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 2015  ottobre 08 Giovedì calendario

TUTTI I PEZZI SU MARINO DI OGGI 8/10/2015


Ernesto Menicucci, Corriere della Sera 8/10/2015
Alla fine di una giornata lunghissima, durante la quale Ignazio Marino è arrivato (mai come questa volta) a un passo dalle dimissioni, dopo che dalla Procura filtra che l’ipotesi di reato per le «cene istituzionali» sarebbe il peculato (i magistrati acquisiranno tutti gli atti, ascolteranno testimonianze, verificheranno perché il plafond della carta di credito del sindaco è stato portato da 10 mila a 50 mila euro), dopo l’affondo dei Cinque Stelle (che, sia in conferenza stampa che sul blog di Beppe Grillo, chiedono «le dimissioni») e una serie di colloqui con Matteo Orfini del Pd che cerca di arginare lo scandalo, il sindaco spiazza tutti: «Basta polemiche, restituisco 20 mila euro spesi con la carta di credito, che da oggi non avrò più».
Un tentativo di salvarsi in extremis, per evitare l’accusa di peculato da parte dei magistrati, deciso quando ormai Marino era all’angolo, chiuso nel vicolo cieco nel quale si era infilato, a un passo dall’addio.
Quella di Marino, così, diventa al tempo stesso un’implicita ammissione (dall’iniziale «querelo tutti, se questa campagna continua» al «ridò i soldi») e un modo per «mettere a tacere le polemiche». Ma anche per evitare che quello delle «cene istituzionali» diventi un vaso di Pandora dal quale può saltar fuori di tutto. Perché Marino, in fondo, non spiega nulla. Non dice con chi era a cena e reagisce come fece in passato. Sia a Pittsburgh (gli contestarono 8 mila dollari di rimborsi e quando Marino si dimise gli trattennero alcune indennità di fine rapporto), sia per le multe della Panda rossa. Marino dice che restituirà «anche i 3.540 euro investiti nella cena col mecenate Usmanov» e dice di voler guardare avanti «all’anno giubilare che si chiude a novembre 2016». Sembra una deadline. Anche se, già ieri sera, pare che il sindaco sia stato sull’orlo di mollare, salvo essere «trattenuto» da un paio di assessori a lui vicini (Alessandra Cattoi e Alfonso Sabella). E che con Orfini si sia sfogato: «Mi avete lasciato solo. Se mi cacciate, ve ne pentirete». Vicenda chiusa? Non proprio. Dopo l’ennesima smentita di Sant’Egidio, ne arriva una nuova: l’Ambasciata del Vietnam nega la cena del 6 settembre 2013 con Marino. «Ci fu un incontro in Campidoglio e basta», dicono in ambasciata. E i casi «sospetti», così, salgono a sette.

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Giacomo Amadori, Libero 8/10/2015
L’idiosincrasia di Ignazio Marino per le note spese è una storia che va avanti da almeno tre lustri. In particolare il suo tallone d’Achille sembra essere l’indicazione degli «ospiti istituzionali» delle sue cene.
Note che cura personalmente a margine delle ricevute. In questi giorni prelati e ristoratori, però, lo stanno sbugiardando: i commensali del sindaco, in diverse occasioni, non sarebbero stati quelli elencati nelle chiose, ma amici o famigliari. Va detto, però, che i primi ad accusarlo per questo presunto «vizietto» erano stati i suoi vecchi datori di lavoro statunitensi in una lettera pubblicata dal Foglio nel 2009.
Il documento risale al 6 settembre del 2002, è firmato da Jeffrey A. Romoff, numero uno del Centro medico dell’Università di Pittsburgh (Upmc) e riguardava «i termini e le condizioni» a cui l’istituto si diceva pronto ad accettare le dimissioni di Marino dalla direzione dell’Istituto mediterraneo per i trapianti e le terapie ad alta specializzazione (Ismett) di Palermo. Il passaggio più attuale è quello in cui si fa riferimento ad alcune irregolarità amministrative nelle note spese, ammesse, come vedremo, dallo stesso Marino: «Alla data di oggi, riteniamo di aver scoperto una serie di richieste di rimborso spese deliberatamente e intenzionalmente doppia all’Upmc e alla filiale italiana» scriveva Romoff. «Fra le altre irregolarità, abbiamo scoperto dozzine di originali duplicati di ricevute con note scritte da Lei a mano. Sebbene le ricevute siano per gli stessi enti, i nomi degli ospiti scritti a mano sulle ricevute presentate a Pittsburgh non sono gli stessi di quelli presentati all’Upmc Italia». In pratica Marino sugli scontrini, consegnati in doppia copia, avrebbe indicato commensali diversi per la stessa cena, una versione per l’Italia e un’altra per gli Stati Uniti. Ma per Romoff il cuore del problema non era la mangiata a scrocco di qualche invitato: «Avendo sinora completato soltanto una revisione parziale dell’ultimo anno fiscale, l’Upmc ha scoperto circa 8 mila dollari in richieste doppie di rimborsi spese. Tutte le richieste di rimborso spese doppie, a parte le più recenti, sono state pagate sia dall’Upmc sia dalla filiale».
Nel 2009 molti giornali associarono la presunta «cresta» al «licenziamento» di Marino e lui citò cronisti e direttori in giudizio, vincendo la causa nel 2012. In effetti Marino non venne cacciato, ma si dimise. E dopo l’articolo del Foglio, sul proprio sito, motivò così la decisione: «Dal 2001 iniziarono forti interferenze nella gestione amministrativa. Oppressive e continue richieste di favoritismi rendevano via via più difficile, e poi impossibile, la conduzione del Centro secondo criteri di trasparenza e merito». Dunque non lasciò la direzione dell’istituto siculo-statunitense per quelle ricevute mal compilate. «Quanto alla vicenda dei doppi rimborsi quello che il Foglio non dice è che fui io stesso ad accorgermi di alcune imprecisioni e a comunicarle all’amministrazione» sottolineò l’allora senatore Pd. Noi non possiamo smentire la versione dell’errore umano, ma, viste le notizie di questi giorni, sembra proprio che Marino abbia da molti anni un serio problema con i nomi degli ospiti delle sue cene, siano esse pagate dai datori di lavoro o dai cittadini romani.