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 2015  settembre 26 Sabato calendario

BUONANOTTE TOKYO


Dormire di più per lavorare meglio. Il nuovo imperativo del Sol Levante, paese simbolo dell’efficienza collettiva, questa volta sembra passare dalle braccia di Morfeo. Da qualche anno, infatti, alcune aziende giapponesi incoraggiano i propri dipendenti a fare la siesta, il “sonnellino rinvigorente del dopo pranzo”, autentico toccasana per ricaricare le batterie in vista delle lunghe ore lavorative del pomeriggio, quando la palpebra cala e insieme a essa anche la concentrazione.
«Abbiamo introdotto la siesta nel gennaio 2007. Di base, dalle 13 alle 16 è possibile prendersi una pausa. Non che sia obbligatorio, si può anche scegliere di non farla. È a discrezione di ogni impiegato», spiega Daisuke Nakata, Ceo della società Hugo Inc. di Osaka, che offre servizi internet per grandi aziende. La siesta è ufficializzata nel contratto di lavoro e il tempo di inattività viene comunque recuperato, a seconda della necessità.
C’è chi si risposa direttamente al desk, chi sui divani nelle salene, chi sceglie le sedie reclinabili messe a disposizione e chi preferisce staccare del tutto e andare fuori, nei numerosi hotel o nei caffè metropolitani che offrono servizi ad hoc. Ce ne sono di svariati tipi. Alcuni sono per sole donne: affittare un letto costa 160 yen (circa 1,20 euro) per ogni 10 minuti ed è possibile richiedere anche il pigiama. Secondo quanto riportato dal quotidiano giapponese Asahi Shinbun, la sosta media dura almeno un’ora. Ci sono poi i capsula-hotel a tema, come quelli che offrono servizi di “ossigenazione”. Nelle metropoli giapponesi, insomma, mezzi e metodi per riposarsi non mancano. Basta avere, appunto, tempo. Anche perché, come conferma il signor Nakata, l’iniziativa funziona e i risultati ci sono. «Da quando è stata introdotta la siesta la prestazione dei dipendenti è aumentata, le facce sono più rilassate e l’atmosfera in azienda è più vivace. Gli errori di distrazione sono crollati e la capacità di prendere decisioni è migliorata. Di conseguenza sono aumentati anche i profitti».
Neanche a dirlo, i primi a essere entusiasti sono i dipendenti stessi: «Grazie alla siesta ho eliminato i problemi di sonnolenza e anche la mia capacità di concentrazione è migliorata. Inoltre lavorando in un ambiente in cui l’atmosfera è positiva, anche la mia motivazione è più forte. Vorrei che in futuro diventasse normale e che si creasse davvero un nuovo stile di lavoro per tutti», spiega Masashi Furuichi, 35 anni, manager a Hugo Inc.
Che in Giappone ci sia la necessità di recuperare il sonno perduto è una realtà supportata dai numeri. Secondo un sondaggio della US National Sleep Foundation riportato dal Guardian, i giapponesi dormono in media soltanto 6 ore e 22 minuti per notte, meno di tutti i lavoratori degli altri paesi industrializzati (gli inglesi riposano in media 27 minuti in più, canadesi, messicani e tedeschi arrivano a 7 ore di sonno per notte) e solo il 54% si sente riposato dopo aver dormito. C’è dunque molto da fare e probabilmente ancora per un po’ saranno molto comuni le immagini di impiegati giapponesi che chiudono gli occhi durante un meeting o un concerto, dormono durante i viaggi di ritorno a casa in treno o in metropolitana o schiacciano un pisolino “rubato” sul posto di lavoro. Come Saito-san, 49 anni, impiegato in una grande azienda di Tokyo con sede a Toranomon, che non ha la fortuna di lavorare in una società dove si pratica la siesta: «Per arrivare da casa al lavoro impiego un’ora e mezza: prendo un autobus, un treno e infine la metropolitana. I collegamenti sono ottimi ma non riesco a dormire più di 5 ore e mezza, al massimo 6, per notte. Mi alzo tutte le mattine tra le 6 e 30 e le 7 e siccome prendo il treno nell’ora di punta non sempre riesco a sedermi. La sera torno a casa intorno a mezzanotte e anche a quell’ora i treni sono affollatissimi. Il pomeriggio è normale che la stanchezza si faccia sentire e mi capita di schiacciare un pisolino alla scrivania. Cerco di non farmene accorgere, tengo la penna in mano come per lavorare o cose così». Saito-san appartiene a quella moltitudine di giapponesi che per cercare di recuperare un po’ di energie praticano lo inemuri, espressione nipponica coniata apposta per indicare l’attività di “riposarsi mentre si fa – o si dovrebbe fare – altro”.
