Letizia Gabaglio, Le Scienze 10/2015, 8 ottobre 2015
AUTOMOBILI VISIONARIE
Era il 1998 quando da Parma partiva un’automobile che, senza bisogno di essere guidata, percorreva mezza Italia: una Lancia Thema usata, modificata con due telecamere da citofono e un motorino sullo sterzo. L’automazione dello sterzo era guidata da un computer per allora potente, ma le cui prestazioni sono molto inferiori a un qualsiasi smartphone disponibile oggi.
A realizzare quel prototipo visionario un gruppo di ingegneri guidati da Alberto Broggi, allora ricercatore al Dipartimento di ingegneria dell’informazione dell’Università di Parma. Lo stesso gruppo che, dopo aver fondato lo spin-off VisLab e raffinato la sua tecnologia, a luglio scorso è stato capace di vendere la società a una grande azienda statunitense, Ambarella, per 30 milioni di dollari. «Siamo stati premiati per la ricerca che abbiamo sviluppato, ma anche per il nostro spirito d’intraprendenza, che ha caratterizzato tutte le fasi della nostra storia e che somiglia molto al modo di intendere l’innovazione nella Silicon Valley», spiega Broggi, oggi professore sempre nell’ateneo parmense.
L’occasione della DARPA Challenge
Nel 1990 lo studente Broggi era stato il primo laureato dell’Università di Parma in ingegneria elettronica, con una tesi sull’elaborazione di immagini grazie a processori di avanguardia. La ricerca era poi continuata durante gli anni di dottorato e lo aveva spinto, nei primi anni novanta, a installare quel sistema su un’automobile. «Insieme ad altri due ricercatori abbiamo cominciato a costruire il prototipo: in seguito nel 1998 abbiamo deciso che era venuto il tempo di metterci alla prova. Da qui nasce l’idea della piccola “mille miglia” in automatico», ricorda l’ingegnere. L’impresa arriva sui giornali, anche stranieri, e le aziende automobilistiche iniziano a contattare i ricercatori di Parma.
Nel 2001 Volskwagen li chiama per far partire un laboratorio di ricerca dedicato allo sviluppo di sistemi intelligenti basati sulla visione artificiale, e dopo qualche tempo si fanno vivi anche molti altri. «Ma abbiamo capito che i tempi erano maturi solo dopo le due competizioni DARPA Challenge a cui abbiamo partecipato, nel 2005 e nel 2007», va avanti Broggi. La Defense Advanced Research Projects Agency (DARPA), l’agenzia per la ricerca del Department of Defense statunitense, sa bene quanto valga la possibilità di automatizzare la guida di un veicolo e per questo organizza gare fra prototipi: nel 2005 si trattava di percorrere 210 chilometri nel deserto, nel 2007 di cavarsela nel traffico cittadino. «Sono le due sfide che hanno segnato la storia di questo campo di ricerca e sviluppo: è a partire dai risultati ottenuti in queste due occasioni che si è capito che era possibile realizzare un veicolo autonomo e sono cominciati ad arrivare i grandi investimenti», spiega Broggi.
Con un occhio al mercato internazionale, gli ingegneri di Parma decidono che è arrivato il momento di giocare la partita a un altro livello, e fondano uno spin-off. Così nel 2009 nasce VisLab, a cui partecipa anche l’ateneo. A quel punto i ricercatori si sbizzarriscono: nel 2010 danno vita a un’idea azzardata, percorrere i chilometri che separano Parma da Shanghai con una flotta di veicoli modificati in modo da non aver bisogno di esseri umani alla guida. Il convoglio, formato da quattro automobili, quattro camper e tre camion, ha percorso strade di tutti i tipi, in condizioni meteorologiche assai variabili, in ambienti sconosciuti agli stessi ingegneri che li avevano programmati. «Una sfida eccitante che ci ha permesso di acquisire informazioni preziose sulla nostra tecnologia e di migliorare l’efficienza dei sistemi: abbiamo registrato tutto, e per mesi, una volta tornati a casa, abbiamo usato quei dati per mettere a punto un sistema sempre più sofisticato», dice Broggi.
Ma per essere sicuri che quanto sviluppato sia effettivamente quello che serve, gli ingegneri sanno che le macchine vanno messe alla prova, ancora una volta. Così un venerdì mattina del 2013, per le strade di Parma, un’automobile senza conducente è riuscita a percorrere senza incidenti e senza intervento umano la distanza fra università e centro cittadino. È la dimostrazione ormai lampante che la tecnologia di VisLab funziona. «La peculiarità dei sistemi messi a punto dal nostro gruppo di ricerca è usare telecamere che acquisiscono informazioni da tutto ciò che sta intorno all’automobile, informazioni che poi sono elaborate dai nostri programmi in modo da capire l’ambiente circostante e sulla base di questo impartire ordini alla macchina», spiega Broggi. È un sistema economico, perché l’innovazione tecnologica fa sì che i dispositivi costino sempre meno, e che ha il vantaggio della miniaturizzazione: basti pensare alle telecamere inserite negli smartphone, potenti ma di dimensioni ridottissime.
Tecnologie a confronto
La tecnologia concorrente, quella che ha deciso di usare Google per la sua automobile senza guidatore, usa invece il laser: è capace di vedere a distanze molto grandi, è molto preciso, ma è anche una tecnologia costosa e ingombrante. Il dispositivo che «guarda» al posto del conducente che cosa succede per la strada è una specie di cupola piazzata sul tetto dell’auto. Il sistema di VisLab, invece, è praticamente invisibile, perché è innestato nella carrozzeria. La strada scelta dai ricercatori italiani ha convinto Ambarella, azienda specializzata nella compressione di immagini, a spendere 30 milioni di dollari per acquisire la tecnologia, accettando allo stesso tempo di lasciare il centro ricerche lì dove si trova.
«All’inizio ci hanno proposto di spostare tutto nella Silicon Valley, ma poi hanno capito che era stato questo tessuto sociale e culturale che aveva prodotto il nostro successo, e hanno accettato la nostra proposta di rimanere qui», spiega Broggi. «Per noi è un ulteriore successo: abbiamo restituito all’università quello che aveva investito, e continueremo a dare». Gli italiani metteranno quindi il loro programma nelle telecamere costruite dagli statunitensi, che per intenderci sono quelle delle action cam più famose al mondo, le GoPro. «Le prospettive che si aprono in questo campo sono numerose, non solo per i veicoli da strada. Penso che una delle applicazioni più interessanti sia in agricoltura: se rendessimo autonomo il lavoro dei campi potremmo aumentare la resa dei terreni in zone dove la resa è minima, aumentando così la quantità di cibo a disposizione», sottolinea l’ingegnere. E chissà che anche questa sfida non possa essere vinta.