Anna Zafesova, La Stampa 8/10/2015, 8 ottobre 2015
RUSSIA, LA PRIMA GUERRA ALLA LUCE DEL SOLE
Vladimir Putin festeggia i suoi 63 anni non soltanto con i soliti auguri da politici, giornali e privati cittadini che fanno a gara a omaggiarlo, e con la tradizionale partita serale a hockey a Sochi, ma anche con fuochi d’artificio molto speciali. Il regalo di compleanno dei militari russi è stato l’utilizzo - per la prima volta in un teatro di guerra, sottolineano con orgoglio gli alti gradi del ministero della Difesa - dei missili lanciati contro la Siria dalle navi nel Mar Caspio. Un giorno memorabile. È la prima volta in quasi vent’anni che la Russia può fare la guerra liberamente, senza guardarsi le spalle. In Cecenia doveva nascondersi dietro l’eufemismo della «operazione antiterroristica», in Georgia negava metà di quello che faceva, in Crimea al posto dei soldati russi c’erano gli «omini verdi» e nel Donbass addirittura non c’era nessuno: Mosca ha sempre negato il suo coinvolgimento nel conflitto, ammettendo al massimo la presenza di qualche «volontario in congedo» e bollando i droni, i militari catturati, i carri armati e i razzi multipli come allucinazione degli ucraini e calunnia della Nato.
Ora il Cremlino prova l’enorme sollievo di fare finalmente una guerra a faccia scoperta, con strombazzanti annunci di raid completati con successo, vantandosi in pubblico delle nuove armi sfoderate e mostrando in tv le modernissime basi dei piloti russi a Latakia e i filmati delle bombe sganciate. I russi finalmente vivono il loro momento da americani, anche perché il nemico è lontano e comunque non produce sensi di colpa inevitabili quando si combatte contro gli ex fratelli sovietici che parlano la stessa lingua. Quella in Siria è una guerra esteticamente gradevole, con i caccia che solcano i cieli, moralmente non impegnativa, mediaticamente scenografica e tecnologicamente efficiente. Permette a Putin di collaudare e sfoggiare le sue armi nuove, in una vetrina pubblicitaria senza precedenti, dai missili ai caccia Sukhoi-30, e di mostrare di avere un armata temibile e moderna. Il presidente si è detto ieri molto soddisfatto del «buon lavoro del complesso militar-industriale», i critici che sostenevano che la Russia mandasse ai saloni internazionali sempre gli stessi prototipi sono stati per ora tacitati e a Mosca si spera in un shopping massiccio dopo le sfilate siriane.
Una «piccola guerra vittoriosa», auspicano le Izvestia, perfetta per far pubblicità alle armi russe e risollevare il morale del pubblico dopo l’abbandono, di fatto, dell’Ucraina. Mentre i media russi, come per incanto, si sono scordati di Kiev per concentrarsi su Damasco, la Siria potrebbe anche distrarre e assorbire i «volontari del Donbass», troppo irrequieti e arrabbiati per tornare in patria. La posizione della Mosca ufficiale resta quella di limitarsi a un’operazione aerea, ma il Pentagono ha già notato carri e artiglieria russi vicino a Latakia, e esponenti della Duma fanno capire che i «volontari» russi potranno arruolarsi con Assad. L’operazione di terra su larga scala però è un terreno dove Putin per ora non vuole spingersi, sia perché - come l’esperienza dell’Afghanistan insegna - l’opinione pubblica russa non manda giù facilmente le bare dei soldati che arrivano da Paesi troppo lontani ed esotici, sia perché in realtà (come si è visto anche in Ucraina), i reparti russi di fanteria e parà con un addestramento di livello sono troppo pochi, e la supremazia tecnologica (come si è visto in Cecenia e in Iraq) sul terreno non è più così evidente. Ci sono già stati casi di militari russi che si sono rifiutati di andare in Siria, e l’entusiasmo dei russi, nonostante la propaganda, per ora non sembra molto alto.