Michele Ciavarella, Style 29/9/2015, 29 settembre 2015
LA MIA MODA È UN MESSAGGIO
[Riccardo Tisci, direttore creativo di Givenchy]
Dopo dieci anni può dire di aver portato un marchio storico a confrontarsi con l’attualità, usandole armi proprie di un direttore creativo: ha inventato uno stile attraverso il quale ha permesso la nascita di vere tribù – numerose, mutevoli e fedeli – di donne e uomini che credono nell’ineluttabilità della moda. Riccardo Tisci celebra i suoi primi dieci anni a capo di Givenchy con risultati eccezionali che riguardano sia lo stile sia il business, attraverso un progetto circolare che guida il suo modo di intendere la moda nella Haute Couture e nel prêt-à-porter, femminile e maschile. Ma è nella moda maschile che la forza della visione di Tisci ha portato lo stravolgimento di un punto di vista originale che può dare il via a quell’opera di trasformazione che rende il cambiamento visibile a tutti. E, infatti, si può tranquillamente affermare che nella moda maschile esiste un «prima di Givenchy» e un «dopo Givenchy».
Tisci appare molto consapevole dei risultati. E quando gli si chiede se questo cambiamento che ha portato nella moda maschile, negli ultimi sette anni passati da Givenchy, è frutto di un pensiero iniziale, lui risponde che il suo progetto è nato da una necessità. «In realtà, non volevo fare la moda maschile da Givenchy. Sono stato assunto per fare la moda femminile, Haute Couture e prêt-à-porter. Dopo tre anni l’azienda ha insistito perché mi prendessi cura anche dell’uomo. Ci ho pensato un bel po’ e infine ho accettato la sfida». Incoscienza? No. Determinazione. E metodo. «Mi sono imposto di avere un approccio naif con quanto c’era già, osservando con occhi disincantati. È così che ho capito che dovevo costruire un’identità molto forte che, a partire dagli abiti, arrivasse a formare la personalità dell’uomo Givenchy. Volevo un uomo più «healthy», più latino e, visto che sono pugliese, con quell’aria di elegante spavalderia che hanno i giovani meridionali. Nel mio viaggio di ricerca, dall’Europa a Cuba, sono rimasto colpito da quel mondo in cui i ragazzi giocano a calcio per strada indossando le sneakers, i bermuda e, con assoluta normalità, la camicetta a fiori della sorella. Secondo me, soprattutto loro corrispondono a una tipologia di uomo che possiede una grande consapevolezza della propria sessualità, a prescindere dalle scelte sessuali, e capace di adottare un guardaroba naturale, quello che sa unire il formale con il casuale».
E sono nati così i capi iconici di Givenchy Uomo, quelli che oggi costituiscono la riconoscibilità del marchio. Li elenca lui, con qualche omissione dovuta al breve tempo a disposizione: «Bomber, bermuda, T-shirt, gonna, tuxedo e abito classico, felpa». Sì, la felpa dell’urban style che diventa glamour: quelle con le stampe della testa del rottweiler, delle immagini sacre o gotiche. E la gonna, quel kilt re-inventato che ha convinto anche i rapper a indossarla; Kanye West è stato, forse, solo il primo. Il bomber che, dal suo trattamento, esce trasformato ma riconoscibile; i bermuda che si allungano e si allargano assumendo sempre più la forma dei pantaloncini da basket ma che si ricongiunge a quella della gonna; la T-shirt che prende la dignità di un piece of art, disegnata, stampata, serigrafata. E il tuxedo, perfetto nel taglio, drammaticamente glamorous.
Ma soprattutto la stampa che, fa strano dirlo, è un argomento difficile nella moda maschile. Come ha fatto a portata alla normalità dell’uso? «Tutta l’umanità, in questo periodo, ha bisogno di identità. E che cosa può dare l’identità? L’appartenenza a un gruppo, a una gang, una tribù. L’identità è come un passaporto. E una stampa molto riconoscibile su un maglione è come avere un passaporto quando ci si trova in un aeroporto» dice Tisci. Che ha ben presente che cosa è successo alla sua felpa con il rottweiler: è diventata una bandiera, oltre che un passaporto. Un vessillo, un messaggio simile a quelli che Tisci ha lanciato in dieci anni di lavoro da Givenchy, dal discorso sul genere a quello della lotta alla violenza sulle donne. Del primo, la rappresentazione è nella collaborazione con Lea T., la prima transgender diventata top model. Del secondo ne è testimonianza il lavoro con Antony Hegarty (Antony and the Johnsons) che ha raggiunto momenti di grande impegno con il testo e la perfomance alla sfilata del 4 marzo 2013, un evento che ha commosso i presenti. «La moda ha una missione che va oltre alla vendita di abiti e borse. Credo di aver inviato messaggi di intelligenza. Sono contento di averlo fatto, anche se il mondo non è cambiato. Soprattutto oggi che tutti ci crediamo moderni perché usiamo la tecnologia, ma con i contenuti culturali del passato». Tisci è uno che parla chiaro. E procede spedito. Ultimamente ha sfilato a New York (la prima volta per Givenchy) e ha inaugurato due boutique su suo progetto, a New York e a Milano. E poi? «Credo che interverrò di nuovo sull’uomo: voglio regalargli la logomania Givenchy».