VARIE 1/10/2015, 1 ottobre 2015
APPUNTI PER GAZZETTA - PASSA AL SENATO L’ARTICOLO 1 DELLA RIFORMA DEL SENATO
REPUBBLICA.IT
ROMA - Il governo non interverrà al Senato con un emendamento ad hoc per blindare l’articolo 2 della riforma costituzionale e sventare la minaccia del voto segreto. La linea dell’esecutivo - spiegano fonti di Palazzo Chigi - è che sulle minoranze linguistiche sia più logico rimettersi all’aula. Sono 6, infatti, le proposte di modifica sulle quali pende la richiesta di votazione segreta. Sono tutte presentate dalla Lega Nord tranne una - a firma Sel - e puntano a introdurre nel testo norme a tutela delle minoranze linguistiche.
In serata, infatti, l’aula passerà all’esame delle proposte di modifica all’articolo 2, che è quello che si esprime su composizione ed elettività (diretta) dei futuri senatori: un tema cruciale su cui il Pd al suo interno pare aver trovato finalmente un’intesa dopo mesi di polemiche tra maggioranza e minoranza dem. Ieri, in chiusura di seduta, Grasso ha decretato l’ammissibilità dei soli emendamenti modificativi o soppressivi del comma 5 di quell’articolo (unica parte modificata alla Camera e su cui è stato presentato un altro emendamento Finocchiaro) e di quelli soppressivi dell’intero articolo. I voti non palesi preoccupano però governo e maggioranza: chi tiene il pallottoliere deve fare i conti con i possibili franchi tiratori. Ecco perché da qui a stasera, quando inizieranno le votazioni sull’articolo 2 dopo lo stop per la seduta congiunta sui giudici costituzionali a Montecitorio - che anche questa volta si è risolta con una fumata nera - si continuerà a lavorare con riunioni e incontri a vari livelli. Obiettivo, serrare i ranghi e procedere spediti verso quella data ultima fissata per il voto finale: il 13 ottobre.
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La tensione, dunque, è decisamente alta, oggi, nell’aula di Palazzo Madama. Perché dopo gli scontri e le battaglie procedurali di ieri, è arrivato il giorno della conta sul punto decisivo.
Ok ad articolo 1. Nel corso della mattinata, sul ddl Boschi la maggioranza cresce di numero e porta a casa i primi risultati utili. Via libera all’articolo 1 del disegno di legge Boschi con 172 sì, 108 contrari e 3 astenuti. Le funzioni del nuovo Senato sono così sancite nero su bianco: si mette la parola "fine" al bicameralismo perfetto, sarà solo la Camera a dare la fiducia al governo. Tuttavia, nella riformulazione che cambia il contenuto dell’articolo 55 della Carta, vengono riattribuite al futuro Senato alcune funzioni, e quindi poteri, che erano stati tolti durante il passaggio a Montecitorio.
Il ’canguro’ che fa da scure. Poco prima, con 177 voti (contrari 57, astenuti 2) arriva l’ok al tanto contestato ’canguro taglia emendamenti’ che viene approvato con il placet di Pd, Ap (Ncd-Udc), Svp-autonomie, verdiniani del gruppo Ala più alcuni senatori di Gal: M5s e Lega non partecipano al voto per protesta mentre nella minoranza dem si smarcano Corradino Mineo e Walter Tocci (che si esprimono col pollice verso) più Felice Casson (che si astiene). Via libera, dunque, all’emendamento ’canguro’ numero 1.203 targato Roberto Cociancich (renziano del Pd, già capo scout del premier Matteo Renzi) che riprende nella sostanza i contenuti dell’emendamento di mediazione firmato Anna Finocchiaro ma che, soprattutto, permette di saltare la votazione dei rimanenti emendamenti all’articolo 1 compresi quelli per i quali il presidente di Palazzo Madama, Pietro Grasso, aveva ammesso la deliberazione con scrutinio segreto. Si tratta di 220 pagine di proposte di modifica. Lo stesso emendamento ha avuto così anche un’altra funzione di rilievo: mettere la maggioranza al riparo da 19 possibili voti segreti.
