Mario Platero, Il Sole 24 Ore 1/10/2015, 1 ottobre 2015
IL NEGOZIATO DIETRO LE INCERTEZZE DI OBAMA
Vladimir Putin avanza anche perchè lungo la sua strada ha trovato un’America confusa, capace di abbandonare i suoi alleati storici in nome di scelte politiche “democratiche” che finora hanno dato ben pochi risultati. A prima vista, gli sviluppi di ieri sono l’ennesima conferma di quanto la Casa Bianca di Obama abbia ceduto spazio e terreno e Mosca quasi senza accorgersene. Ma dietro la superficie delle azioni militari russe in Siria, deleterie per molte ragioni, potrebbe anche nascere il germoglio del compromesso, di un accordo per consentire a Russia e Stati Uniti di cogestire la situazione e di sferrare un attacco decisivo contro l’Isis.
Per ora per l’America non poteva esserci scenario peggiore: con la scusa di attaccare i terroristi dell’Isis, dopo l’Ucraina, la Russia si espande in Medio Oriente. Con una missione più vasta, Mosca vuole soprattutto difendere Bashar Assad e il suo regime. Il messaggio politico è chiaro: a differenza dell’America, che ha abbandonato uno dopo l’altro alcuni dei suoi grandi interlocutori nella regione (basti pensare al presidente egiziano Mubarak) la Russia non dimentica i suoi alleati storici e anzi li difende fino all’ultimo. Ma questa difesa di Assad e del suo regime diventa anche una manovra necessaria per poter passare alla seconda fase dell’operazione, quella di un riavvicinamento con gli Stati Uniti magari attraverso dimissioni “volontarie” di Assad quando i tempi saranno maturi.
Oggi questo scenario appare assai lontano, con una Russia già attiva nel creare una sua area di influenza che passa per l’Iran e l’Iraq oltre alla Siria. I realisti a Washington danno questa partita già chiusa (o persa a seconda dei punti di vista) e pensano al dopo. Barack Obama in fondo dopo il vertice all’Onu di tre giorni fa è stato possibilista. E ieri lo stesso segretario di Stato John Kerry ha confermato che «gli Stati Uniti sono pronti a lavorare con qualsiasi nazione, inclusi Russia e Iran, per risolvere il conflitto». Kerry ha anche dato le condizioni americane: «Dopo tanto sangue versato non si può semplicemente ritornare allo status quo precedente alla guerra. A parole Assad vuole sconfiggere l’Isis ma il regime siriano ha invece focalizzato tutto il suo potere militare su gruppi di opposizione moderata che stavano lottando per avere una voce in Siria». Proprio quello che ha fatto la Russia ieri.
Ma spesso in politica il compromesso arriva partendo dalle posizioni più distanti, come in questo caso, con Mosca decisa a sostenere Assad e Washington che chiede invece la sua testa. Il compromesso potrebbe trovarsi una variante della cosiddetta “Yemeniski solution”, proposta dall’America e accolta con un certo interesse qualche anno fa a Mosca: Assad si dimette, al suo posto si installa un esponente del suo regime e, allo stesso tempo, si comincia a dar fiato ad alcune voci dell’opposizione. Nel tempo si creeranno i presupposti per un nuovo ordine democratico e per elezioni. Mosca avrebbe tenuto in Siria la sua sfera di influenza.
Per Putin però quella soluzione significava sottostare al diktat americano e allora, inoltre, l’Isis di fatto non esisteva. Ora le cose sono cambiate, per l’America la cosa più importante è vincere la guerra contro l’Isis, la Siria è già in mano russa e dimissioni volontarie di Assad potrebbero risolvere l’impasse. I segnali? Putin ha detto di non essere “sposato” a una permanenza illimitata di Assad. Obama ha chiesto per ora solo il ritiro di Assad e non altro. E ieri Kerry ha detto di aver garantito a Mosca che ci sarà coordinamento per evitare che gli attacchi dei caccia russi siano intralciati da missioni degli americani e degli altri alleati.
Mario Platero, Il Sole 24 Ore 1/10/2015