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 2015  ottobre 01 Giovedì calendario

AUDREY MIA MADRE, LA DIVA DI CASA


Audrey Hepburn come non l’avete mai immaginata. Diva da Oscar e icona di stile, l’attrice scomparsa nel 1993, protagonista di film indimenticabili come Sabrina, Vacanze Romane e Colazione da Tiffany, nella vita di tutti i giorni si trasformava in una mamma premurosa, una moglie innamorata, una cuoca felice di sfamare la famiglia. Parola di suo figlio, Luca Dotti, 45 anni, nato dal secondo matrimonio di Audrey, quello con lo psichiatra romano Andrea Dotti (scomparso nel 2007), durato dal 1969 al 1982. Luca è l’autore del libro Audrey mia madre (Mondadori Electa) che esce il 6 ottobre, un omaggio sincero, costruito sul filo delle emozioni e che mescola ricette di cucina a fotografie inedite, testimonianze degli amici, aneddoti e ricordi raccontati in prima persona dall’autore. E grazie a lui scopriamo che Audrey fuori scena teneva testa alla suocera come tutte le nuore del mondo, sfornava le pizzette calde per i compagni di scuola del figlio, guardava in tv Raffaella Carrà e, soprattutto, non parlava mai della sua carriera. Una volta sfilato il tubino nero di Givenchy, indossato sul set di Colazione da Tiffany nel 1961, e ancora oggi simbolo ineguagliato di eleganza, l’attrice metteva jeans e T-shirt, giocava con i cani e si divertiva a provare nuove ricette.
«Da piccolo non ho quasi mai sentito nominare il cinema», racconta il figlio. «La Hepburn che ho conosciuto io era una donna riservatissima, preoccupata solo di costruire una vita serena con la famiglia».
L’incantevole interprete di film radicati nell’immaginario collettivo come Sabrina e My Fair Lady moriva nel 1993 stroncata da un tumore, ormai lontana dalle scene e dedita esclusivamente al suo impegno umanitario per l’Unicef. Accanto a lei, dopo il divorzio da Dotti, era rimasto fino all’ultimo il suo nuovo compagno, l’attore olandese Robert Wolders.
«L’idea di questo libro è nata quando ho trovato un quaderno in cui la mamma annotava ingredienti e tempi di cottura dei suoi piatti preferiti: ho pensato di pubblicare queste sue ricette per sostenere il Fondo a lei intitolato e destinato ad aiutare i bambini poveri», racconta Luca, che oggi si dedica a tempo pieno alla tutela dell’immagine materna. Dotti ha tre figli dai 14 ai 4 anni e un fratello molto amato di dieci anni più anziano, Sean, nato dal primo matrimonio di Hepburn con l’attore Mel Ferrer, finito nel 1968. «Per due anni ho parlato con gli amici, i colleghi, le persone che avevano conosciuto la mamma, dagli attori di Hollywood alle cuoche che avevano lavorato in casa nostra. Volevo ricostruire la sua dimensione personale che controbilanciasse il mito. Al termine di un percorso quasi psicoanalitico, ho fatto una scoperta inaspettata: non esistevano due Audrey. Sia sul set sia dentro casa era sempre se stessa. Scrivere il libro, con la collaborazione del giornalista Luigi Spinola, mi ha fatto sentire meglio perché la mia percezione della mamma non era troppo diversa da quella degli altri. La cucina mi è sembrato il modo più diretto e semplice per far capire a tutti la sua meravigliosa normalità».
Nel libro, a ogni pietanza è collegato un momento, un’emozione, un episodio della vita di Hepburn. Per esempio l’hutspot, robusto piatto di carne della tradizione olandese, rimanda alla giovinezza dell’attrice cresciuta tra Belgio, Inghilterra e Paesi Bassi. «Durante la guerra la sua famiglia, che aveva fatto fortuna nelle colonie, perse tutto. Mia madre dovette separarsi dal padre e rischiò di morire per malnutrizione», racconta il figlio. Il pollo al curry, invece, legava l’attrice alla madre baronessa Ella van Heemstra. «A Londra nei primi anni del dopoguerra, dove la nonna e la mamma erano arrivate dall’Olanda con 100 sterline in due, Ella fece i lavori più disparati, dalla fioraia all’estetista, per permettere alla figlia di diventare ballerina, il suo sogno prima di incontrare il cinema», mi spiega Luca.
