Antonella Olivieri, Il Sole 24 Ore 6/10/2015, 6 ottobre 2015
LA NUOVA PARTITA FININVEST E LE MOSSE DI PARIGI
Mondadori consolida la leadership nei libri, Mediaset si candida a diventare numero 1 nelle radio. Un un-due, per i due gruppi presidiati dai figli di primo letto di Silvio Berlusconi, Marina e Pier Silvio, che ha fatto leva su Rcs, costretta alle dismissioni dal passo falso dell’acquisizione spagnola di Recoletos. Antitrust permettendo, Mondadori potrebbe raggiungere una quota di mercato del 34,3% nell’editoria libraria generalista, oltre il triplo rispetto al secondo player, il Gruppo editoriale Mauri Spagnol, che supera di poco il 10%. Mediobanca securities calcola che, grazie a un’operazione da meno di 130 milioni di euro, Segrate possa realizzare sinergie per 15 milioni, con una creazione di valore dell’ordine di 60-85 milioni, pari a circa il 30% dell’attuale capitalizzazione di Borsa di Mondadori.
Mediaset, quasi in contemporanea, ha dapprima acquistato proprio da Mondadori l’80% di Radio 101, pagando 36,8 milioni, e quindi si è inserita nella cessione delle radio di Rcs, rilevando il 19%, oltre al 50% del capitale senza diritto di voto di Rb1 - che ha il 92,8% di Finelco (105, Montecarlo e Virgin Radio) - per una cifra che, secondo indiscrezioni, dovrebbe aggirarsi intorno ai 19 milioni. La maggioranza dei diritti di voto, per il momento, resta in capo alla famiglia Hazan, che ha esercitato l’opzione per recuperare il controllo di Finelco da Rcs. Ma, anche in questo caso Antitrust permettendo, Mediaset si è assicurata la possibilità di salire di quota, gettando le basi per la costituzione del polo leader nelle radio, con una quota di mercato vicina al 30% in un segmento dove la pubblicità ancora tira.
Due operazioni di crescita e posizionamento strategico che sembrano smentire gli scenari di smantellamento a rate del gruppo Fininvest. La holding di casa Berlusconi ha fatto sì cassa negli ultimi due anni, ma senza rinunciare al controllo delle aziende di famiglia, interessate a loro volta da un attivismo che non ha precedenti. Quest’anno la holding ha collocato sul mercato il 7,8% di Mediaset, scendendo al 33,5% nell’emittente televisiva ma portando a casa 373 milioni, e ha intavolato una trattativa per cedere il 48% del Milan alla bellezza di 480 milioni, più dei 425 milioni a cui è in carico l’intera partecipazione rosso-nera. Su Banca Mediolanum invece Fininvest sta facendo resistenza: l’obbligo impostole da Banca d’Italia la relegherebbe ad azionista minoritario sotto al 10%. Il Consiglio di Stato,presso cui è pendente il ricorso, dovrebbe decidere a gennaio. In ballo, per il 20% a cui dovrebbe rinunciare, c’è un altro miliardo che, insieme con la quota del Milan se la trattativa con Mister Bee andrà in porto, porterebbe a circa 2 miliardi le disponibilità liquide della cassaforte di casa Berlusconi in cerca di destinazione finale. Cosa ne farà, se davvero Fininvest arriverà ad accumulare un tesoretto di quell’entità, è ancora un mistero, anche se l’orientamento sarebbe quello di diversificare nella finanza piuttosto che insistere con il core business dei media. Core business che peraltro è ancora in fase di riassetto. Da sistemare per esempio c’è Mediaset Premium, dove l’ingresso di Telefonica con l’11% pagato un centinaio di milioni doveva essere solo il primo passo. I contatti con il gruppo Murdoch sembrano avere imboccato il binario morto, mentre non sono ancora chiare le intenzioni di Vincent Bollorè che ha strappato al consiglio di Vivendi l’assenso a salire al 20% di Telecom ma non ha ancora affrontato il dossier Mediaset, trincerandosi per ora dietro le perplessità del board di Parigi, pur avendo già aperto discussioni proprio con Telefonica per costituire una newco comune sui contenuti. Nella quale, per un verso o per un altro, potrebbe magari spuntare anche la coda del Biscione.