Tino Oldani, ItaliaOggi 30/9/2015, 30 settembre 2015
«DALLA PARTE DELLE PROSTITUTE»: FINALMENTE UN TEMA ECCITANTE SOLLEVATO DAI BOCCONIANI, PER LIBERALIZZARE IL SESSO A PAGAMENTO
Una volta tanto, mettendo da parte le noiose diatribe sugli 80 euro e il Jobs act, il sito degli economisti bocconiani la voce.info ha sorpreso i lettori con un tema originale, schierandosi «dalla parte delle prostitute». Merito di una interessante ricerca di due professoresse, Marina Della Giusta (capo del Dipartimento economico presso l’università inglese di Reading) e Maria Laura Di Tommaso (docente di Scienze politiche a Torino). In breve: con una recente risoluzione, Amnesty International si è dichiarata a favore della completa «decriminalizzazione della prostituzione», nonché contraria a politiche di criminalizzazione sia della domanda che dell’offerta del sesso a pagamento. A ruota, in agosto anche l’Economist ha sposato la stessa tesi, con una propria inchiesta, per la completa liberalizzazione di questo mercato. Una tesi che le due ricercatrici italiane hanno sottoposto al vaglio di un’indagine su un campione internazionale di 1.074 donne, per loro ammissione oggetto di sfruttamento sessuale.
Risultato: «La criminalizzazione del fenomeno peggiora la situazione delle prostitute, oltre a rendere più difficile anche la lotta contro la tratta e lo sfruttamento sessuale dei minori». Per contro, «non c’è nessuna evidenza che la decriminalizzazione faccia aumentare la domanda di sesso a pagamento, anche perché, nei regimi dove la prostituzione è criminalizzata, la domanda non è quantificabile. C’è invece molta evidenza che il benessere dei lavoratori e delle lavoratrici nel mercato del sesso migliora dove la prostituzione è decriminalizzata, in confronto a quelli in cui è criminalizzata». Per questo, la tesi di Amnesty è da condividere.
Quanto all’Italia, le due ricercatrici si limitano a ricordare che in Parlamento giacciono diverse proposte di legge sulla prostituzione, ma il loro esame non è mai iniziato, e nulla fa pensare che ciò possa accedere in tempi brevi. Il tema merita tuttavia un approfondimento, che ho cercato di fare per mettere a fuoco le grandi differenze tra i Paesi europei nella regolamentazione del sesso a pagamento. Ecco, per cominciare, alcuni dati.
Le stime dicono che nove milioni di italiani vanno abitualmente a prostitute, che queste ultime sono tra 50 e 70 mila, per un giro d’affari in nero che oscillerebbe tra due e sei miliardi di euro. In pratica, un fatturato pari alla riduzione fiscale promessa per il 2016 da Matteo Renzi. La caratteristica principale di questo mercato è di trovarsi sospeso in un limbo giuridico, tra legalità e proibizionismo. La legge italiana, infatti, non punisce penalmente la prostituzione, ma condanna il favoreggiamento, l’induzione, lo sfruttamento, la prostituzione minorile. I risultati negativi sono sotto gli occhi di tutti: su 70 mila prostitute, il 65% esercita in strada (non è reato), però con un crescendo di reati a loro danno, che si sommano allo sfruttamento e alle violenze dei papponi: furti, rapine, pestaggi, stupri e omicidi. Senza contare che la mancanza di controlli sanitari sta creando numerosi problemi, con la diffusione di patologie gravi, come l’Hiv.
Nel tentativo migliorare la situazione, solo nel 2015 sono state presentate in Parlamento ben quattro proposte di legge di iniziativa parlamentare, che si aggiungono ad altre sei del 2014, caratterizzate da orientamenti opposti: alcune propongono di legalizzare e decriminalizzare la prostituzione (per esempio, Maria Spillabotte, senatrice Pd); altre puntano a criminalizzare la domanda, cioè i clienti (Lucio Romano, senatore del gruppo Autonomie). Queste due tendenze, in buona sostanza, rispecchiano le leggi di cui gli altri paesi europei si sono dotati da tempo. Da un lato vi sono quelli in cui la prostituzione è decriminalizzata da tempo, come l’Olanda, dove dal Duemila è un’attività legale. Oppure come la Germania, che è il Paese europeo con il maggior numero di prostitute (400 mila), ed ha equiparato la prostituzione a qualsiasi altro lavoro, con l’obbligo di registrarsi, pagare le tasse e rispettare l’uso del preservativo. Perfino la cattolica Spagna ha regolamentato il mercato del sesso, al pari di Ungheria, Austria, Grecia, Lettonia, Svizzera e, in parte, l’Inghilterra.
Poi vi sono i Paesi scandinavi, dove l’approccio alla prostituzione è di tipo «neo-proibizionista»: in Svezia, Islanda e Norvegia la legge criminalizza il cliente, in quanto considera la prostituzione una violenza sulla donna. Una politica repressiva (chi è sorpreso a cercare sesso a pagamento, viene pedinato e fotografato dalla polizia, e la foto spedita a casa), che ha fatto sparire la prostituzione locale, facendo però fiorire quella nei Paesi vicini.
A conti fatti, entrambi i modelli seguiti hanno ridotto di molto il numero dei reati legati al mercato del sesso e migliorato le condizioni di sicurezza e sanitarie, sia per le prostitute che per i clienti. In Italia, invece, l’attuale contesto giuridico continua a fare pagare un prezzo elevato in termini di criminalità, violenza, degrado e diffusione delle malattie. Un prezzo decisamente superiore, soprattutto a carico delle donne, rispetto ai Paesi europei che hanno compiuto una scelta netta in materia. Ma visto che Papa Francesco dice che «la Chiesa è donna», vale la pena di continuare con il limbo giuridico che penalizza proprio il gentil sesso?
Tino Oldani, ItaliaOggi 30/9/2015