La torta al cioccolato, ricordo della fine della guerra e delle sue privazioni, restituiva a Audrey il buonumore. Mentre il pollo al peperoncino aveva il sapore di Los Angeles, dove la famiglia Dotti trascorreva le vacanze e dove abitavano gli amici più cari dell’attrice come Doris Brynner, vedova del divo Yul Brynner, e Connie Wald, che nel libro racconta: «Camminavamo molto. Un giorno entrammo da Tiffany, dove Audrey aveva fatto riparare un anello. La commessa le chiese se avesse un documento di identità e lei rispose sorridendo: “La mia faccia”».
Non era tipo da arrabbiarsi, la grande Hepburn. «Se doveva rimproverarmi qualcosa, era bravissima a mostrarsi dispiaciuta: il modo migliore per farmi venire i sensi di colpa», s’intenerisce Luca. La colazione del mattino era il momento ideale per le confidenze. «Un giorno, dopo il divorzio, mi raccontò come si era follemente innamorata di papà, la storia più importante della sua vita. “É stato come se mi fosse caduto un mattone in testa e anche se il nostro matrimonio è finito, devi sapere che sei nato da una grandissima passione”, mi disse». Chiedo a Luca perché i suoi genitori si separarono. Forse perché Audrey aveva dieci anni più del marito? «Non fu soltanto colpa della differenza di età. Avevano caratteri e soprattutto passati diversi. Mio padre era spensierato, mondano, decisamente meno maturo della mamma, che, prima a causa della guerra, poi per la sua carriera, aveva dovuto crescere in fretta. Ma mantennero sempre l’affetto e il rispetto reciproci. Quando si lasciarono, per non farmi stare lontano da papà, mamma decise di rimanere a Roma prendendo una casa vicina alla sua. E lui, quando nel 1992 lesse la cartella clinica che non le lasciava scampo, ebbe un malore. Erano diversi, ma avevano lo stesso animo sensibile».
Uno dei capitoli più spassosi ricostruisce le schermaglie tra Audrey e la suocera Paola. «La nonna era un tipo onnipresente e dominatrice e mal sopportava quella nuora indipendente», racconta Luca divertito. «Al pranzo della domenica le rivolgeva continue frecciatine a cui mamma rispondeva con un sorriso che irritava nonna ancora di più». L’attrice teneva l’Oscar vinto nel 1954 per Vacanze romane nella sala giochi della sua villa in Svizzera, chiamata La Paisible (la tranquilla): era la casa che sentiva più sua e dove abitò fino agli ultimi giorni con Wolders. «Ma a Roma mia madre, così nordica e precisina, si trasformava e diventava latina».
Un’icona di stile come Audrey che rapporto aveva con la moda? «Nel 1953 la produzione di Vacanze romane la mandò a Parigi a scegliere i suoi abiti di scena», spiega Luca. «Là mamma conobbe lo stilista Hubert de Givenchy. Il loro lungo sodalizio cominciò con un equivoco: lui si aspettava un’altra Hepburn, la famosa star Katharine, e alla vista di Audrey rimase male. Lei, con la solita grazia, gli disse di non disturbarsi a disegnare dei nuovi vestiti, ma di mostrarle quelli già pronti. Aveva una magia capace di trasformare in positivo anche le situazioni più imbarazzanti». Chiedo a Luca come si confronterebbe Audrey con il mondo di oggi. «Avrebbe a cuore la causa dei migranti e continuerebbe a occuparsi di missioni umanitarie», mi risponde. «Una volta tornò sconvolta da un viaggio nella Somalia devastata dalla guerra. Conosceva il potere della comunicazione ed era felice di usare la sua popolarità per calamitare l’attenzione dell’opinione pubblica e raccogliere fondi per le tragedie del mondo. Certo, oggi non ce la vedo proprio a twittare o tenere una pagina Facebook. Ma chissà, forse per la causa avrebbe anche accettato di uscire dal suo riserbo. Era una donna meravigliosa che faceva di tutto per far dimenticare agli altri la sua condizione di diva. “Ho avuto un’incredibile fortuna”, diceva alludendo al suo successo. E io sono stato ancora più fortunato ad averla come mamma».