VARIE 30/9/2015, 30 settembre 2015
APPUNTI PER GAZZETTA - BOMBARDAMENTO RUSSO SULLA SIRIA
La Russia ha dato il via ai raid aerei in Siria. La notizia, diffusa dall’amministrazione americana e poi confermata da Mosca, arriva a poche ore di distanza dall’approvazione da parte del Parlamento russo dell’uso delle truppe in Siria come richiesto nei giorni scorsi dal presidente Vladimir Putin. Una giornata di intensi bombardamenti, concentrati nella zona di Homs, intorno a cui però stanno già sorgendo polemiche. La Russia sostiene di aver avvertito il comando Usa a Bagdad dell’imminente azione affinché non si intralciassero le rispettive operazioni militari e alti funzionari americani hanno confermato di essere stati avvisati in anticipo dei raid dalle autorità russe, aggiungendo però che le operazioni americane continuano regolarmente. E il dipartimento di Stato ha annunciato ufficialmente che gli Stati Uniti continueranno a volare sulla Siria durante le operazioni russe.
Obiettivi dei raid. Secondo la Tass, gli attacchi russi sono avvenuti in zone controllate dall’Is, ma esponenti dell’opposizione denunciano che i bersagli dei raid russi sono gli stessi di quelli già condotti dall’aviazione governativa di Assad, ovvero le zone controllate dai gruppi ribelli "moderati" e non quelle dei jihadisti. Samir al-Nashar, membro della Coalizione nazionale siriana, ha affermato che i raid hanno colpito le zone di Talbisah e al-Rasatan, a nord di Homs, nel centro della Siria, sostenendo che in queste aree non si rileva la presenza né dell’Is né di gruppi legati ad al-Qaeda. Il bilancio dell’attacco - dicono gli attivisti di Homs citando testimoni oculari - è di almeno cinque civili uccisi, tra cui bambini. Uno degli attacchi aerei avrebbe colpito case abitate da civili a Zaafaraniya, a nord della città siriana. In precedenza l’Osservatorio siriano per i diritti umani, ong con sede in Gran Bretagna legata agli attivisti delle opposizioni, aveva denunciato l’uccisione di "almeno 27 civili e il ferimento di altre decine in raid aerei dei caccia del regime" di Assad contro le "città di al-Rasatan e Talbisah e il villaggio di al- Zàfaranah".
La presa di posizione più dura sull’azione coordinata Assad-Putin arriva dalla Francia. Il ministro degli Esteri Laurent Fabius accusa: "Esistono indicazioni del fatto che le incursioni russe non hanno preso di mira il Daesh", (l’acronimo che in lingua araba equivale a Is). "Sarà pertanto necessario verificare quali ne fossero gli obiettivi". E Parigi torna a insistere per la fine dei bombardamenti governativi contro i civili in Siria, nei quali siano impiegati i barili-bomba o agenti chimici quali il cloro: "Questa cosa deve cessare", ha intimato Fabius. "Il Consiglio di Sicurezza deve mettere al bando in Siria una volta per tutte l’utilizzo di barili-bomba carichi di esplosivi e del cloro".
La Russia smentisce però che gli obiettivi dell’intervento di oggi siano diversi da quelli dichiarati. Ne aveva parlato il presidente Putin, a poche ore dal suo incontro con il presidente americano Obama: "Non aspettiamo di trovarci l’Is in casa per combatterlo", ha detto Putin, "l’unico modo per combattere il terrorismo internazionale e in Siria e nei paesi limitrofi, è agire in contropiede, combattere e distruggere i combattenti e i terroristi già sui loro territori, non aspettare che arrivino a casa nostra". Per risolvere la crisi siriana, ha aggiunto Putin, Bashar al-Assad deve assumere una "posizione attiva e flessibile" e deve essere pronto "per i compromessi nel nome del suo paese e del suo popolo. Servono le riforme politiche e il dialogo tra tutte le forze sane del paese".
Il capo dell’amministrazione presidenziale, Serghiei Ivanov, ha specificato che la Russia userà solo forze aeree e che l’intervento è stato giustificato dalla richiesta di aiuto militare formulata dal presidente Assad. Il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov ha poi affermato che la Russia sarà "l’unico paese" a intervenire militarmente in Siria contro l’Is nel rispetto del diritto internazionale.
In realtà, la stampa inglese nei giorni scorsi aveva già confermato la presenza di truppe russe in territorio siriano attraverso un video di tre minuti diffuso dalla tv di Stato siriana che mostra un blindato armato per il trasporto delle truppe tra i più avanzati di Mosca.
