Claudio Costa, Gentleman 10/2015, 8 ottobre 2015
GLI ARCHIVI DELL’UMANIT
Dove sorgerà la futura biblioteca dedicata a Barack Obama? Da Chicago all’Illinois, passando per le Hawaii, una mezza dozzina di università si stanno contendendo l’onore di finanziare e costruire l’edificio che raccoglierà libri, documenti e memorabilia dedicati al prossimo ex presidente (e che si aggiungerà alle 22 Presidential Library già esistenti negli Usa). Qualcuno si chiede che senso abbia, nell’era digitale, costruire ancora biblioteche quando la scrittura sembra ormai destinata ad abbandonare la carta e trasferirsi in una nuvola di bit, per poi condensarsi nei pixel degli schermi di computer ed e-reader... La risposta è piuttosto semplice: malgrado la massa vertiginosa di testi ormai digitalizzati (Google Books intende raggiungere la cifra di 109 milioni, senza contare le altre decine di milioni messi online dalle biblioteche pubbliche di mezzo mondo), negli ultimi dieci anni si sono stampati più libri che nel decennio precedente. Come ammette con humour anche Russell Grandinetti, Senior Vice President Kindle Content, il libro tradizionale è un oggetto che continua ad avere parecchi vantaggi competitivi: «È portatile, facile da usare, difficile da rompere, ad altissima risoluzione. E ha una batteria dalla durata illimitata...».
Senza contare aspetti di costume spicciolo: il libro come dono (magari quale diversione psicofisica per giovani videodipendenti...) o come status symbol da esibire in un’elegante biblioteca domestica. Sino all’edonismo dei bibliofili che non vogliono rinunciare alla contemplazione di una bella copertina, al piacere tattile della carta, al profumo dell’inchiostro. Gente in bilico tra il rigore della tradizione e lo snobismo intellettuale, come il sociologo Anthony Greenhouse secondo il quale «leggere Shakespeare o Dante su un e-reader è come mangiare caviale direttamente dalla scatoletta».
Il dibattito sul futuro del libro, digitale o cartaceo, è piuttosto ozioso, visto che possono tranquillamente coesistere (con un’innegabile superiorità del digitale quanto a risparmio di tempo e denaro per qualsiasi studioso impegnato in ricerche che, solo vent’anni fa, avrebbero richiesto lunghi viaggi ed estenuanti immersioni nella polvere dei cataloghi). Ma le biblioteche sono molto più che server o scaffali. Antiche o moderne, sono prima di tutto tappe miliari dell’interminabile viaggio verso la conoscenza. Sono, in sintesi, archivi dell’umanità e delle civiltà nate con l’invenzione della scrittura.
Dalle biblioteche dei conventi medievali, che hanno conservato e trasmesso i testi della classicità, a quelle dei signori rinascimentali riservate a pochi eletti, sino a quelle pubbliche fra Otto e Novecento, ispirate alle idee di istruzione di massa e diffusione popolare della cultura, queste raccolte hanno rappresentato e rappresentano tuttora l’orgoglio (a volte la superbia) di dinastie, governi, nazioni. Per questo se ne continuano a costruire di nuove, affidate come in passato a grandi architetti capaci di interpretare al meglio lo spirito dei tempi e le ambizioni dei committenti.
Con tanta storia alle spalle, le biblioteche tendono inevitabilmente ad assumere l’immagine e la funzione di altrettanti musei. Comprese quelle modernissime come la Biblioteca nazionale cinese a Pechino: 20 milioni di libri in gran parte digitalizzati, ma anche rarissime iscrizioni oracolari su gusci di tartaruga e sutra buddisti del V secolo. I turisti che oggi visitano biblioteche come la Marciana a Venezia, quella dell’Escorial a Madrid o l’Abbazia di San Gallo, in Svizzera, lo fanno per ragioni puramente estetiche e non certo per consultarne i volumi (peraltro accessibili solo a specializzatissimi ricercatori).
Per questo, proprio come i musei, le biblioteche organizzano sempre più spesso mostre dedicate ai loro tesori. Così, le piccole pagine miniate di un Libro d’Ore del Quattrocento, dipinte con oro zecchino e polvere di lapislazzuli, dalla loro vetrina climatizzata possono trasmettere emozioni pari a quelle di un grande affresco. Quanto a certi pezzi inestimabili, come il Codex Arundel di Leonardo, per esempio, occorre rassegnarsi (con gratitudine) alla contemplazione virtuale. Basta digitarne il nome accanto a quello della British Library dov’è conservato ed ecco apparire 570 pagine perfettamente riprodotte. Per gli over fifty, bibliofili o no, quasi un miracolo.