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 2015  ottobre 09 Venerdì calendario

Gli altri articoli di oggi su Marino (9/10/2015) ARRIVA IL COMMISSARIO, ELEZIONI A MAGGIO – La gestione dell’emergenza verrebbe affidata a un team con due vice

Gli altri articoli di oggi su Marino (9/10/2015) ARRIVA IL COMMISSARIO, ELEZIONI A MAGGIO – La gestione dell’emergenza verrebbe affidata a un team con due vice. In pole per la guida c’è Riccardo Carpino. Il prefetto Gabrielli è preoccupato per la complessità della macchina amministrativa fino al voto di maggio 2016. IL RETROSCENA ROMA In queste ore la «preoccupazione» di Franco Gabrielli non è tanto per il Giubileo ma per la gestione ordinaria di una città al «collasso» che ogni giorno mette a dura prova la vita dei romani e dei turisti. Il prefetto ieri ha seguito da Palazzo Valentini l’evolversi della crisi politica. Ha riunito i suoi collaboratori e a loro ha consegnato un po’ di riflessioni. Che suonano così: «Se il Comune dovesse essere commissariato sarà un problema mandare avanti una macchina amministrativa molto complessa, fatta da 14 municipi, 15 dipartimenti e 15 società, tra cui una acefala come l’Atac. Non esistono superman ma la situazione è straordinaria». E durerà fino a maggio 2016, prima finestra elettorale disponibile. L’ordinario, appunto, è il problema. E il Giubileo viene dopo, anche se mancano meno di due mesi, cinquantanove giorni. Qualora le dimissioni di Marino fossero confermate, mandare avanti i lavori e le gare sarà un problema anche perché i dirigenti in Comune da tempo non firmano più un atto, o almeno ci pensano mille volte. LO SCENARIO Non sarà Gabrielli a fare il commissario del Comune di Roma. Ma sarà lui a nominarlo: circola la “candidatura” di Riccardo Carpino, che traghettò l’amministrazione provinciale nel 2013, «un ottimo nome», è considerato in Prefettura. Il commissario prefettizio durerà 90 giorni poi dovrà essere nominato dal Viminale in quanto straordinario: molto probabilmente sarà una ratifica della prima scelta. Ci saranno inoltre almeno due sub commissari. Dovranno sopperire a tutti gli organi politici saltati: dalla giunta comunale al consiglio, passando per le commissioni in Comune. Per non parlare delle assemblee e degli esecutivi dei municipi, dove saranno nominati altri commissari. LA TELEFONATA Ieri Gabrielli ha parlato di questo con Marino. Un colloquio istituzionale per capire i punti di caduta delle dimissioni. Cosa può succedere. Lo scenario. La tenuta di una macchina amministrativa «già di per sé molto delicata e farraginosa». In un primo momento ieri è circolato anche un piano B: il Governo nomina un altro prefetto di Roma che a sua volta nomina come commissario del Campidoglio Gabrielli. Uno scenario subito smentito. In quanto in questa fase l’ex capo della Protezione civile dovrà coordinare «tutto» compreso il Comune e non potrebbe essere un sottoposto. E inoltre nominarlo commissario del Campidoglio sarebbe visto dall’opposizione come una mossa per tirargli la volata della candidatura in vista delle elezioni: «Un’ipotesi - ha ricordato anche ieri Gabrielli a chi glielo chiedeva - che non sta né in cielo né in terra». «Da uomo di Stato qual è - spiega un suo collaboratore - Franco fra venti giorni, salvo sorprese, inizierà a capire cosa fare e come muoversi». Senza ingerenze politiche. Ma, come ha ricordato anche ieri, rispetto «il volere della democrazia» in tutte le sue forme più o meno machiavelliche. L’ANNO SANTO Sul tappeto rimangono i temi aperti: il 15 ottobre ci sarà l’assemblea di Atac, una municipalizzata che non funziona e che è senza vertici. La prima preoccupazione del prefetto, che si proietta anche verso il