Bagarre opposizioni. Ma, prima del voto, su quel ’canguro’ è fuoco di fila in aula, con Lega e M5s che chiedono pure una perizia calligrafica dopo le voci sul possibile ruolo di ’prestanome’ da parte di Cociancich: se quella firma non è autentica - dice Roberto Calderoli dai banchi - si tratta di falso in atto pubblico". La presidenza del Senato rispedisce al mittente la richiesta e risponde: "Tutte le firme si considerano autentiche fino a prova contraria, finché colui che ha sottoscritto non disconosce la sua firma. Quindi se il senatore Cociancich dovesse disconoscere la propria firma, lui stesso avrebbe titolo per far avviare un accertamento per capire chi ha messo la firma al posto suo. Questa è la decisione della presidenza".
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Il sostegno dei verdiniani al Pd. I pentastellati reagiscono, bollano come "strappo gravissimo" quanto accaduto e annunciano che non parteciperanno al voto in segno di protesta (ma rimarranno in aula). A ruota, anche la Lega promette la medesima mossa. La bagarre esplode, poi, quando i verdiniani di Ala annunciano l’appoggio al ’canguro’: il Carroccio insorge e alle parole del capogruppo dei verdianiani, Lucio Barani - "siamo una forza di opposizione" - i leghisti sventolano banconote verdi simili a dollari e gridano: "Io ho un posto di lavoro, tu no, disoccupato!". Non si fa attendere la replica di Barani: "Li invito a tenersi ben strette quelle banconote perché in futuro quei soldi serviranno certamente più a loro che a me". Grasso invita i questori a riportare ordine nell’aula.
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Spunta ’canguro’ bis. Intanto, tra le pieghe dei fascicoli, spunta un nuovo emendamento a firma del senatore Pd Cociancich, che creerà nuovi malumori tra le opposizioni. minoranza Pd compresa. Questa volta la norma ’canguro’, denunciata stamani dalla senatrice Loredana De Petris (Sel) è stata progettata per l’articolo 21, quello sulle modifiche all’articolo 83 della Costituzione legato ai quorum per l’elezione del presidente della Repubblica. Un tema "ancora aperto", sottolinea Paolo Corsini della minoranza dem. Il quorum per eleggere il presidente della Repubblica era infatti una delle richieste avanzate dalla minoranza su cui però non è stato trovato ancora un accordo. Se approvato, l’emendamento farà di nuovo decadere le modifiche presentate dagli altri gruppi. A schierarsi con veemenza contro il "canguro bis" è il senatore della minoranza Dem Vannino Chiti che ha commentato: "Non è condivisibile neanche come base di discussione" e "c’è da augurarsi che venga ritirato".
L’emendamento è il 21.200. Nel testo si legge: "L’elezione del presidente della Repubblica ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi dell’assemblea. Dal quarto scrutinio è sufficiente la maggioranza dei tre quinti. Le candidature alla presidenza della Repubblica sono sottoscritte da almeno un decimo dei parlamentari. Ogni parlamentare può sottoscrivere fino a tre candidature. In ogni scrutinio ciascun parlamentare, a pena di nullità, esprime un primo e un secondo voto. Se in seguito allo scrutinio dei primi voti nessun candidato ha raggiunto il quorum richiesto, si considerano i soli due candidati che hanno avuto il maggior numero di primi voti e si aggiungono ad essi i secondi voti espressi in loro favore. Se al settimo scrutinio nessun candidato ha raggiunto i tre quinti, è eletto il candidato che in quello scrutinio, al termine del conteggio dei primi e dei secondi voti, risulti il più votato".
23 SETTEMBRE
Un trittico di correzioni che è riuscito a riappacificare le due anime del Pd sul disegno di legge Boschi, in discussione nell’aula di Palazzo Madama. Il primo, quello su cui si è consumato il braccio di ferro tra minoranza e maggioranza dem, riguarda l’elettività dei futuri senatori. Gli altri due si esprimono sulle funzioni del nuovo Senato e sull’elezione dei giudici costituzionali (il Senato ne eleggerà due su 15). Di seguito, i testi degli emendamenti di ’mediazione’.
