Andrea Luchetta, La Gazzetta dello Sport 8/10/2015, 8 ottobre 2015
CALCIO, A TEHERAN IN 8 VOGLIONO CAMBIARE SESSO
Lo scià era fuggito da quattro anni, era il 1983, quando Maryam Khatoon Molkara - a prima vista un omone barbuto e ben piantato di 33 anni - si strappò il reggiseno nella residenza dell’ayatollah Khomeini, a Teheran, rivelando un petto che più femminile non si poteva. «Sono una donna! Sono una donna!», gridava, coperta di lividi e sangue per le «carezze» che le avevano riservato le guardie del leader supremo. Il trambusto fu tale che il figlio dell’ayatollah, commosso dalla storia di Maryam, la introdusse al cospetto di Khomeini. La donna uscì da quella casa stringendo la fatwa (il parere obbligatorio dell’ayatollah, quindi dal valore di legge) che la autorizzava a essere ciò che sentiva, il provvedimento che ha reso possibile in Iran – nella Repubblica islamica d’Iran - il cambio di sesso per via chirurgica.
Trentadue anni dopo, Teheran è seconda soltanto a Bangkok come capitale mondiale degli interventi transgender. Una condizione che ha dei riflessi inattesi in campo calcistico. La scorsa settimana, un funzionario ha denunciato la presenza di 8 uomini nella nazionale femminile. La Federcalcio, che ufficialmente tace, avrebbe ordinato di condurre una serie di esami per verificare il sesso delle giocatrici. Materia delicatissima, che rischia di alimentare una gogna mediatica simile a quella subita dall’atleta sudafricana Caster Semenya: le otto sospettate non sarebbero uomini decisi a barare, ma transgender che non hanno ancora portato a compimento il cambio di sesso. Tema due volte delicato, se consideriamo che l’operazione in Iran non sempre è questione di libero arbitrio: l’omosessualità è punita nelle migliore delle ipotesi a colpi di frusta, nella peggiore con l’impiccagione; mantenere una vita sessuale senza sottoporsi all’intervento implica rischi enormi, in un regime sessuofobo come pochi altri al mondo.
Talmente sessuofobo da vietare l’ingresso allo stadio alle donne, per impedire che possano vedere in pantaloncini un uomo diverso dal marito. E così cieco da aver favorito con le sue regole l’impasse attuale: le giocatrici iraniane sono costrette a indossare una divisa che lascia scoperto solo il volto, e rende così più difficile smascherare eventuali inganni. Non è la prima volta che sospetti simili toccano la nazionale: lo scorso anno si era parlato di quattro giocatrici-uomini, e le autorità avevano condotto dei test a sorpresa in tutto il campionato. Come nel 2010, primo caso conosciuto. Pochi giorni fa invece la capitana della nazionale di calcio a 5, Niloufar Ardalan, non ha potuto partecipare alla Coppa d’Asia perché suo marito le ha rifiutato il permesso di partire dopo un litigio. Le compagne, vincitrici anche senza di lei, le hanno subito dedicato il trionfo.