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 2015  ottobre 09 Venerdì calendario

PORTATO IN CAMPIDOGLIO DAL VENTO ANTICASTA SEPOLTO DAL RICEVUTA-GATE

La leggenda del sindaco pedalatore si nutrirà negli anni di foto risapute. Lo scatto volitivo ed ecocompatibile in bicicletta, con caschetto a norma e scorta boccheggiante.
Lo zainetto ginnasiale, accessorio spensierato di un uomo rimasto ragazzo. La sobria Panda di un sobrio amministratore parcheggiata al Senato, accidenti, sebbene il proprietario non fosse più senatore, oppure in andirivieni nella zona a traffico limitato, ma col permesso scaduto. Si nutrirà di folgorante aneddotica domestica: lui che cerca vanamente un documento nella giacca, «accidenti, mia moglie mi cuce le tasche sennò ci metto troppa roba e le sfondo»; e ancora lui, contestato e quasi linciato a Tor Sapienza invasa da immigrati, che riceve il cronista a casa mentre legge nel supplemento del New York Times di un convegno alla Columbia sul climate exchange. La leggenda di Ignazio Marino assumerà i toni comici e ripetitivi dello sketch, Roma paralizzata dal nubifragio, metropolitane allagate, ingorghi epici, e lui è a Milano; Roma che si blocca una notte di Capodanno e nei giorni successivi per le malattie e gli scioperi lampo dei vigili, e lui è a Boston; Roma che allibisce e si autoflagella davanti al mondo per il carnevalesco funerale del capo dei Casamonica, e lui è in America per lo snorkeling.
In poco più di due anni il borgomastro ha esibito - anche per il gusto necrofilo di noi giornalisti - la più clamorosa casistica dell’autolesionismo per cui ci si troverà a cena (a spese proprie) per ricordare comunicati stampa in cui si dettagliava delle telefonate con Bill Di Blasio, sindaco di New York, degli incontri con Anne Hidalgo, sindaco di Parigi, della chiacchierata con Barack Obama che, in visita a Roma, non aveva trovato dieci minuti per il Campidoglio, così gli toccò di ricevere Marino in fascia tricolore alla scaletta dell’aereo. Resteranno minuzie preziosissime come il comizio in cui il sindaco ricordò di avere fatto il Sessantotto, sebbene nel Sessantotto avesse 13 anni, o enormità inaudite come il ceffone del papa che in aereo dice di non aver mai invitato Marino a Philadelphia, «chiaro?». Si riepilogheranno i retroscena, l’insofferenza clericale per uno che scorda o trascura o sottovaluta di essere a Roma e vi istituisce un registro per le unioni civili delle coppie omosessuali, e poi va in corteo al Gay Pride, sempre in fascia tricolore, fra manifestanti seminudi o vestiti da babbuini o ricoperti di piume e glitter. Si descriverà l’esordio con la ridicolizzata (semi)chiusura dei Fori, ma scommettete che non saranno riaperti? Si farà il verso al grido di battaglia, «abbiamo sconfitto i fascisti, sconfiggeremo anche i mafiosi», lanciato da Marino nella speranza di riproporsi come onesto, qualità ora non più indiscussa, che gli permise di risalire nei sondaggi, e suo malgrado, davanti a mafia capitale.
Il pericolo è che, con tutto questo materiale da commedia, si perpetui la leggenda e si tralasci il paradosso. E cioè che Ignazio Marino fu scelto dalla nomenclatura di Roma, e cioè da Goffredo Bettini, e cioè dall’uomo di Francesco Rutelli e di Walter Veltroni, e fu scelto dalla nomenclatura contro la nomenclatura. Era l’«Argan della scienza», per definizione proprio di Bettini che ricordava Carlo Giulio Argan, lo storico dell’arte arrivato al Campidoglio contro la Dc nel 1976. Era l’«irregolare» che «ridarà libertà e leggerezza alla città». Sono parole pronunciate nel maggio del 2013, il Partito democratico, atterrito dal pareggio alle elezioni politiche con i cinque stelle, così semplici e retti da rendicontare i caffè online, cercava di inseguirli e di imitarli, Pierluigi Bersani si lasciava canzonare in diretta streaming e intanto faceva eleggere Piero Grasso alla presidenza del Senato e Laura Boldrini a quella della Camera. Si era in piena ubriacatura da società civile, da incompetenza al potere in cambio di purezza, da autocritica pubblica dei partiti che dichiaravano sé inadeguati al mondo. Ed è lì che arriva Marino. È quella la grande idea dell’apparato: prenderne uno contro l’apparato per salvare l’apparato. Il medico americano, il dilettante della politica, l’estraneo alla casta, l’amabile impacciato che sul palco dice «daje» e sorride di sé, l’antieroe che racconta d’essere sempre stato attratto dalle droghe ma di averle evitate per viltà. È perfetto, vince le primarie contro David Sassoli e Paolo Gentiloni, diventa sindaco con il 64%. I grillini sono respinti. E però a volte il tempo non è galantuomo, è proprio un gran figlio di. Per battere gli Onesti che facevano politica esibendo scontrini e ricevute, hanno messo un Onesto che su scontrini e ricevute ci ha lasciato il collo.
Mattia Feltri, La Stampa 9/10/2015