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 2015  ottobre 02 Venerdì calendario

SE LA GERMANIA FOSSE SEPARATA

Berlino
Nel settembre dell’89, a meno di due mesi dal crollo del Muro di Berlino, ma nessuno, a quel tempo, lo prevedeva, andai a intervistare uno dei leader di Neues Forum, il gruppo di dissenzienti anti regime, il professore di microbiologia Jens Reich, oggi 76 anni. Rischiava anni di galera, insieme con i suoi compagni, in tutto una trentina.
Al termine del colloquio, non sapendo più cosa chiedere, feci una domanda stupida. Lei pensa che in futuro si possa arrivare a una riunificazione? «Perché mai?, la Germania è stata unita per pochi anni nella sua storia, e non sono stati gli anni più felici». Reich, in seguito candidato al Nobel e alla presidenza della Repubblica (nel ’94), non sperava e non voleva una Grande Germania.
Nel febbraio seguente, quando ormai l’unità era sicura, parlai con il pastore Christian Führer (come dimenticarne il nome?). Dalla sua Nikolaikirche, a Lipsia, era iniziata la rivoluzione pacifica nell’estate precedente. Al lunedì, al termine della funzione serale, poche decine di fedeli uscirono a protestare in strada, poi furono centinaia, migliaia. All’inizio di novembre, a pochi giorni dalla fine del Muro, furono mezzo milione. Nelle ultime ore si temette che la protesta venisse schiacciata dai panzer dell’Armata Rossa, come a Budapest, come a Praga. «Ma noi non ci siamo battuti per acquistare un’auto o una tv a colori, protestava disilluso, non ci siamo battuti per il consumismo senza freni». Führer è scomparso nel giugno 2014, a 71 anni.
Domani, si celebreranno i 25 anni di una insperata unità. Né lo scienziato né il pastore, e con loro molti tedeschi dell’Est, avrebbero preferito una federazione dei due stati tedeschi. All’Ovest, contro l’unità protestava il futuro Nobel Günter Grass, che scrisse poi un romanzo contro «Ein weites Feld», tradotto in Italia con il titolo «È una lunga storia». Lo scrittore riteneva che le Germanie dovevano restare divise per scontare la colpa del III Reich. E contro fu anche Oskar Lafontaine, allora socialdemocratico, per cui il cuore doveva battere a sinistra, che perse inevitabilmente le elezioni contro Helmut Kohl. Anche il Cancelliere, all’inizio, non credeva all’unità. È sempre stato un uomo prudente.
La storia non si fa con i «se». Gli storici odiano questi giochetti ipotetici, ma di solito scrivono saggi noiosi. Lo «Spiegel» si diverte invece suggerendo che cosa sarebbe avvenuto se a vincere fossero stati i contrari all’unità. Innanzitutto, si sarebbero risparmiati un sacco di soldi, almeno due terzi degli oltre 2 mila miliardi di euro spesi per la ricostruzione della Ddr. Ancor oggi i tedeschi, e io con loro, pagano la sovrattassa dell’8% sulle imposte dovute. Sarà provvisoria, promise Kohl. Lo è sempre un quarto di secolo dopo.
E non ci sarebbe stato l’euro, imposto da Mitterand e dal nostro Andreotti che gli reggeva la coda: la rinuncia all’amato Deutsche Mark, in fondo l’unico simbolo nazionale, dopo la sconfitta, era il prezzo da pagare per l’unità. La Germania, con una sua valuta, avrebbe avuto prezzi più bassi, e dunque prodotto a costi concorrenziali. La sua industria non sarebbe crollata di colpo, fagocitata dall’Ovest. Si sarebbero pagati meno aiuti ai disoccupati, meno pensioni anticipate. La Germania Est avrebbe ricevuto ugualmente sovvenzioni da Bruxelles, perché sarebbe entrata nella Ue, come una Polonia o un’Ungheria. E avrebbe esportato in tutti i paesi ex fratelli della Mitteleuropa.
Ma c’è un ma: sarebbero probabilmente rimaste ancora a lungo sul suolo della Germania orientale le divisioni sovietiche. Gorbaciov fu defenestrato appena l’estate dopo, nel 1991. E chi avrebbe potuto prevedere l’evoluzione in Urss? Lo «Spiegel» se ne dimentica, ma non avremmo avuto un’Angela Merkel, prima donna cancelliera della Germania unita. Chissà, forse sarebbe diventata primo ministro nella nuova Ddr, o sindaco di Berlino. Ma la metropoli non sarebbe potuta rimanere divisa: o tutta da una parte o dall’altra. O sarebbe diventata un’isola indipendente, un terzo stato, come Montecarlo o San Marino.
Roberto Giardina, ItaliaOggi 2/10/2015