Leonardo Jattarelli, Il Messaggero 4/10/2015, 4 ottobre 2015
PASOLINI E IL SESSO DELL’ITALIA
Quattro anni dopo La lunga strada di sabbia, l’intenso, illuminante libro “on the road” lungo tutta la nostra penisola a fotografare il Paese reale e quello ideale tra appunti, memorie, resoconti, lettere, Pier Paolo Pasolini non demorde dalla sua straordinaria mappatura “verticale” dell’Italia. Nel ’63, prima con il titolo Natura contro natura, poi con Cento paia di buoi e ancora Il Don Giovanni e con il definitivo Comizi d’amore, lo scrittore mette in pratica ciò che la politica, ancora oggi, si ostina ad eludere: il confronto con la gente. Gli parla, interroga e si interroga, nei quartieri e nei vicoli, sulle spiagge e per le strade, col suo microfonino da cronista facendo da tramite tra la parola e l’immagine. Il risultato sarà un film “storico”, sociologico, psicologico, filosofico dal sapore di istantanea civile, prodotto dal coraggioso e inarrivabile produttore Alfredo Bini, proprio mentre il regista Pasolini è allo studio del suo Vangelo secondo Matteo.
VOLUME
Non è un caso dunque che ieri, nel contesto delle celebrazioni per i 40 anni dalla scomparsa dell’intellettuale il 2 novembre del 1975, le edizioni Contrasto abbiano presentato il libro Pier Paolo Pasolini Comizi d’amore a cura di Graziella Chiarcossi e Maria D’Agostini (con fotografie di Mario Dondero e Angelo Novi) accostando la fresca uscita del volume al precedente La lunga strada di sabbia (Contrasto, 2014) e ponendoli al centro della mostra (in collaborazione con la Cineteca di Bologna) a cura di Alessandra Mauro dal titolo La vera Italia? Due inchieste di Pier Paolo Pasolini, esposta a Forma Meravigli (Milano) fino al 15 novembre.
L’excursus pasoliniano in Comizi d’amore verte attorno al tema della sessualità, della perversione, del matrimonio e del divorzio, della omosessualità e della prostituzione attraverso domande spiazzanti, secche, imbarazzanti per gli intervistati, mai imbarazzate da parte di chi, Pasolini, si accorge che «esaminando l’Italia dal basso e dal profondo ne è venuta fuori un’immagine irrimediabile, fatale e, certo, parziale; il mistero più misterioso, la realtà più reale di quanto si fosse potuto calcolare...». Lo scrittore via via si rende conto di avere tra le mani un materiale raro, antropologicamente unico, un’inchiesta giornalistica preziosa in linea con la sua ansia di archeologo dell’anima, dei riti, dei “segni” di un popolo. Del resto, come scrive Vincenzo Cerami nella sua nota “Il linguaggio della realtà” riportata nel libro: «Fu proprio guardando il modo di vestirsi, di pettinarsi e di parlare dei giovani che Pasolini introdusse il concetto, oggi tanto consumato, di omologazione. Fu dopo aver studiato il deperimento dei dialetti e la perdita della memoria storica che parlò di rivoluzione antropologica...».
AMICIE se nell’inchiesta dà parola anche ad amici scrittori come Moravia, Ungaretti, Cederna, l’imperativo categorico di Pasolini rimane la voce della gente comune. Per le strade di Napoli chiede ad alcuni bambini: «Senti eh, guagliò, come nascono i bambini, lo sai?» un ragazzino risponde: «A me m’ha portato la cicogna» e un altro «Sono nato sotto ’è cuperte». In Sicilia, a Camporeale, interroga un ragazzo sul suo rapporto con l’altro sesso: «Tu, conosci molte ragazze?» e l’intervistato: «Sì». «E parli con loro semplicemente come con gli amici, oppure invece sei un po’ più...». «Mai, non ci parliamo mai» fa il ragazzo. E Pasolini insiste: «Ah, non vi parlate mai...e come le conosci allora?». «Le vediamo» risponde il giovane.