Mariangela Pira, MilanoFinanza 9/10/2015, 9 ottobre 2015
FOOD, GIRO DI VITE DI PECHINO
Cambiano le regole per il settore alimentare in Cina. È appena entrata in vigore una nuova normativa di sicurezza, più rigida di quelle precedenti. I cittadini cinesi sono rimasti scottati dagli scandali alimentari che si sono susseguiti in questi ultimi anni, e ora sono più scrupolosi negli acquisti, soprattutto di prodotti alimentari destinati all’infanzia. Basta entrare in qualsiasi catena di supermercati cinese per rendersi conto di come «imported food» sia diventato sinonimo di alimento sano e sicuro e i cinesi più abbienti, grazie all’aumentata capacità di spesa, possono permettersi di acquistare beni di importazione. «L’Italia a fine 2012 esportava prodotti alimentari in Cina per 323 milioni di dollari, valore in costante crescita fino all’anno scorso», spiega Giovanni Pisacane, managing partner dello studio legale Gwa, «per contro solo l’anno scorso gli esportatori italiani hanno totalizzato 160 notifiche di irregolarità ai sensi della normativa alimentare». In sostanza, il mercato cinese è controllato più rigidamente. Pechino infatti, in linea con le preoccupazioni dei cittadini cinesi sulla sicurezza alimentare, ha reso più severa la normativa in materia. Non è un caso infatti che la legge sia definita «la più severa della storia». «Controlli pervasivi e riguardano diverse amministrazioni statali», continua Pisacane da Shanghai, «e sono state inasprite le sanzioni pecuniarie e le conseguenze amministrative di un’eventuale condanna penale». In certi casi per esempio, se condannati, è prevista l’interdizione perpetua dalle attività di produzione e commercio dei alimenti. C’è poi una serie di misure altrettanto rigide, dall’ispezione iniziale dei prodotti importati alle registrazioni in loco riguardanti gli stessi prodotti. «Come già avveniva nel 2009», precisa Pisacane, «l’importatore risponde in proprio delle eventuali irregolarità. Oggi deve anche stabilire un sistema di verifica dei prodotti». Un altro esempio che fa capire la rigidità della nuova legge riguarda i prodotti biologici. In mancanza di un accordo bilaterale tra Italia e Cina sul riconoscimento reciproco delle rispettive certificazioni, i soggetti italiani che intendano esportare tali prodotti nel Paese devono ottenere la certificazione cinese. Infine, va sottolineato che la legge per la prima volta regola anche il commercio elettronico. «Come noto, un soggetto straniero può investire in piattaforme di commercio in rete con una partecipazione maggiore del 49% o costituendo società a totale partecipazione estera», spiega Pisacane, «anche per questo il gestore della piattaforma di e-commerce d’ora in poi si vedrà attribuire rilevanti responsabilità». Difficile valutare con esattezza gli effetti di questa riforma, ma una cosa è certa, gli esportatori italiani dovranno essere rispettosi delle nuove norme. «Il mio consiglio», conclude l’avvocato dello studio Gwa, «è appoggiarsi a importatori cinesi scrupolosi, esperti e provvisti delle necessarie autorizzazioni».
Mariangela Pira, MilanoFinanza 9/10/2015