Giubileo. Anche perché ci sono due priorità: far partire tutte le 13 gare d’appalto e gestire i nuovi fondi sbloccati dal Comune. A partire dai trasporti. Simone Canettieri, Il Messaggero *** LA GIORNATA PIÙ LUNGA DI MARINO: “DO LE DIMISSIONI MA POSSO PURE RITIRARLE” – ROMA. Alla fine Ignazio Marino si è dimesso, eppure lui non è affatto convinto che davvero sia tutto finito: «Presento le mie dimissioni, ma per legge possono essere ritirate entro 20 giorni…». E dunque anche nel momento in cui firma la lettera che tutto il Pd, da Renzi in giù, gli ha chiesto bruscamente di scrivere entro poche ore, il sindaco di Roma si lascia aperta un’ultima porticina per rientrare in campo, annunciando non il ritiro dalla politica ma «la ricerca di una verifica seria », per capire nel giro di tre settimane «se è ancora possibile ricostruire le condizioni politiche” per restare al suo posto. Non è esattamente quello che si aspettavano là fuori, ma Marino vuol fare fino in fondo “l’extraterrestre”, ignorando le leggi della politica e il galateo dei partiti aggrappandosi all’ultima, disperata speranza che i cittadini si schierino con lui. «Care romane e cari romani» scrive il sindaco alle sette di sera, quando il vicesindaco (dimissionario) Marco Causi e l’assessore alla Legalità Alfonso Sabella escono dalla sua stanza per comunicargli ufficialmente che il Pd- tutto il Pd- lo invita alle dimissioni immediate. Cosa scrive, Marino, in quella che dovrebbe essere – ma non vuole esserlo – la sua lettera d’addio al Campidoglio, e che lui stesso trasformerà su Facebook in un videomessaggio? Innanzitutto nega che dietro la sua scelta ci sia il pasticciaccio brutto delle note spese: «Nessuno pensi o dica che lo faccio come segnale di debolezza o addirittura di ammissione di colpa per questa squallida e manipolata polemica sulle spese di rappresentanza e i relativi scontrini». Non c’entrano nulla, sostiene il primo cittadino, quelle cene di rappresentanza, pagate con la carta di credito del Comune, con ospiti che hanno negato di aver mai pranzato con lui. Lascio, spiega, perché è «arrivata al suo culmine» una «aggressione» che mira a «sovvertire il voto dei romani», per impedirgli di portare a termine la sua battaglia. Io ho vinto la mia sfida, dice, «il sistema corruttivo è stato scoperchiato, i tentacoli oggi sono stati tagliati, le grandi riforme avviate, il bilancio non è più in rosso…», ma tutto questo «ha suscitato una furiosa reazione», che «oggi arriva al suo culmine». È per questo, e per nessun altro motivo, che Marino firma le sue dimissioni: per «verificare» se è ancora possibile «compiere questo percorso» fino al 2018. E vuole che i romani capiscano che c’è il rischio che – andandosene lui – «tornino a governare le logiche del passato, quelle della speculazione, degli illeciti interessi privati, del consociativismo e del meccanismo corruttivo- mafioso che purtroppo ha toccato anche parti del Pd». Altro che Game Over. Marino si prepara a giocare un’altra partita, che nel suo schema dovrebbe vedere i romani onesti schierarsi al suo fianco contro i partiti e contro tutti gli altri protagonisti di questo scontro, dalla banda di Carminati alla squadra di Renzi. Una partita che il Pd non vede affatto, sul suo calendario, e a scanso di equivoci emette subito un comunicato in cui si affida «al commissario» che dovrà gestire il Comune. Ma cosa succederà nei prossimi 20 giorni, nessuno oggi può dirlo con certezza. Il suo giorno più lungo, il sindaco l’ha cominciato nella maniera peggiore. Prima ha ricevuto la gelida telefonata del commissario del Pd romano, Matteo Orfini: «Ignazio, puoi fare solo una cosa: dimetterti». Poi ha preparato a casa sua un piano di difesa