LA MINA DEI TITOLI TOSSICI –
Non è la prima volta negli ultimi anni che Deutsche Bank lancia un profit warning. E non è la prima volta che il colosso tedesco deve spesare oneri miliardari per contenzioni e quindi sanzioni addebitatele dalle Autorità o per svalutazioni di poste contabili. L’annuncio della maxi-perdita da oltre 6 miliardi nel terzo trimestre è rilevante per l’entità della cifra, ma non in sè. Dall’avvio della crisi finanziaria il gigante del credito è andato progressivamente decelerando nei suoi fondamentali di bilancio e vive da tempo come sospesa nell’incertezza che qualcosa possa sempre accadere. La Borsa tratta infatti Deutsche Bank con estrema prudenza. Quasi che si aspettasse sempre qualche brutta sorpresa dai bilanci. Negli ultimi tre anni il titolo ha lasciato sul terreno il 17% quando l’indice bancario europeo è invece salito del 28% e il Dax del 37%. A 5 anni la profonda crisi del titolo in Borsa è ancora più evidente: il gigante del credito ha perso il 35% del suo valore mentre la Borsa di Francoforte saliva del 59%. Oggi di fatto Deutsche capitalizza sul listino poco più della metà del suo patrimonio netto. Un segnale inequivocabile della sostanziale sfiducia sul titolo. Del resto Deutsche Bank, così come molte altre banche d’affari, è passata più volte attraverso scandali di ogni tipo e conseguenti danni da pagare. La manipolazione del Libor, insieme ad altre investment bank, è solo l’ultimo degli episodi. Ma più che le cause legali pesa su Deutsche il forte rallentamento della profittabilità. A fronte di ricavi, come documenta la banca dati di Capital Iq, saliti di 4 miliardi dal 2010 al 2014, l’utile netto è andato a frenare vigorosamente: dal 2011, dal picco di oltre 4 miliardi i profitti netti si sono più che dimezzati a fine 2014 con il biennio 2012-2013 che ha portato in cassa meno di un miliardo complessivo di utili. Banca quindi in affanno, mai in perdita almeno finora, ma comunque fortemente ridimensionata nella sua capacità reddituale. Ma il grande tema annoso per Deutsche e che il mercato ha continuato a segnalare è quello del capitale e della forte leva finanziaria. Deutsche usciva dalla crisi Lehman con parametri fuori controllo. Capitale basso con una leva, cioè il rapporto tra attivo di bilancio e patrimonio, che superava le 50 volte nel 2009. Occorreva dimagrire, ridurre le dimensioni del bilancio fatto per buona parte da derivati e contemporanemente aumentare la dotazione patrimoniale. Un’operazione che non poteva essere fatta in un colpo solo. Troppo destabilizzante. È stata fatta in buona parte nel corso degli anni: ora il patrimonio è salito, a colpi di più di un aumento di capitale, da poco sopra i 50 miliardi a 70 miliardi e l’attivo totale è sceso da oltre 2mila miliardi post-crisi a 1.700 miliardi. Con una leva fortemente ridimensionata. Ma come si è visto in questi giorni le pulizie del bilancio da avviamenti eccessivi possono arrecare sorprese inaspettate con perdite non preventivate. Il tema della solidità di Deutsche pur con la cura dimagrante e il rafforzamento patrimoniale sembra non voler abbandonare definitivamente il campo dei sospetti. Quel che lascia più perplessi molti osservatori è quel forziere di titoli tossici cioè illiquidi che continuano a parcheggiare nei conti della banca: ancora oggi vengono valutati dalla stessa banca in 31miliardi, poco meno della metà dell’intero capitale. Un fardello che è stato limato ben poco. E che resta un vulnus possibile per il futuro.