Elettività senatori. L’emendamento al comma 5 dell’articolo 57 della Costituzione che viene introdotto nell’articolo 2 del ddl Boschi aggiunge alla frase "la durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti" questo periodo: "In conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi, secondo le modalità stabilite dalla legge". Nello stesso articolo al comma successivo infatti si stabilisce che ci dovrà essere una legge "approvata da entrambe le Camere per regolare le modalità di attribuzione dei seggi e di elezione dei membri del Senato della Repubblica tra i consiglieri e i sindaci, nonché quelle per la loro sostituzione, in caso di cessazione dalla carica elettiva regionale o locale. I seggi sono attribuiti in ragione dei voti espressi e della composizione di ciascun consiglio".
Funzioni nuovo Senato. L’emendamento della maggioranza a firma Anna Finocchiaro, all’articolo 1 del ddl riforme, ovvero sulle funzioni del Senato, prevede più poteri di ’controllo’ al nuovo Senato, cui viene restituita anche la funzione di verificare "l’impatto delle politiche dell’Unione europea sui territori". E al nuovo Senato viene data anche la "valutazione delle politiche pubbliche e l’attività delle pubbliche amministrazioni", mentre nel testo votato dalla Camera, il Senato si limitava a "concorrere" nella valutazione. La nuova Camera delle autonomie continuerà poi a concorrere, come prevede il testo licenziato da Montecitorio, all’espressione di "pareri sulle nomine di competenza del governo nei casi previsti dalla legge", in più dovrà concorrere a "verificare l’attuazione delle leggi dello Stato". Infine, il nuovo Senato "esercita funzioni di raccordo fra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica". E’ quanto prevede
Giudici costituzionali. Torna al Senato la funzione di eleggere due giudici della Consulta. E’ quanto stabilisce il terzo emendamento al ddl riforme, sempre a firma Finocchiaro. Nella lettura alla Camera era stata tolta al Senato questa funzione. Ora alla futura Camera delle autonomie viene riassegnato il ’compito’ di eleggere due giudici della Corte Costitzionale. "La Corte Costituzionale - recita il testo dell’emendamento - è composta da 15 giudici, dei quali un terzo nominati dal presidente della Repubblica, un terzo dalle supreme magistrature, ordinaria ed amministrativa, tre dalla Camera dei deputati e due dal Senato della Repubblica". Inoltre, coerentemente al superamento del bicameralismo perfetto, nei giudizi d’accusa contro il Capo dello Stato i 16 membri tratti a sorte "da un elenco di cittadini", devono avere i requisiti per l’eleggibilità a deputato, e non più a senatore.
30 SETTEMBRE
MONICA RUBINO
ROMA - Slitta il voto sul contestato emendamento "canguro", ovvero la proposta di modifica del senatore Pd Roberto Cociancich, con il quale la maggioranza ha blindato l’articolo 1 del ddl Boschi sulla riforma costituzionale. L’aula del Senato si aggiorna a giovedì 1° ottobre, alle 9,30, dopo aver evitato il ’rischio ’ di 19 votazioni a scrutinio segreto nello scontro con le opposizioni, che hanno parlato di attentato alla democrazia perchè l’emendamento dem, se approvato, farebbe decadere tutte le altre proposte di modifica.
Nel chiudere la faticosa seduta di oggi il presidente Pietro Grasso ha anche dato l’annuncio atteso da giorni: ha sciolto, infatti, la riserva sull’articolo 2 del ddl, quello sulla non eleggibilità dei senatori, dichiarando ammissibili solo gli emendamenti al comma 5 dell’articolo stesso, così come richiesto dalla maggioranza.
Cronaca di una giornata al Senato. La seduta, cominciata alle 15 per permettere ai senatori di partecipare ai funerali di Pietro Ingrao, è stata caratterizzata dallo scontro tra maggioranza e opposizioni sulla già citata modifica "canguro". Ovvero l’emendamento firmato dal senatore dem Cociancich che riscrive l’art.1 del ddl Boschi sulla riforma costituzionale e che, se passasse, farebbe cadere automaticamente tutti gli emendamenti successivi e di conseguenza anche i 19 voti segreti accolti dal presidente del Senato. La modifica della discordia ha scatenato le proteste delle opposizioni: il leghista Roberto Calderoli ha definito l’emendamento Cociancich "una truffa, un attentato alla democrazia". Dopo di lui anche il capogruppo di Forza Italia Paolo Romani ha parlato di "burla al Parlamento".