con l’assessore che è sempre stata al suo fianco nella buona e nella cattiva sorte, Alessandra Cattoi. E alle 11, quando è entrato nel suo ufficio all’ultimo piano del Palazzo Senatorio, senza neanche avvicinarsi al balcone con vista sul Foro, ha voluto incontrare tutti i personaggi del presepe Campidoglio. I consiglieri comunali di maggioranza, i presidenti dei municipi e ovviamente gli assessori. A tutti, uno per uno ha posto la stessa domanda: volete andare avanti con me o volete fermarvi qui, rischiando di riconsegnare Roma a chi l’ha rovinata? Con i suoi assessori, naturalmente, è stato ancora più esplicito: chi non se la sente di andare avanti me lo dica. Ed è stato allora che sono arrivate le prime dimissioni, pesantissime: il vicesindaco Marco Causi e l’assessore ai Trasporti, Stefano Esposito (che in realtà aveva già le idee chiarissime sul destino di Marino: «A un condannato a morte si lascia almeno la scelta della modalità…» aveva detto salendo le scale). Intanto sul Campidoglio erano arrivati tutti gli oppositori, guidati dall’ex missina Roberta Angelilli (oggi Ncd) che intonava un coretto canzonatorio: «Marino pagate er vino/ Marino pagate er vino». Alle 14 l’inventario della piazza era il seguente: 6 bandiere di Fratelli d’Italia, 12 della Lista Marchini, 4 di CasaPound, 6 di Forza Italia, una di Italia Unica, due striscioni dei grillini. Più quattro fogli fotocopiati che recitavano “Marino resisti”, sbandierati da un’agguerritissima ventina di cittadini senza tessera che citava persino il «rating di Fitch da outlook negativo a stabile» per sostenere il sindaco «contro i poteri forti che vogliono mandarlo via». Attorno a loro, il viavai di consiglieri e assessori tra il Campidoglio e il Nazareno, con il sindaco che tirava da una parte e il partito dall’altra. Alle sette di sera, l’epilogo, con Causi e Sabella che portano a Marino la decisione finale del Pd: dimissioni. Sebastiano Messina, la Repubblica 9/10/2015 *** “HO PROVATO A SALVARLO, MA LUI FA TROPPI ERRORI” – [Intervista di Matteo Orfini] – ROMA. Alle ore ventidue risponde Matteo Orfini. Nel giorno peggiore del Pd romano. Marino è un capitolo chiuso? «Sì. Lo dice chi più di tutti ha cercato di rilanciare l’azione dell’amministrazione». Si è preso venti giorni per decidere. «Anche alla luce di quanto emerso in questi giorni, il capitolo è chiuso. Avevamo il dovere di voltare pagina». Quindi se ci ripensa lo sfiducerete? «Oggi ho riunito assessori e consiglieri, già lavoriamo al futuro. Neanche prendo in considerazione altre ipotesi. Tra venti giorni ci sarà il commissario. Il suo è solo un mero riferimento normativo». Lei l’ha difeso. La considera la più grossa sciocchezza o la più grossa sconfitta della sua vita politica? «Nessuna delle due. Prima di interrompere un’esperienza votata dagli elettori, si doveva tentare di tutto. Ma di fronte agli errori commessi – emersi anche in queste ore – non si poteva più andare avanti». Gli scontrini. Deluso umanamente? «Vale il giudizio politico, quello umano resta nell’ambito dei rapporti personali». Ma cos’è per lei Marino: un pasticcione, un bugiardo per gli scontrini, una vittima del sistema? «Sugli scontrini le valutazioni le farà la magistratura. Credo che il suo errore è tutto in quello slogan elettorale: “Non è politica, è Roma”. Questo è mancato, un progetto di città. È mancata la politica». Intanto del Pd restano macerie. «Dice? È sbagliato. Il Pd ha fatto il possibile, ora risolverà rapidamente i problemi della città. In tempo per il Giubileo. Roma si trova nella stessa situazione di Milano prima dell’Expo: replicheremo quel miracolo. Di questo si parlerà tra sei mesi». Ottimista. Alle elezioni non rischiate? «A chi