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 2015  settembre 29 Martedì calendario

LA GALLERIA IN UN BUNKER


Avevano pensato a un ospedale, a una piscina oppure a una scuola. Poi la scelta è caduta sulla location più bizzarra di tutte: un ex bunker nazista della Seconda guerra mondiale nel cuore del Mitte, il quartiere centrale di Berlino. Eccola la sede della Boros Collection, un imponente cubo di cemento di mille metri quadri per 18 metri d’altezza, con muri spessi due metri per risultare impenetrabili in caso di attacco aereo. Perché una location così insolita? «Era la più impossibile» spiega il proprietario Christian Boros, editore e fondatore di un’agenzia di pubblicità, che vive nel nuovo attico vetrato costruito sul tetto dell’edificio insieme con la moglie e socia Karen e il loro figlio Anton. «Mi piace vedere come l’arte combatte contro la bruttezza».
Non c’è dubbio che in questa lotta a vincere sia l’arte, che occupa tutto lo spazio disponibile dell’edificio, rischiando addirittura di straripare. Come nel caso del gigantesco albero costruito dall’artista e dissidente cinese Ai Weiwei assemblando pezzi di legno portati a riva dall’acqua: i coniugi Boros l’avevano acquistato senza considerare i suoi sette metri d’altezza e una volta installato sfiora il soffitto di una delle sale più grandi, ottenute accorpando alcune delle 120 stanze preesistenti, il cui numero si è ridotto a 80. Della ristrutturazione, cominciata nel 2003, si sono occupati gli architetti tedeschi Jens Casper e Petra Petersson. Poi i proprietari l’hanno riempito con circa 700 opere di un’ottantina di artisti internazionali dagli anni Novanta a oggi. Superata la pesante porta d’accesso blindata, si cammina per nudi corridoi punteggiati di fori di proiettili e senza altra illuminazione se non quella artificiale per accedere all’intera esposizione, che cambia ogni quattro anni. L’attuale resterà fino al 2016 ed è visitabile con tour guidati di un’ora e mezza (12 euro, sammlung-boros.de) cui hanno partecipato anche celebrity come Tom Hanks. Si passa da We the people di Danh Vo, una sorta di «scomposizione» della Statua della Libertà, alla sfera in metallo e specchi di Olafur Eliasson, per arrivare alla scultura cinetica di Michael Sailstorfer che si autodistrugge.

Niente targhette a precisare nomi e date di opere e artisti: «Non è un museo» tengono a precisare i fondatori. «Non abbiamo la pretesa di mostrare il meglio dell’arte di un determinato periodo. Il bello delle collezioni private è che possono fare degli errori, mostrare gusti personali. Abbiamo molti artisti di cui si parla poco. Forse non resteranno alla storia, ma sono importanti per noi».
Quello che resterà nella storia è di certo la sede della galleria, il Reichsbahnbunker, motivo principale per cui oltre 120 mila persone l’hanno visitata tra il 2008, anno dell’apertura, e il 2012. Costruito nel 1942 su disegno dell’architetto Karl Bonatz, sotto la supervisione di Albert Speer, ministro degli armamenti della Germania nazista, dopo l’ingresso a Berlino dell’Armata Rossa fu utilizzato come campo di concentramento per i prigionieri di guerra. Più tardi le stanze fredde e umide del «banana bunker» divennero un magazzino per la conservazione della frutta importata da Cuba. La svolta artistica risale agli anni immediatamente successivi alla caduta del Muro, quando venne «occupato» dagli artisti emergenti che lo trasformarono in spazio per performance d’avanguardia e, di notte, in night club underground famoso per i suoi party fetish accompagnati da musica techno.
«Non si può dimenticare il passato quando si vive in una costruzione così mostruosa che emana una tale severità» spiega Karen Boros. Ma grazie alla trasformazione in galleria nel bunker si respira anche la bellezza: «C’è gente che vende e compra opere come se fossero azioni. Noi non ci separeremmo mai dalle nostre».