Riforme, emendamento ’canguro’ al Senato. Le opposizioni: "Truffa"
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Il capogruppo del Pd Luigi Zanda, invece, ha difeso con veemenza il collega Cociancich. Zanda ha faticato a iniziare a parlare, per le contestazioni provenienti soprattutto dai banchi di M5s. "Tutti gli interventi, da Endrizzi a Romani - ha detto Zanda -, hanno o insultato o irriso il senatore Cociancich. Questo è veramente il vulnus di questa discussione. Da 20 minuti stiamo insultando un galantuomo che ha presentato un emendamento che è uguale a quello di Romani e uguale a quello di Calderoli", che entrambi sono stati scritti con la stessa tecnica. "Noi approveremo la riforme - ha concluso alzando la voce e tra gli applausi dei deputati Dem - e non insultate, perché voi non ve lo meritate questo dibattito".
Bagarre in Senato tra M5s e Pd, Grasso: "Non fate caciara"
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Anche Matteo Renzi ha ribadito questo stesso concetto in un’intervista al Tg3 della sera: "Le opposizioni ci stanno provando a bloccare le riforme - ha detto il premier - ma non ce la faranno. Andranno in porto".
Le votazioni. La maggioranza a Palazzo Madama comunque ha tenuto abbondantemente al primo voto segreto sugli emendamenti soppressivi: 171 voti contro 119 e 5 astenuti. Superato anche il secondo voto: la maggioranza ha respinto con 171 voti contro 119 e quattro astenuti, l’emendamento sostitutivo all’articolo 1 del ddl riforme presentato inizialmente dalla sinistra dem e poi ritirato, ma successivamente fatto proprio da Forza Italia e Movimento Cinque Stelle. I senatori della minoranza Pd Felice Casson, Corradino Mineo e Walter Tocci hanno comunque votato a favore. È poi saltato un possibile voto segreto su un emendamento di Roberto Calderoli e su uno identico di Paolo Romani (Forza Italia). Entrambe le proposte di modifica contenevano una parte il cui contenuto rientra tra i casi su cui è previsto lo scrutinio segreto: essi infatti riguardavano le competenze del Senato su temi etici. Lo stesso Roberto Calderoli ha quindi chiesto un voto per parti separate, utilizzando lo scrutinio segreto per una parte e lo scrutinio palese per la restante. La richiesta di voto per parti separate è stata posta ai voti ed è stata respinta dalla maggioranza. Ne è nato un dibattito polemico in cui le minoranze hanno chiesto che si procedesse comunque con un voto per parti separate, di cui una a scrutinio segreto. "Questo episodio - ha detto Calderoli - certifica che la maggioranza di governo non è sicura di avere la maggioranza dei voti in aula".
I senatori M5s, Vincenzo Santangelo e Sel, Loredana De Petris hanno poi chiesto la convocazione della Giunta per il regolamento per dirimere la questione sul voto segreto. E il dem Vannino Chiti ha dichiarato di votare in dissenso al suo partito a favore dell’emendamento Calderoli-Romani. Alla fine la modifica in questione è stata bocciata dall’aula.
La sforbiciata di Grasso. Il presidente del Senato, che già ieri ha dichiarato "irricevibili" i 72 milioni di emendamenti proposti dalla Lega, nel corso della seduta odierna ha dato una prima sforbiciata agli emendamenti all’articolo 1. Ha annunciato infatti di considerare ammessi al voto solo quelli che modificano o sopprimono il comma 5 dell’articolo, l’unica parte che è stata variata dalla Camera in seconda lettura. Ammessi anche quelli che propongono di sopprimere l’intero articolo.
L’articolo 1 riguarda le funzioni del Senato ed è uno dei capisaldi della riforma costituzionale. Nel passaggio alla Camera, l’articolo è stato modificato in senso ’restrittivo’, ovvero erano state tolte delle funzioni al Senato. Nella lettura attuale al Senato, maggioranza e minoranza del Pd hanno raggiunto un’intesa, che prevede di ripristinare alcune funzioni al futuro Senato, come ad esempio quella di raccordo tra Stato ed enti territoriali.
Grasso ha bocciato anche il ’supercanguro’, ossia gli emendamenti ’premissivi’, che servono a sostituire un intero articolo per far decadere tutti gli emendamenti presentati a quell’articolo. Il ’supercanguro’ fu utilizzato durante l’esame dell’Italicum e anche questa volta a firmarlo è stato il senatore del Pd Stefano Esposito, ma anche il collega Andrea Marcucci, con l’obiettivo di sconfiggere l’ostruzionismo delle opposizioni.