sosteneva che il Pd teme le elezioni dico: siamo qui e vi aspettiamo. Non abbiamo timori. Cambieremo i sondaggi. E il giorno dopo il voto la destra e i grillini commenteranno la loro sconfitta». Quindi nessuna autocritica da parte sua e del Pd? Suona un po’ surreale. «Perché? Dovevamo tentare. Abbiamo tentato. Renzi lo chiese a noi e a Marino». La testa del sindaco l’ha chiesta Renzi? «Nessuno ha voluto la sua testa. È finita perché si è rotto il rapporto con la città». Nelle ultime ore ha litigato con il premier a causa di Marino, lo ammetta. «Assolutamente no. Sono commissario su suo mandato. Abbiamo condiviso a pieno ogni passaggio. Potrà testimoniarlo». Lei ha avvisato Marino. L’ha presa male? «È stato difficile per tutti. Ma la scelta era politica. E come tale è stata vissuta». Mica tanto, Orfini. Il sindaco si è barricato per ore nel suo studio. «Alla fine si è dimesso». Qualcuno dice: il Pd ha scaricato il nemico dei poteri forti. Cosa replica? «Che verso certo poteri forti il Pd si è sempre battuto e continuerà a farlo». E ora i nomi dei candidati: si parla di Giachetti e Gentiloni. Sarà uno di loro? «Tutto dobbiamo fare adesso, ma non la rosa dei nomi. Pensiamo al Giubileo». Almeno il profilo: donna, giovane, società civile? «Non siamo a “Indovina chi”». Potrebbe candidarsi lei. «Chi come me svolge un ruolo tanto delicato come quello di commissario, con ampi poteri, non può farlo. È l’abc della politica. L’ipotesi non esiste e mai esisterà». Ora può dirlo: Marino è stato un errore. «È stata una scelta dei cittadini, da rispettare. Lui ha fatto scelte coraggiose, ma se è finita così qualcosa ovviamente non avrà funzionato». Le primarie? Tanto da ridiscuterle? «A volte corregge errori dei dirigenti, a volte no. Si valuterà, caso per caso». Tommaso Ciriaco, la Repubblica 9/10/2015 *** “ORA TOCCA AL M5S IO NON SONO IN CORSA” – [Intervista ad Alessandro Di Battista] – ROMA. Alessandro Di Battista si aggira per i corridoi di Montecitorio con la faccia grave e la camminata leggera dei giorni di festa. Ha passato la mattina al Campidoglio, il deputato del Movimento 5 Stelle. Ha chiesto a gran voce, come fa da mesi: «Marino dimettiti!». Qualcuno lo saluta con un beffardo: «Ciao, sindaco». Lui sbuffa: «Avete idea di quante volte mi abbiano fatto questa domanda oggi? ». Poi, quasi confida: «Non è mai stata una mia aspirazione». Lei è il volto più rappresentativo dei 5 stelle a Roma. Secondo i sondaggi, se corresse potrebbe arrivare al ballottaggio. Forse vincere. Si candida? «No. Sul piano nazionale il Movimento sta crescendo grazie alle proposte che porta avanti, come quella sul reddito di cittadinanza. A Roma dobbiamo fare lo stesso: riuscire a emergere con il nostro programma, le nostre proposte. Non è importante il chi, ma il cosa ». Ha davanti un’occasione imperdibile e si tira indietro? «Mi creda, non ho mai avuto queste ambizioni, né penso che sia giusto lasciare il ruolo di parlamentare. È serio che io concluda il mio mandato». E se Grillo e Casaleggio glielo chiedessero? O se lo facessero gli iscritti attraverso la rete, con più forza di quanto non sia accaduto finora? «Non ci sarà mai una richiesta di questo tipo. Noi non siamo uguali ai politici del Pd, che usano le istituzioni come fossero autobus, che lasciano una poltrona per accomodarsi su un’altra». Lei – insieme a Roberto Fico – è l’esponente del direttorio che ha la responsabilità dei meet up. A questo punto, come sarà scelto il vostro candidato sindaco? «Già da diverse settimane siamo a lavoro per terminare la scrittura del programma e per mettere a punto la road map che porterà a strutturare una squadra di governo. La scelta sarà condivisa e, come sempre, in mano agli