Giuliano da Empoli, Rivista Studio 29/9/2015, 29 settembre 2015
ELOGIO DELLA FOLLIA DEI SAGGI
Sono passati già cinque anni da quando Francesco Cossiga ci ha lasciati. Non avrei mai creduto, all’epoca, che mi sarebbe mancato così tanto. Ho molte debolezze, ma democristiano non lo sono stato mai. E anche lo fossi stato, non credo che avrei aderito a quell’ambigua corrente della quale il Presidente era uno degli esponenti di punta. Non sono stato un particolare ammiratore né della sua lunghissima carriera governativa, né della sua presidenza picconatrice e neppure dell’ultimo ritorno di fiamma: il governo D’Alema nato dalla capacità manovriera – e dalle relazioni transatlantiche – dell’infaticabile senatore a vita. Quel che mi manca sono le interviste mensili che Cossiga rilasciava a quotidiani che compravo solo per l’occasione, come Libero e il Giornale. Piccole apocalissi da camera nelle quali l’ex-Presidente analizzava la situazione, decifrava i retroscena e, a sua volta, costruiva scenari e mandava messaggi in codice. Nessuno, oggi, rilascia più interviste così. Minuscoli monumenti d’intelligenza politica, di cinismo, d’ironia feroce e indifferente. Negli ultimi anni della sua vita, Cossiga dava la sensazione di uno che si alzava la mattina con l’unica preoccupazione di sapere come si sarebbe divertito quel giorno. E metteva tutta la machiavellica intelligenza che lo aveva condotto ai vertici dello Stato al servizio di quell’unico scopo: divertire se stesso, magari strappando un sorriso anche ai tanti che continuavano a seguirlo. Si dice sempre che la vecchiaia è la stagione della saggezza, ma il bello è quando succede esattamente il contrario. Non c’è nulla di più travolgente della follia di un vecchio che si è liberato di tutti i complessi e di tutte le ambizioni, che non ha più bisogno né voglia di tenersi buono nessuno e dice le cose come stanno, magari gigioneggiando un po’, provando a fare paura e qualche volta riuscendoci pure. È lo spirito di Tolstoj che a ottantadue anni scappa di casa a va a morire sul ciglio di una ferrovia che doveva condurlo chissà dove. È l’ultimo Sartre che rinnega il marxismo e s’imbarca nello studio della Torah, scandalizzando i piccoli maestri della rive gauche (tradire i discepoli: un altro degli inauditi benefici della follia senile...). È l’esempio di tutti i grandi che hanno preferito continuare a dare cattivi esempi, anziché ammorbare i seguaci con i loro buoni consigli. Scomparso Cossiga, non vedo nessuno, sulla scena pubblica italiana, che sia disposto ad assumersi quel ruolo. Tutti lì a pesare le parole e a posizionarsi, chissà che non capiti, prima o poi, che qualcuno possa ancora avere bisogno di loro. “Mourir sur le coffre”, si diceva nella Francia dell’ancien régime di quelli che rendevano l’anima nell’anticamera del re, alla ricerca delle ultime prebende. È finito il tempo delle riserve della Repubblica e i posti da padre nobile sono già tutti occupati. Sarebbe ora che qualcuno riprendesse a raccontare la realtà con lo sguardo clinico e caustico che solo una lunga esperienza può garantire. In tutte le epoche, le cose più belle e più vere sul potere sono state scritte da uomini che avevano cessato di desiderarlo. Sono le memorie del cardinale di Retz che, lasciatosi alle spalle tutti i complotti, pensa solo a impressionare la bella madame de Caumartin con il racconto brillante di ciò che è stata la Fronda. È il meticoloso duca di Saint-Simon, che strappa una rivincita postuma al cerimoniale di corte che ha consumato la sua esistenza rivelandone gli arcani in migliaia di pagine segrete. È Chateaubriand in rovina che riproietta sulle pareti del minuscolo studio di Saint-Germain il teatro di ombre del quale è stato testimone per ottant’anni. Nessuno si aspetta, di questi tempi, lo stile dei memorialisti francesi. Gli ultimi libri di Cossiga portavano titoli come Novissime picconate e Fotti il potere. Non si tratta di contribuire al patrimonio della letteratura mondiale, ma solo di aprire un piccolo squarcio nella noia delle opinioni in batteria. Svegliatevi, padri nobili (e meno nobili). Abbiamo bisogno della vostra follia almeno tanto quanto della vostra saggezza.