Alessandro Merli, Il Sole 24 Ore 1/10/2015, 1 ottobre 2015
IL SILENZIO DELLA MERKEL
Il più realista, e quello che chiama le cose con il proprio nome, come spesso gli succede, è stato ancora una volta il ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble, che ha la dote, non comune per un politico, della schiettezza. «La Volkswagen – ha detto ieri – non sarà più la stessa».
«Ci saranno molti cambiamenti strutturali». L’uso della parola strutturale, tante volte applicato alle riforme che la Germania ha già fatto e che chiede a gran voce agli altri Paesi dell’eurozona, deve far riflettere. Per Schäuble equivale a un richiamo a mutamenti radicali.
Per un politico come lui, della vecchia scuola, legata alle convinzioni e al servizio, è «stupefacente» come tutto sia mosso dalla «avidità di fama e successo».
Certo, a fronte della semplicità delle due battute di Schäuble, risalta ancora di più il silenzio, assordante ma non sorprendente, del cancelliere Angela Merkel, che finora si è limitata a dire lapalissianamente che bisogna fare chiarezza al più presto. Se oggi non suonasse come un’offesa, si potrebbe dire che la signora Merkel è un diesel.
Ma davanti al caso Volkswagen la politica tedesca tutta è intrappolata tra due elementi distinti e sta tenendo un profilo bassissimo, salvo la voce isolata dei Verdi. Il primo è l’imbarazzo per aver difeso a spada tratta, anche a costo di atteggiamenti di rottura con i partner europei, una industria automobilistica propagandata come esempio di sostenibilità e di innovazione, industria di cui Volkswagen è l’indiscusso capofila. Davanti al fatto nuovo, la tentazione in Germania sarebbe di far muro e minimizzare il proprio errore. Solo che in questo caso non è più possibile. Oggi, nessun politico parla, perché nessuno vuole essere associato, neppure indirettamente, allo scandalo: però Angela Merkel non può permettersi questo lusso e, a un certo punto, dovrà venire allo scoperto. La linea gliel’ha già data Schäuble.
L’altro elemento è la preoccupazione per l’impatto sulla Volkswagen, sull’auto tedesca, sull’economia, sulla reputazione del made in Germany e, in fondo, del Paese. Questo è un problema assai più serio dal punto di vista politico e non potrà essere minimizzato. Il problema della politica tedesca è che la soluzione di questa incertezza dipende in gran parte da decisioni che dovranno essere prese anzi tutto dalla Volkswagen stessa: finora, con la nomina di un insider alla guida del gruppo e quella probabile di un altro alla presidenza del consiglio di sorveglianza, con l’indecisione su quali documenti consegnare all’inchiesta esterna, ha scelto la strada della continuità. Un messaggio che può rassicurare dentro la fortezza assediata, ma che difficilmente verrà accolto con favore all’esterno. «La Germania – ha detto ancora Schäuble – uscirà più forte da questa crisi. Noi impariamo dalle crisi». È più che una speranza, ma perché si avveri servono «cambiamenti strutturali». Volkswagen ne è ancora ben lontana, anche negli atteggiamenti. La politica, se vuole che la Germania esca più forte dalla crisi, dovrà darle una spinta.
Alessandro Merli, Il Sole 24 Ore 1/10/2015