iscritti». Da settimane? Vi aspettavate le dimissioni? «Ci siamo messi al lavoro quand’è arrivata la seconda ondata di mafia capitale. I nostri hanno chiesto l’accesso agli atti, volevano le ricevute, ma gli uffici rimandavano. Così abbiamo chiamato i carabinieri: ci hanno consegnato il faldone e dopo poco Marino ha messo tutto online. Secondo me, facendosi il segno della croce». Il vostro capogruppo in comune Marcello De Vito potrebbe fare come Max Bugani a Bologna, candidarsi a sindaco con una lista di prescelti? «Non c’è ancora nessun nome. Nessuno. Ci stiamo concentrando sul programma, fino all’ultimo abbiamo lavorato affinché Marino cadesse. Da domani il Pd farà partire l’operazione: “Marino chi?”. Cercheranno di smarcarsi dal suo operato, diranno che non l’hanno mai voluto, ma la verità è che se non avessimo tirato fuori gli scandali lo starebbero ancora difendendo. Questa è la bancarotta del Pd romano, ed essendo coinvolto in mafia capitale, direi che si tratta di bancarotta fraudolenta». Eppure insistete a non scegliere un nome forte da candidare. Vi diranno che volete perdere. «Ma noi cercheremo una persona e una squadra assolutamente di valore. Solo, crediamo che Roma possa diventare una città normale, che possa puntare sulle buone idee. I salvatori della patria li ho visti quando ha vinto il centrodestra, indagati per corruzione. E quando ha vinto il centrosinistra, che ha messo in ridicolo la città di Roma a poche settimane dal Giubileo. Il nostro sarà un governo dei cittadini». Siete cresciuti in fretta, avete una classe dirigente nuova e inesperta. Siete in grado di governare un posto difficile come Roma? «Questa è la sfida più grande. Siamo coscienti che il destino dei 5 stelle è quello di ereditare città, regioni, un Paese in macerie. Ma siamo convinti di poterci prendere questa responsabilità. Chiediamo di essere messi alla prova». Annalisa Cuzzocrea, la Repubblica 9/10/2015 *** IGNAZIO IMPASSIBILE NELL’ULTIMO VIDEO CONFERMA LA FAVOLA DEL SINDACO MARZIANO – Sottomarino, all’inizio, poi Ignaro Marino e infine Disgrazio Marino. Ma la fine in verità è rinviata, o meglio sembra prolungata, fatto sta che ieri sera il sindaco di Roma si è dimesso, ma il video con cui TeleMarino ha annunciato questa decisione dice di meno, dice di più e soprattutto dice altro. «Care romane e cari romani». Lo sguardo almeno nell’esordio appare un po’ smarrito, poi recupera sicurezza e anche la voce acquista ritmo. Video lungo per gli standard spettacolari di questo tempo, quasi cinque minuti. Inquadratura ferma e linguaggio sorvegliato. In questi casi i potenti, specie quelli meno adusi al mezzo televisivo, usano l’aggettivo «istituzionale », che di solito funziona come alibi alla noia. Il sindaco è seduto, giacca e cravatta a pallini, ma non si vede la scrivania. Tiene in mano dei fogli, guarda in camera e legge. Speso aggrotta le sopracciglia, del resto non gli mancano ragioni per mostrarsi corrucciato. L’ambientazione è povera nella sua essenzialità. Alle spalle di Marino s’intravedono due bandiere, qualche mano ha fatto in modo che sul drappo capitolino sia riconoscibile lo stemma Spqr. C’è poi una tenda grigiastra, con disegni non sai bene se astratti o rupestri. Chi si aspettava la sorpresa, la meraviglia, l’imprevedibilità di un personaggio che, non avendo più nulla da perdere avrebbe fatto «il matto», come alcuni speravano e altrettanti temevano, è rimasto comunque deluso. Se è consentita un’interpretazione arbitraria, nell’ormai corrente mediatizzazione del messaggio Marino ha cercato soprattutto di recuperare l’indispensabile freddezza del chirurgo, che dopo tutto è il suo mestiere. Per cui tutto voleva trasmettere, ieri sera, meno