Marcello Bussi, MilanoFinanza 30/9/2015, 30 settembre 2015
GERMANIA, INCOMBE LA DEFLAZIONE
Non bastava lo scandalo Volkswagen: sulla Germania torna a incombere lo spettro della deflazione, che potrebbe costringerla ad accettare politiche totalmente opposte a quelle propugnate finora. A settembre, infatti, l’inflazione ha segnato un -0,2% rispetto ad agosto, mentre su base annua è tornata a quota zero a settembre, dopo il +0,2% registrato nel mese precedente.
Con i prezzi delle commodity in continua diminuzione, il rallentamento della Cina e la crisi di molti Paesi emergenti, è davvero difficile che nei prossimi mesi la Germania riesca a sfuggire alle grinfie della deflazione. Anche perché a sette mesi dal suo lancio, l’effetto del Qe su questo fronte è stato nullo. «In tali condizioni», ha osservato Filippo Diodovich, strategist di IG, «crediamo che Mario Draghi sia intenzionato ad aumentare gli acquisti di titoli governativi da parte della Bce. È molto probabile che una decisione del Consiglio possa essere presa nei prossimi due meeting» del 22 ottobre a Malta o del 3 dicembre a Francoforte. Per Diodovich sarà comunque importante valutare prima le cifre sull’inflazione (e disoccupazione) di Eurolandia che saranno pubblicate questa mattina. Sabine Lautenschlaeger, membro tedesco del comitato esecutivo della Bce, ha dichiarato che «è troppo presto per discutere di un ampliamento del Qe, dal momento che lo scenario di base è ancora intatto». Ma la sua sembra una presa di posizione dettata più dall’ideologia che dalla realtà dei fatti. Anche perché, se la Federal Reserve aumentasse i tassi d’interesse entro la fine dell’anno, molti Paesi emergenti salterebbero in aria. Non a caso, ieri il Fondo monetario internazionale (Fmi), ha avvertito che «nel processo di normalizzazione della politica monetaria negli Stati Uniti, una buona comunicazione e l’attenzione agli sviluppi della liquidità nei mercati saranno importanti per evitare interruzioni nella liquidità dei mercati nelle economie avanzate ed emergenti». Visto che la Germania basa la sua potenza economica sulle esportazioni, un peggioramento della crisi degli emergenti, che andrebbe ad aggiungersi alla stagnazione economica dei Paesi dell’Europa mediterranea dovuta alle politiche di austerità imposte proprio da Berlino, metterebbe in grande difficoltà la prima economia europea, che già deve vedersela con l’incognita delle conseguenze dello scandalo Volkswagen. Il Fmi ha quindi sottolineato che «fattori ciclici come l’incertezza globale e l’avversione al rischio possono cambiare rapidamente, come risultato per esempio di una normalizzazione agitata della politica monetaria Usa, di inattesi sviluppi nell’area euro o di eventi geopolitici». Le prospettive, quindi, non sono rosee. Ma lo spazio d’azione della Bce è limitato: l’unica cosa che può fare è aumentare gli acquisti di bond, che ora avvengono al ritmo di 60 miliardi di euro al mese. Per farlo dovrebbe allargare la platea degli emittenti alle società private (al momento l’istituto di Francoforte compra bond emessi da società con una rilevante partecipazione dello Stato, come per esempio Enel). Ma la verità è che quella del Qe è un’arma ormai spuntata. A meno che la liquidità non venga iniettata direttamente nei conti correnti degli individui, come ha affermato nemmeno troppo provocatoriamente il gestore di hedge fund Paul Marshall. Una soluzione che susciterebbe molte perplessità, facile immaginare la reazione del presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, che proprio ieri ha proclamato: «Le politiche monetarie espansive non devono durare più dello stretto necessario». Secondo il numero uno della Buba, i tassi di interesse troppo bassi della Bce rischiano di «guastare» i mercati finanziari e consentono a società «zombie di restare a galla, invece di essere tagliate come rami secchi». Weidmann ha criticato anche l’impatto negativo sui risparmiatori tedeschi, che ottengono interessi troppo bassi sui loro depositi.
Resta il fatto che la Germania sembra l’unico Paese al mondo a non preoccuparsi della bassa crescita dell’economia. Secondo Steven Englander, capo delle strategie valutarie di Citigroup, l’unica risposta efficace a un ritorno della recessione globale è quella che lui chiama «fusione fredda». Un titolo da film di fantascienza per una ricetta molto banale: i governi dovrebbero tagliare le tasse e aumentare la spesa pubblica. Una vera eresia per i sacerdoti tedeschi dell’austerità. I buchi dei bilanci statali verrebbero coperti dagli acquisti di bond da parte delle banche centrali. «Con i tassi a zero», ha spiegato Englander, «questa politica fiscale sarà necessaria per compensare gli shock negativi che colpiranno l’economia globale». Una prospettiva da incubo per Weidmann.
Marcello Bussi, MilanoFinanza 30/9/2015