CORRIERE DI OGGI
ROMA La maggioranza dà quasi scacco matto ai malpancisti del Senato. E in extremis riesce ad evitare i pericolosi voti segreti sull’articolo 1 della riforma del bicameralismo perfetto ma poi si deve anche preparare a sei scrutini segreti sull’articolo 2. Sul quale, dopo settimane di riflessioni, il presidente del Senato Pietro Grasso è costretto a non smentire la decisione della presidente Anna Finocchiaro: emendamenti modificativi ammessi solo sull’ormai famoso comma 5. Che, tradotto, vuol dire, accogliere la tesi sostenuta dal governo anche se poi Grasso ha ammesso, oltre i sei voti segreti, 50 subemendamenti al lodo Finocchiaro (elezione quasi diretta dei senatori) che ha fatto scoppiare la pace tra renziani e minoranza Pd.
Resta da vedere, dunque, se governo e maggioranza saranno capaci di un altro salto mortale per evitare, dopo quelli sull’articolo 1, anche i voti segreti sull’articolo 2.
Così, per ora, la Lega di Roberto Calderoli e tutte le opposizioni (Sel, Fi, Gal, M5S , ex grillini) — che speravano nello scrutinio segreto sull’articolo 1 per una rivincita — sono state messe nell’angolo da un abile espediente parlamentare architettato in gran segreto tra Palazzo Chigi e Palazzo Madama. Che oggi darà i suoi frutti quando verrà messo ai voti.
Il compito di gettare la pietra tombale sulle aspettative delle opposizioni è stata affidato al renziano Roberto Cociancich che, nel rispetto del regolamento, comprensivo di colpi bassi, s’intende, ha presentato un emendamento «grimaldello» capace (una volta approvato nella giornata di oggi) di azzerare 18 delle 19 votazioni segrete pur concesse da Grasso sui temi etici, della famiglia e della salute.
La diciannovesima votazione segreta, l’unica sfuggita al «mini canguro» di Cociancich, è stata affossata a voto palese dalla maggioranza che ha toccato quota 171 (con 4 differenziazioni nel Pd: Casson, Chiti, Mineo e Tocci) grazie anche l’innesto dei 13 verdiniani. Quota 171, però, c’è grazie anche ai 25-26 esponenti della minoranza Dem che già si allenano col pallottoliere in vista delle votazioni sull’elezione del presidente della Repubblica e sulla norma transitoria della riforma (quella, per, intenderci, che in assenza di una norma attuativa manderà al Senato, in prima battuta, i consiglieri regionali ora in carica nei vari angoli della Penisola)
Contro Cociancich sono volate parole molto grosse dai banchi delle opposizioni. «Macelleria parlamentare» (Bonfrisco), «Jhiadista della maggioranza (Di Maggio), «Prestanome», (Candiani), «Cociancich alzi la mano così la riconosciamo ( Romani)», «La paura fa 90 e la paura di non essere riletti fa 91 (Centinaio). Al capogruppo dem Luigi Zanda è toccato difendere il collega, definito «un vero gentiluomo», e poi attaccare con inusitata foga oratoria le opposizioni: «Voi, le riforme non le volete!!!».
Molto critiche le opposizioni (da Mario Mauro a Loredana De Petris, passando per l’intero gruppo grillino per e l’ex grillino Francesco Campanella) perché «la truffa dell’emendamento Cociancich» (la definizione è di Calderoli) ha spuntato le armi utilizzabili in aula..
La minoranza del Pd, pacificata dopo il lodo Finocchiaro, sapeva. Era al corrente del «colpo basso» in arrivo ma non ha avvertito gli ex «compagni di squadra». Per cui Lega, Fi, M5S e Sel per ben 7 giorni sono rimaste «al buio», senza fasciolo degli emendamenti, impossibilitate a scovare il testo del mini canguro. Poi la sorpresa, in aula: è spuntato l’emendamento «in sonno» targato Cociancich sul quale il ministro Maria Elena Boschi ha dato prontamente parere favorevole.