Raid francese. L’attività militare nell’area è altissima, e la Russia non è il primo Paese ad intervenire. Sarebbe di 30 jihadisti morti e 20 feriti il bilancio del primo raid aereo lanciato dalla Francia contro l’Is. La notizia è stata diffusa da una Ong, che ha specificato tra le vittime dell’attacco francese a un campo di addestramento ci sono anche 12 bambini soldato. "Il raid francese contro un campo di addestramento dell’Is nell’est della Siria ha ucciso trenta combattenti dell’Is, tra i quali dodici ’cuccioli del califfato’", ha fatto sapere Rami Abdel Rahmane, direttore dell’Osservatorio siriano dei diritti umani. Rahman ha aggiunto che tra le vittime ci sono anche combattenti dell’Is stranieri. Il campo preso di mira si trovava in una piantagione di palme presso la città di Al Jalaa, nella provincia di Deyr az Zor, vicino al valico di confine di Albu Kamal utilizzato dall’Is per collegare la parte siriana e quella irachena dell’autoproclamato califfato.
Kerry e Lavrov. Anche dopo l’inizio dei raid russi il canale di dialogo Washington-Mosca resta apertissimo. Oggi il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov ha avuto una conversazione telefonica con il segretario di Stato americano John Kerry. I due hanno ovviamente discusso della questione siriana e delle strategie militari. Fonti americane, però, riferiscono delle perplessità manifestate da Kerry circa le iniziative russe: "Mosca si muove contro l’asserita volontà di una de-escalation" in Siria, avrebbe detto Kerry al suo collega russo, "Ciò che accade non aiuta in questa direzione".
Risoluzione Onu da Mosca. Le iniziative russe riguardano anche la sfera diplomatica: il governo di Mosca si appresta a presentare al Consiglio di Sicurezza Onu una bozza di risoluzione per costruire una coalizione anti-Is che includa il presidente siriano Assad e l’Iran. La bozza esorta a lottare contro i gruppi estremisti "in coordinamento con i governi degli stati colpiti". Ma l’appello russo non trova l’appoggio del grande blocco dei paesi arabi, tra cui l’Arabia Saudita e gli altri paesi del Golfo, che hanno escluso ogni cooperazione con l’alleanza militare auspicata dalla Russia ribadendo il sostegno ai ribelli impegnati a rovesciare il presidente siriano Assad, appoggiato da Mosca e Teheran. "Non c’è futuro per Assad in Siria - ha detto il ministro degli Esteri saudita, Adel al-Jubeir- con tutto il rispetto per i russi o per chiunque altro".
Italia, Gentiloni: "Spiragli". L’evoluzione della crisi con i raid russi viene valutata positivamente dalla Farnesina. Secondo il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni "In Siria in queste ore si sta creando uno spiraglio di via di uscita". Comunque, ha ribadito Gentiloni, "non si esce da questa tragedia umanitaria con qualche operazione militare. Si esce con una transizione politica che consenta la fuoriuscita dal regime siriano, senza però la creazione di un vuoto, che verrebbe solo riempito dal Daesh. Questa consapevolezza si sta facendo strada. Restano distanze, ma può esserci un punto di convergenza tra Usa e Russia. Biosgna evitare una fuoriuscita dal regime alla maniera della Libia, in cui dal vuoto nasce il caos, o alla maniera del dopo Saddam, in cui dal vuoto nasce Daesh".
Anche il premier Matteo Renzi è intervenuto sulla crisi, durante il question time alla Camera: "Il nostro punto di riferimento rimane la posizione dell’Onu delineata da De Mistura. Non cambieremo la politica estera filoatlantica. È positivo che i presidenti degli Stati Uniti e della Russia siano tornati a parlarsi. L’Italia si muove nel solco delle iniziative dell’Onu". Tuttavia, ha aggiunto il premier, restano "forti preoccupazioni", anche a causa delle iniziative militari francesi.
Processo ad Assad. La magistratura francese ha aperto un’inchiesta per "crimini di guerra" contro il regime siriano di Bashar al Assad. L’indagine preliminare è partita il 15 settembre. L’inchiesta riguarda presunti crimini commessi dal regime di Damasco tra il 2011 e il 2013 e si basa sulla testimonianza di un ex fotografo della polizia militare siriana, fuggito dal Paese nel 2013 con 55mila fotografie comprovanti gli abusi e le brutalità commesse nel corso del conflitto.
Iraq. La battaglia contro l’esercito islamico prosegue anche in Iraq: le forze curde hanno lanciato stamattina un’offensiva contro lo Stato islamico nel nord del paese, nel tentativo di prendere il controllo delle alture di al-Gurra, a ovest di Kirkuk. Le alture si trovano nella direzione di Hawijah, bastione dello Stato islamico. I curdi hanno preso il pieno controllo di Kirkuk l’estate scorsa, quando i soldati iracheni hanno abbandonato le loro basi all’interno di Kirkuk e intorno mentre lo Stato islamico avanzava prendendo il controllo di circa un terzo del Paese. Da allora i peshmerga hanno ampliato il cuscinetto intorno alla città lanciando una serie di offensive e liberando oltre 530 chilometri quadrati di territorio negli ultimi sei mesi, secondo quanto riporta il consiglio regionale di sicurezza. L’Is, dal canto suo, non è stato in grado di riguadagnare terreno a scapito dei peshmerga da quando la coalizione guidata dagli Usa ha cominciato i bombardamenti.