che le sue emozioni; e c’è riuscito egregiamente. E’ plausibile che questa sua apparente imperturbabilità, sostenuta da un’espressione lievemente attonita e da un tono monocorde, sia un dono di natura. A pensarci bene, è proprio questa la principale caratteristica del personaggio, ciò che lo fa diverso dai politici agitati e perfino isterici che tra improperi e piacionerie, lacrimoni e strillacci animano il teatrone dell’odierna politica. Marino invece dice e talvolta fa cose abbastanza pazzesche con un’aria del tutto controllata e naturale. Nè pare colpito dalle reazioni dei suoi interlocutori, come immerso in un mondo a tenuta stagna, attraversato da strenue convinzioni. E’ il fascino e al tempo stesso la dannazione del «marziano», come qui a Roma hanno preso a chiamarlo. Anche nel video di ieri, senza dubbio, è rimasto fedele a questa sua maschera d’arcana impassibilità; e infatti non parlava come uno sconfitto, sconfessato da Papa Francesco, malvisto fin dall’inizio da Renzi, mollato da Orfini, rincorso da collezionisti di scontrini e pretesi commensali. Ma esattamente conforme all’imitazione di Crozza, Marino si è offerto in visione come uno che sta ancora lì, magari senza più bicicletta e zainetto, e con sovrano distacco ha affrontato il passato e il presente della capitale non senza accennare al futuro che, grazie a lui, sarà migliore. Cosa abbia detto precisamente è già più difficile a dirsi. Nel mondo rutilante delle immagini, le parole degradano con qualche facilità nella chiacchiera; oppure nell’irrilevanza, per cui ha avuto la civetteria di pronunciare «lobbies», al plurale, così come colpivano certe immagini tipo «i tentacoli», l’uso del verbo «sovvertire» e la formula «spero e prego». Contro di lui, per quel poco che meritava nell’economia complessiva della prolusione, è stato messo in atto un «lavorio rumoroso», trasformatosi poi in una «aggressione». Ma la faccenda lo coinvolge fino a un certo punto. L’egocentrismo ha fatto capolino sui tre quarti: «Io ho impostato cambiamenti epocali », «io ho cambiato un sistema di governo», «il lavoro della mia giunta», «tutto il mio impegno », ma in questo francamente il sindaco appare in linea con i moduli autocentratissimi e verticali che vanno oggi. Anche sulle «grandi riforme» e specialmente sulla ripresa di Roma, che c’è, anzi già si vede, meno male, anzi evviva, naturalmente grazie al suo impegno, e a quello di tanti eccetera, Marino ha usato più di quanto lui stesso potesse immaginare le stesse parole che Renzi abitualmente mette in campo per l’Italia. A riprova di un contagio ottimistico che probabilmente, almeno nell’immediato, fa brodo. In parte il video ha fatto appello a quella parte di elettorato che per varie ragioni vive l’allontanamento di Marino con un sentimento di ingiustizia non privo di slanci cavallereschi; e comunque attribuisce le sue dimissioni alla diversità del sindaco rispetto ai malandrini del Pd e a quelli che comunque li hanno pacificamente tollerati. Sulla rete – per quello che vale nel discorso pubblico, ma senza implicazioni necessariamente elettorali – c’è un fiorire di «viva Marino », ieri coagulatosi in un tweet che auspica la sua resistenza all’interno del Campidoglio: «Te portamo coperte e cibo». Ci mancherebbe. In realtà, la parte più politica del video, lascia immaginare che il sindaco abbia aperto una specie di trattativa. Il replicato accenno alle «condizioni politiche» dice che almeno lui è disponibile non esattamente a una resa, ma a negoziare qualcosa che probabilmente riguarda i tempi. E buonanotte. Filippo Ceccarelli, la Repubblica 9/10/2015 *** PER I CANTIERI DEL GIUBILEO AGGIUDICATE SOLO 4 GARE SU 29 – ROMA La crisi capitolina deflagra