Svelato l’inganno, il clima è diventato rovente. Ma anche mesto, come ha osservato De Cristofaro (Sel). E Grasso, dopo una giornata iniziata con Renzi al funerale di Pietro Ingrao, che alcuni definiscono l’«incontro del disgelo», a sera non aveva un’espressione serena. «Voi avete un ghigno furbetto — ha sintetizzato il grillino Endrizzi rivolto ai senatori del Pd — il presidente Grasso è livido ».
Dino Martirano
REPUBBLICA DI STAMATTINA
DE MARCHIS E CASADIO
IL RETROSCENA
ROMA.
I diciannove voti segreti ammessi dal presidente del Senato sulla riforma costituzionale hanno fatto scattare l’allarme a Palazzo Chigi. E il clima da battaglia in aula ha fatto il resto. Nelle stanze del governo quindi si è riaffacciata l’idea di usare l’arma finale: il voto di fiducia. Finora solo una minaccia, ma fra le misure eccezionali annunciate qualche giorno fa dalla ministra Boschi per condurre in porto la legge, l’ipotesi di mettere in gioco la sorte dell’esecutivo e di Matteo Renzi non viene scartata. Anche se ieri nel primo giorno di votazione i numeri sono parsi tranquilli, il premier non si fida né della sua maggioranza, Pd compreso, né delle mosse di Pietro Grasso.
Alla Boschi è stato affidato quindi un mandato esplorativo. Prima dei funerali di Ingrao, la ministra e il presidente del Senato hanno avuto un incontro. Maria Elena Boschi ha chiesto rassicurazioni sul tabellino di marcia, Grasso ha confermato l’intenzione di valutare articolo per articolo l’ammissibilità della valanga di emendamenti e le richieste di voto segreto. D’altra parte il buongiorno si vede dal mattino, ed è subito chiaro che non ci sarebbero stati sconti nel percorso insidioso della legge. Evidente che Grasso avrebbe ammesso i voti segreti. Spunta così l’emendamento del dem Roberto Cociancich, grazie al quale la maggioranza e il governo “blindano” l’articolo 1, quello che disegna le funzioni del nuovo Senato. Una fiducia di fatto, l’hanno definita le opposizoni nella gazzarra che si è scatenata in aula all’annuncio e che proseguirà stamani nel momento in cui sarà messo ai voti.
Il governo ha sparato la sua prima cartuccia. Ma si avvicina il voto sul cuore della riforma, ovvero su come saranno eletti i nuovi senatori. All’articolo 2 può spuntare un nuovo emendamento stile Cociancich? Difficile. Perciò i timori del governo sono concentrati su quella che Renzi definisce l’ennesima «forzatura » compiuta da Grasso: ammettere la possibilità di modificare ulteriormente il testo dell’accordo raggiunto dentro il Pd e sintetizzato in un emendamento a firma Anna Finocchiaro. Il presidente del Senato ha infatti aperto a sub emendamenti, come chiesto da forzista Romani. Una procedura che di solito viene riservata solo alle correzioni proposte dal governo o dal relatore del provvedimento, che in questo caso non c’è.
Il punto è che potrebbe nascondersi, dietro quest’apertura, il pericolo di altri voti segreti. Il governo vuole evitarli a tutti i costi. Se non si troverà una soluzione tecnica che metta al riparo l’articolo 2 e il patto tra Renzi e Bersani, la minaccia della fiducia — ancora sullo sfondo — può farsi concreta.
È tutto un gettare acqua sul fuoco. Ma il Pd e il governo attrezzano la trincea: l’ok al terzo passaggio parlamentare della riforma della Costituzione deve avvenire entro il 13 ottobre, prima della legge di stabilità. Solo ieri mattina ci sono state quattro riunioni con il capogruppo Luigi Zanda, Boschi, Finocchiaro, il sottosegretario Pizzetti, Tonini, Russo. Sono servite a studiare le contromosse nella navigazione a vista che Grasso ha imposto al percorso della legge e che il Pd continua a non digerire. Come dimostra anche il dialogo a monosillabi tra Renzi e il presidente del Senato seduti accanto ai funerali di Ingrao.