Come spiega il sociologo Junji Tsuchiya, professore all’Università Waseda di Tokyo, il rapporto tra efficienza e il numero di ore che si dormono per notte non è però così lineare, dato che «il basso tasso di produttività dei giapponesi non è direttamente collegabile con il sonno, ma va ricercato piuttosto nel sistema del “collettivismo” che causa lentezza nelle procedure decisionali, aumenta il tempo in cui si sta in ufficio e riduce, di conseguenza, quello del sonno. È noto che i giapponesi fanno molte riunioni in cui si decide poco o niente e questa lentezza suscita, a volte, l’irritazione dei partner occidentali nel mondo degli affari».
Proprio il confronto diretto con i partner stranieri ha ispirato al signor Nakata la nuova policy per la propria azienda: «Ho molte opportunità di fare viaggi di lavoro all’estero e durante queste occasioni ho incontrato persone che pur concedendosi un riposo pomeridiano avevano una performance sul lavoro molto alta. Il risultato era ottimo e così ho deciso di provare. Ho fatto la proposta in azienda, ed è passata. Oggi penso che il corpo sia un bene molto prezioso e che per proteggerlo si debba bilanciare al meglio vita privata e lavoro. Per fa sì che questo accada, una via è la siesta, l’altra è dormire un tot di ore sufficienti ogni notte».
Sante parole, anche perché nonostante il numero delle ore lavorative dei giapponesi sia in costante discesa, è comunque sempre alto: dalle 1910 ore del 1994 si è arrivati alle 1765 del 2012. I dati dell’Organizzazione internazionale del Lavoro hanno rilevato che nel 2008 il 28,1% dei giapponesi aveva fatto registrare più di 50 ore di lavoro settimanali e che pochi anni prima, negli archivi della polizia i cosiddetti karoshi, casi di suicidio per “eccesso di stress”, superavano le 5 mila unità all’anno. «Il minimum wage giapponese è il più basso tra i paesi sviluppati», conclude il professor Tsuchiya. «Le imprese sia grandi sia medio-piccole, cercano di rafforzarsi attraverso il taglio delle spese di ogni tipo e in ogni modo, anche per sopravvivere o vincere la concorrenza nel mercato globale. E il fenomeno del karoshi in questi decenni si sta aggravando».
Il mondo del lavoro è in profondo cambiamento ovunque e il Giappone non fa eccezione. Il sistema è sempre più precario e solo metà dei contratti oggi è a tempo determinato. In Giappone il senso di appartenenza al gruppo, all’azienda, è alimentato da continue cene di lavoro, allegre bevute tra colleghi e altre attività che oltre a far rientrare tardi a casa tolgono energia e tempo alla vita privata. Ma qualcosa ha iniziato a cambiare e molti giovani danno la precedenza a se stessi anziché al lavoro. Chi può si concentra sugli affetti, ma sono in molti a risentire delle incertezze sul futuro. Il risultato è che ci si sposa di meno e si fanno meno figli, tanto che la contrazione demografica é un altro grande problema sociale con cui, una volta recuperato il sonno perduto, dovrà fare i conti il Giappone del futuro.