Ostaggi turchi liberati. Intanto il primo ministro turco, Ahmet Davutoglu, ha annunciato la liberazione degli ultimi sedici cittadini turchi che lavoravano per
una società di lavori pubblici, sequestrati a inizio mese a Baghdad da un gruppo armato sconosciuto. "I nostri sedici operai sono stati appena accolti dal nostro ambasciatore a Baghdad. Prepariamo il loro ritorno in Turchia", ha scritto Davutoglu sul suo profilo ufficiale Twitter.
PERCHÈ È BENE ADOPERARE IL TERMINE DAESH
By Zeba Khan October 09, 2014
The militants who are killing civilians, raping and forcing captured women into sexual slavery, and beheading foreigners in Iraq and Syria are known by several names: the Islamic State in Iraq and al-Sham, or ISIS; the Islamic State in Iraq and the Levant, or ISIL; and, more recently, the Islamic State, or IS. French officials recently declared that that country would stop using any of those names and instead refer to the group as “Daesh.”
The Obama Administration should switch to this nomenclature, too, because how we talk about this group is central to defeating them.
Whether referred to as ISIS, ISIL, or IS, all three names reflect aspirations that the United States and its allies unequivocally reject. Political and religious leaders all over the world have noted this. French Foreign Minister Laurent Fabius said, “This is a terrorist group and not a state. . . the term Islamic State blurs the lines between Islam, Muslims, and Islamists.” President Obama made similar remarks saying, “ISIL is not Islamic . . . and [is] certainly not a state.”
Muslim scholars around the world have denounced the group’s attempt to declare a caliphate. Egyptian Islamic theologian Yusuf al-Qaradawi published an open letter to Muslim scholars explaining, “A group simply announcing a caliphate is not enough to establish a caliphate.” The Syrian Sufi leader Muhammad al-Yacoubi called the group’s declaration “illegitimate” and that supporting it was “haram,” or forbidden.
The term “Daesh” is strategically a better choice because it is still accurate in that it spells out the acronym of the group’s full Arabic name, al-Dawla al-Islamiya fi al-Iraq wa al-Sham. Yet, at the same time, “Daesh” can also be understood as a play on words — and an insult. Depending on how it is conjugated in Arabic, it can mean anything from “to trample down and crush” to “a bigot who imposes his view on others.” Already, the group has reportedly threatened to cut out the tongues of anyone who uses the term.
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Interactive: Mapping ISIS
The Islamic militant group gained notoriety during the Syrian uprising, attracting foreign fighters and capturing strategic areas.
Jeff Jacoby: Why beheading?
Editorial: Save Kobani from militants
Linda Bilmes: Where’s the US financial strategy in fight?
Why do they care so much? The same reason the United States should. Language matters.
With some 30,000 to 50,000 fighters, Daesh is a relatively small group, and propaganda is central to its growth strategy. Whether hijacking popular Twitter hashtags or using little known distribution channels to post videos to YouTube, their leadership knows that the war of words online is just as key to increasing its power and influence as the actual gruesome acts they commit on the ground.
By using the militants’ preferred names, the US government implicitly gives them legitimacy. But referring to the group as Daesh doesn’t just withhold validity. It also might help the United States craft better policy.
A number of studies suggest that the language we use affects the way we think and behave. By using a term that references the Arabic name and not an English translation, American policy makers can potentially inoculate themselves from inherent biases that could affect their decision making. A University of Chicago study last year showed that thinking in a foreign language actually reduces deep-seated, misleading biases and prevents emotional, unconscious thinking from interfering with systematic, analytical thinking.
Changing what the United States calls this band of militants is not going to make them go away. Yet we also know from over a decade of war that military tactics do not stamp out extremism either. As the prominent Muslim sheikh Abdullah bin Bayyah recently said after issuing a fatwa against the group, “The problem is that even if you defeat these ideas militarily by killing people, if you don’t defeat the ideas intellectually, then the ideas will reemerge.”
The State Department understands this and recently launched a more sophisticated digital war to combat the ideas espoused by the group on Facebook, Twitter, and YouTube. Building out a savvy online campaign is a step in the right direction, but the United States is weakening the potency of its own messaging if it continues to refer to the group as ISIL.
American officials should not be in the business of telling Muslims at home or abroad who is or isn’t Muslim. Nonetheless, by reframing how we talk and think about these violent extremists, we can support the chorus of Muslim scholars who are intellectually pushing back on Daesh’s religious claims, the scores of Muslims around the world who have publicly rejected the group, and, ultimately, the silent majority of more than 1 billion Muslims who are as likely to reject the heinous actions of Daesh as we are.