Con la sinistra del Pd il clima si è molto rasserenato. Le prime votazioni di ieri hanno certificato che l’accordo regge. Però anche i piccoli segnali vengono tenuti sotto controllo. I “no” di Corradino Mineo, Felice Casson e Walter Tocci erano scontati. Meno quello di Vannino Chiti, convinto che i temi etici siano materia su cui si debba pronunciare anche il futuro Senato delle Regioni, e che perciò su questo ha votato in dissenso, con le opposizioni. L’intesa rischia di perdere altri pezzi? Se ne è parlato in una riunione di coalizione con Zanda, Schifani e Zeller (Autonomie). Calcolando anche i maldipancia dell’Ncd, che ieri ha dovuto riunire i senatori per serrare le file, si comprende che il grande margine di vantaggio ottenuto con i voti palesi non è poi così solido. E un passaggio a scrutinio segreto potrebbe svelarne la fragilità.
LA STAMPA DI STAMATTINA
Tutto quello che sta accadendo in aula, nella guerra tra canguri, emendamenti e algoritmi, ha dietro le quinte un lavoro sapiente e certosino. È il lavoro oscuro ma essenziale dei funzionari, documentaristi e informatici del Senato che inventano le soluzioni tecniche per sventare le trappole che le opposizioni dissemina lungo il percorso della madre di tutte le riforme. Ferie saltate ad agosto per centinaia di persone, un tour de force che è continuato in questi ultimi sei giorni fino alle tre di notte per dare un numero ai milioni di emendamenti del leghista Calderoli cestinati dal presidente Grasso. Un piccolo esercito di uomini e donne a capo del quale ci sono il segretario generale Elisabetta Serafini e il suo vice Federico Toniato che è stato il braccio destro di Monti a Palazzo Chigi.
Quel posto di segretario generale della presidenza del Consiglio ora è occupato da Paolo Aquilanti, un distinto signore dai capelli bianchi che ieri si aggirava tra il Transatlantico di Palazzo Madama e la sala del governo. Teoricamente e formalmente né lui né lo staff di grand commis del ministro Boschi (Ciuffetti, Ceresani e Rubechi) avevano titolo per trovare il modo di evitare il voto segreto sull’articolo 1 che poi si è trasformato nell’emendamento fatto firmare al senatore Pd Roberto Cociancich. Materia parlamentare, non di competenza governativa. Eppure erano tutti lì. Aquilanti è stato uno dei principali ideatori di quell’emendamento che ha scatenato l’ira dell’opposizione contro Cociancich.
«Sono qui di passaggio». Infilandosi nella sala del governo, non dice altro Aquilanti, che di Palazzo Madama e del suo regolamento sa tutto. «È un mago», confida Quagliariello, ex ministro delle Riforme, ai senatori Ncd. Per 15 anni è stato consigliere segretario della commissione Affari costituzionale da cui passa tutto. Poi la Boschi se l’è portato con sè al ministero ed è diventato capo dipartimento dei rapporti con il Parlamento. Infine a Palazzo Chigi, uomo di fiducia del premier Renzi. Insomma, è l’artiglieria pesante quella che ieri (e nei prossimi giorni) è scesa in campo accanto al presidente Grasso. Tra l’altro, visto il suo curriculum, nei confronti di Aquilanti nessuno dei funzionari del Senato può avere qualcosa da ridire, mentre per il cerchio stretto di origine renziana non c’è mai stato feeling. Collaborare con chi ti sta declassando a Senato delle Autonomie non è piacevole: è come il tacchino che accende il forno natalizio. E quindi si era parlato di una struttura che avrebbe remato contro. Invece anche loro hanno tirato fuori l’artiglieria, dando una prova di orgoglio e di efficienza.
Non possono parlare con i giornalisti: devono avere l’autorizzazione dal segretario generale. Non parlano il responsabile dell’assemblea Edoardo Sassoli e il consigliere della Affari costituzionali Alessandro Goracci. Ma nell’anonimato, sui parquet che scricchiolano e sulla fuga dei tappeti rossi ai piani degli uffici, qualcuno si lascia andare. «Ad agosto non abbiamo fatto un giorno di ferie. Mia moglie era imbufalita». Particolarmente orgogliosi i funzionari del servizio informatico guidato da Mauro Fioroni. «Siamo riusciti a neutralizzare l’algoritmo di Calderoli con un nostro software: una grande esperienza professionale». «E’ vero, in futuro le nostre competenze saranno al servizio di un Senato declassato, ma svolgeremo il nostro lavoro fino all’ultimo secondo». Vita da grand commis.