quando il programma delle opere per il Giubileo cominciava a produrre i primi effetti concreti, dopo un avvio faticoso. Ad oggi, secondo l’assessorato ai Lavori pubblici, sono state bandite 8 gare per 7,5 milioni, sulle 29 in lista che valgono oltre 30 milioni. Di queste otto gare solo la metà, risultano, ad oggi, aggiudicate. Numeri che nei prossimi giorni cresceranno, come ha detto ieri mattina l’assessore alla Legalità, Alfonso Sabella intervenuto all’incontro della Coldiretti, in cui ha annunciato ieri lo sblocco, da parte dell’Autorità anticorruzione, del “pacchetto” dei Lungotevere: si tratta di 12 gare per 11,5 milioni. «Da lunedì si aprirà un cantiere dopo l’altro», ha detto. La quota di interventi di opere pubbliche rappresenta la quota più consistente del piano da 49,3 milioni per 42 interventi approvato ad agosto e ratificato dall’Assemblea comunale il mese dopo. In questo bilancio non rientrano i tre cantieri già aperti per la riqualificazione delle strade intorno alla stazione Termini (4,5 milioni a base d’asta), partiti prima perché i fondi erano stati individuati già a luglio scorso. Non c’è invece un monitoraggio sugli altri due “pacchetti” legati all’evento straordinario, cioè i nove interventi per la mobilità (12,23 milioni) e i cinque interventi per i servizi ambientali (per 6,8 milioni). In questi casi, infatti, non si passa per le gare ma per una gestione in house affidata, rispettivamente, ad Atac e Ama. L’uscita di scena del sindaco, vedrà cambiare anche i principali gestori politici della macchina Comunale. Prima di tutto il vicesindaco, Marco Causi, che aveva ormai spuntato un extra quota di 30 milioni al ministero dell’Economia per finanziare altri lavori in vista dell’evento religioso che si apre l’8 dicembre. Poi c’è l’assessore ai Trasporti, Stefano Esposito. Il terzo assessore chiave, che non si è dimesso, è Alfonso Sabella, che ha molto contribuito a fluidificare il dialogo tra il Comune e l’Autorità anticorruzione, sia sull’emergenza Giubileo che sulla gestione ordinaria. Infine, c’è il titolare dei Lavori pubblici, Maurizio Pucci, che stava gestendo la macchina capitolina degli appalti, ma con tempi che si sono rivelati più lunghi delle stime iniziali di agosto, con la prima approvazione del piano giubilare. Molto tempo è stato speso per le verifiche dell’Anac sulle “carte”. «L’interlocuzione con la macchina capitolina non è facile», si era sfogato Raffaele Cantone parlando giorni fa all’assemblea dei costruttori romani e respingendo le accuse di rallentare le procedure. Ma a parte i lavori del Giubileo, la crisi politica romana lascia interrotto il programma a medio e lungo termine per la Capitale che si stava abbozzando, proprio con il principale contributo degli assessori dimissionari Marco Causi e Salvatore Esposito. Quest’ultimo aveva abbozzato una lista di quasi 400 milioni per investire nel Tpl della Capitale. Incertezza totale sulle maxi gare pluriennali per 97 milioni in 12 lotti per la manutenzione stradale (messo a punto dalla giunta Marino). In stand by anche per il maxi bando del ponte dei Congressi all’Eur, un’opera da 145 milioni che sembrava matura per l’appalto. Ieri intanto l’assessore dimissionario ai Trasporti, Stefano Esposito, ha detto nel corso della trasmissione Piazza Pulita di aver scritto mercoledì scorso una lettera al presidente dell’Anac, Raffaele Cantone, con cui ha denunciato l’opacità di molti appalti aggiudicati dall’Atac negli ultimi cinque anni. «Ho provato in questi mesi - ha detto - a capire come fossero andati questi appalti, ma alla fine devo ammettere di non essere riuscito a capire. Per questo ho scritto a Cantone». Massimo Frontera, Il Sole 24 Ore 9/10/2015 ***